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Sento nell'atrio la voce del signor Aldrin che parla con qualcuno. Apre la mia porta.

— Lou, ho dimenticato di ricordare a tutti di non portar via dal campus qualunque materiale relativo al vostro lavoro. Se avete materiale del genere, riunitelo ed etichettatelo spiegando che deve andare in archivio.

— Sì, signor Aldrin — dico.

— Verrai al campus domani?

— Non credo — dico. — Non voglio cominciare un lavoro che poi lascerei incompiuto. Entro oggi avrò sgomberato tutto, qui.

— Bene. Hai ricevuto la lista dei preparativi raccomandati?

— Sì.

— Bene. Io… — Getta un'occhiata alle proprie spalle, poi entra nel mio ufficio e chiude la porta. Mi sento di colpo nervoso. — Lou… — il signor Aldrin esita, si schiarisce la gola e guarda altrove. — Lou, io… io voglio dirti che mi dispiace per quanto è avvenuto.

Non so quale risposta si aspetti. Non dico nulla.

— Io non avrei mai voluto… se le cose fossero dipese da me, nulla sarebbe cambiato…

Si sbaglia. Tutto sarebbe cambiato. Don sarebbe ugualmente andato in collera con me. Io mi sarei ugualmente innamorato di Marjory. Non so perché stia dicendo questo: lui dovrebbe sapere che le cose cambiano, sia che uno lo voglia sia che non lo voglia. Uno può giacere accanto a una piscina per mesi e anni pensando all'angelo che deve scendere, prima che qualcuno gli chieda se vuole esser guarito.

L'espressione sulla faccia di Aldrin mi ricorda come mi sono sentito tante volte. Mi rendo conto che ha paura. Lui ha spesso paura di qualcosa. Fa male aver paura per molto tempo, io lo so. Vorrei che non avesse quell'espressione, perché mi fa sentire che dovrei far qualcosa in proposito e non so cosa fare.

— Non è colpa sua — dico. Lo vedo rilassarsi. Era la cosa giusta da dire. Pure, è troppo facile. Io posso dirla, ma questo la rende vera? Le parole possono essere sbagliate. Le idee possono essere sbagliate.

— Vorrei essere sicuro che tu davvero sei… che davvero vuoi il trattamento — dice. — Nessuno più ti fa pressione…

Si sbaglia di nuovo, benché possa aver ragione nel dire che adesso la compagnia non ci costringe più. Ma adesso che io so che il cambiamento è inevitabile, adesso che so che è possibile, la pressione dentro di me cresce come l'aria gonfia un pallone o la luce pervade lo spazio. La luce non è passiva, preme contro qualunque cosa tocchi.

— È la mia decisione — dico. Intendo che io ho deciso, che sia giusto o sbagliato. Anch'io posso sbagliare.

— Grazie, Lou — dice il signor Aldrin. — Tu… voi tutti… significate molto per me.

Non so cosa voglia dire quel "significate molto per me". Letteralmente potrebbe voler dire che noi conteniamo molto significato che lui può ricevere da noi, ma non credo sia questo che il signor Aldrin intende. Comunque non chiedo spiegazioni. Sono ancora un po' a disagio quando penso a tutte le volte che ci ha parlato. Non dico nulla. Dopo 9,3 secondi lui fa un cenno col capo e si volta per andar via. — Abbi cura di te — dice. — Buona fortuna.

Osservo che non dice "spero che tutto vada bene". Non so se lo faccia per ragioni di tatto o se pensi che tutto possa non andar bene. Esce nell'atrio e sento i suoi passi allontanarsi. Mi rilasso e tiro un respiro profondo. Finisco di togliere le mie girandole, spirali e decorazioni preferite. L'ufficio appare nudo, mentre la mia scrivania è ingombra. Non so se tutto entrerà nella scatola di Linda. Forse riuscirò a trovare un'altra scatola. Meglio sbrigarsi. Appena metto piede nell'atrio vedo Chuy alla porta che si dà da fare per tenerla aperta e infilarci dentro diverse scatole. Gli tengo aperto il battente.

— Ne ho portata una per ciascuno — dice. — Per risparmiare tempo.

— Linda ne ha portata una che sto adoperando io — spiego.

— Forse a qualcuno ne serviranno due — dice. — Tu puoi averne una se ti serve.

— Me ne serve una — dico. — Grazie.

Prendo una scatola più grande di quella portata da Linda e torno nel mio ufficio. Metto i manuali in fondo perché sono più pesanti, poi le penne tra i manuali e un lato della scatola, poi il ventilatore e infine le mie girandole, spirali e decorazioni. Penso al vento fuori. Sono leggere, potrebbero volar via.

Nell'ultimo cassetto trovo l'asciugamano che adopero per asciugarmi i capelli quando ho camminato dal parcheggio a qui nella pioggia. Lo ripiego e lo metto sulla scatola a riparare tutto il resto. Prendo su la scatola, nella quale è entrato tutto. Adesso sto facendo quello che ha fatto il signor Crenshaw: porto una scatola con dentro le mie cose fuori del mio ufficio. Se qualcuno mi guardasse, forse gli ricorderei lui, tranne che accanto a me non ci sono guardie. Io e il signor Crenshaw non ci somigliamo. Questa è la mia scelta; non credo che lui se ne sia andato di sua scelta. Mentre mi avvicino alla porta Dale esce dal suo ufficio. Mi apre il battente.

Fuori, le nuvole sono più spesse e la giornata sembra più scura e più fredda. Forse pioverà. Il vento è alle mie spalle e mi spinge. Vado alla mia macchina e giro dalla parte del passeggero. Metto a terra la scatola e con un piede tengo fermo l'asciugamano che il vento vorrebbe portar via. Apro lo sportello e metto sul sedile la scatola. Mi chiedo se devo tornare dentro, ma sono sicuro di aver portato via tutto. Non desidero mettere da parte il materiale relativo al mio ultimo lavoro perché sia riposto in archivio. Non voglio più vedere quel lavoro.

Però vorrei vedere ancora Dale, Bailey, Chuy, Eric e Linda. Una prima goccia di pioggia gelida mi cade sulla guancia, poi un'altra. Scuoto la testa e torno all'edificio. Apro la porta. Tutti gli altri sono nell'atrio, alcuni portano scatole colme e altri stanno lì e basta.

— Volete andare a mangiare? — chiede Dale.

— Sono soltanto le dieci e dodici — dice Chuy. — Non è óra di pranzo. Io sto ancora lavorando. — Lui non ha una scatola, Linda non ha una scatola. Sembra strano che quelli di noi