Aldrin avrebbe voluto sapere cosa ne sarebbe stato di Crenshaw e di lui stesso, ma non osò.
— Adesso chiamerò Crenshaw per un'intervista — riprese Slazik. — Non parlarne con nessuno, tranne che per rassicurare la tua sezione. Capito?
— Sì, signore.
— Niente pettegolezzi con Shirley della Contabilità o con Bart delle Risorse umane, intesi?
Ad Aldrin mancò il fiato. Quante cose sapeva Slazik? — Sì, signore.
— Dovremo vederci di persona, Pete, quando questa grana sarà risolta.
— Sì, signore.
— Se potrai imparare a sbrigartela un po' meglio con le complicazioni del sistema, la tua dedizione alla compagnia e al personale… e anche la tua coscienza dei pericoli di certe iniziative per le nostre pubbliche relazioni… potrebbero esserci molto utili. — Slazik riattaccò prima che Aldrin potesse dire qualcosa.
Aldrin tirò un respiro profondo, che gli parve il primo da parecchio tempo. Poi si diresse verso la sezione A.
Non ho più visto Cameron da quando ci ha lasciati la settimana scorsa. Non so quando potrò vederlo ancora. Non mi piace vedere il posto vuoto della sua macchina davanti alla mia. Non mi piace non sapere dov'è e come sta.
I simboli sullo schermo che guardo sono privi di significato, e questa è una cosa che non mi è mai successa. Accendo il ventilatore. Il movimento delle girandole e i bagliori della luce riflessa mi fanno dolere gli occhi. Spengo il ventilatore.
Ho letto un altro libro ieri sera, e vorrei non averlo letto.
Il libro dice che gli autistici tendono a ruminare eccessivamente su questioni filosofiche astratte quasi nello stesso modo in cui lo fanno alcuni psicotici. Facendo riferimento ad altri testi i quali sostengono che gli autistici non hanno un vero senso della propria identità personale, dice che non mancano di autodefinizione, ma che essa è limitata e determinata da regole.
Mi dà un senso di nausea pensare a questo, al chip che metteranno nel cervello di Don e a quanto sta succedendo a Cameron.
Se la mia autodefinizione è limitata e determinata da regole, se non altro è la mia autodefinizione e non quella di qualcun altro. A me piacciono i peperoni sulla pizza e non mi piacciono le acciughe. Se mi costringeranno a cambiare, continueranno a piacermi i peperoni e non le acciughe? E se coloro che mi cambieranno volessero farmi piacere le acciughe… potrebbero farlo?
Il libro sulle funzioni cerebrali dice che le preferenze sono il risultato d'interazioni tra elaborazioni innate degli stimoli e condizionamenti sociali. Se la persona che vuole farmi piacere le acciughe non ha avuto successo con il condizionamento sociale e ha accesso alla mia elaborazione degli stimoli, allora potrebbe rendermi le acciughe gradevoli.
Ricorderò allora che le acciughe non mi piacciono… non mi piacevano?
Il Lou che non ama le acciughe sarà scomparso, e il nuovo Lou che le ama esisterà senza passato. Ma il mio sé è anche il mio passato, e questo include le mìe preferenze a proposito delle acciughe.
Se i miei bisogni verranno soddisfatti, fa differenza di che bisogni si tratterà? C'è differenza tra l'essere una persona che ama le acciughe o una che non le ama? Se ognuno amasse le acciughe o ognuno non le amasse, che differenza farebbe?
Per le acciughe, molta. Se ognuno amasse le acciughe, molte più acciughe morirebbero. Per le persone che vendono acciughe, molta. Se ognuno amasse le acciughe, quelle persone farebbero molti più soldi vendendole. Ma per me, il me che sono ora o il me che potrei diventare, che differenza farebbe? Sarebbe più o meno salubre, più o meno piacevole, più o meno intelligente da parte mia amare le acciughe? Io ho visto altra gente a cui piacciono o non piacciono le acciughe e ho visto che la cosa non incide molto sulla loro personalità. Sotto molti rispetti non importa quali cose piacciano alla gente, quali colori, quali sapori, quale musica.
Chiedermi se desidero essere guarito è come chiedermi se voglio farmi piacere le acciughe. Non riesco a immaginare cosa significherebbe per me amare le acciughe, quale gusto sentirei ad averle in bocca. Gente che ama le acciughe mi dice che hanno un gusto gradevole; gente normale mi dice che essere normale dà una bella sensazione. Ma non possono descrivere quel gusto e quella sensazione in un modo che abbia senso per me.
Ho davvero bisogno di essere guarito? A chi faccio male se non sarò guarito? A me, però solo se mi sentissi a disagio essendo quello che sono, mentre io non mi sento a disagio tranne quando gli altri dicono che non sono uno di loro, che non sono normale. Si suppone che agli autistici non importi ciò che gli altri pensano di loro, ma non è vero. A me importa, e mi ferisce che la gente provi antipatia per me perché sono autistico.
Perfino i fuggiaschi che scappano con null'altro che gli abiti che hanno indosso non perdono i loro ricordi. Possono essere confusi e spaventati, ma hanno sempre se stessi come termine di paragone. Forse non assaggeranno mai più i cibi che amavano, ma possono ricordare quanto erano buoni. Forse non rivedranno mai più la terra che conoscevano, ma possono ricordare di averci vissuto. Possono giudicare se la loro vita è migliore o peggiore paragonandola con le proprie memorie.
Io vorrei sapere se Cameron ricorda il Cameron che era, se pensa che la terra dove ha messo piede è migliore di quella che ha lasciato.
Questo pomeriggio avremo di nuovo una riunione per discutere gli effetti del trattamento. Chiederò chiarimenti su questo.
Guardo l'orologio. Sono le 10.37.18 e finora non ho combinato niente. Ma non voglio portare a termine il progetto al quale sto lavorando. È il progetto di un venditore di acciughe e non il mio.
19
Il signor Aldrin viene nel nostro edificio. Bussa alla mia porta e dice: — Per favore, esci. Voglio parlare a tutti voi nella palestra. — Il mio stomaco si annoda. Lo sento bussare alle altre porte. Escono tutti, Linda e Bailey e Chuy ed Eric e gli altri, e ci dirigiamo verso la palestra con facce contratte dall'inquietudine. La palestra è abbastanza grande da contenerci tutti. Forse vogliono che cominciamo subito il trattamento? A prescindere da quanto possiamo decidere?
— La questione è complicata — inizia il signor Aldrin. — Ci penseranno altri a spiegarvela più dettagliatamente, ma io tengo a dirvi una cosa adesso, subito. — Ha l'aria eccitata e non tanto triste come era pochi giorni fa. — Ricordate quando dissi che pensavo fosse sbagliato da parte loro cercare di costringervi a sottoporvi al trattamento? Quando vi chiamai al telefono?
Lo ricordo, e ricordo anche che lui non fece niente per aiutarci e più tardi ci disse che avremmo dovuto acconsentire per il nostro bene.
— La compagnia ha deciso che il signor Crenshaw non ha agito bene — dice il signor Aldrin. — Perciò vuole sappiate che non ci sono minacce al vostro lavoro, qualunque sia la decisione che prenderete. Potrete rimanere come siete e lavorare qui con le stesse misure di sostegno che avete ora.
Devo chiudere gli occhi: è troppo, non riesco a sopportarlo. Contro il buio delle palpebre si formano sagome multicolori, luccicanti di gioia. Non sarò obbligato a farlo. E se la compagnia ha deciso di rinunciare al trattamento, non dovrò neanche decidere se lo desidero o no.
— E Cameron? — domanda Bailey.
Il signor Aldrin scuote la testa. — Mi dicono che ha già iniziato il trattamento — dice. — Non credo che si possa interrompere a questo punto. Ma verrà risarcito in pieno…
Questa è una grossa sciocchezza. Come si può risarcire qualcuno al quale avete cambiato il cervello?
— Per quanto riguarda il resto di voi — dice il signor Aldrin — se volete sottoporvi al trattamento, la compagnia ve lo fornirà come aveva promesso.
Non era stato promesso, ma minacciato; però non lo dico.
— Non perderete nulla quanto a stipendio e anzianità di servizio durante la durata del trattamento e successiva riabilitazione.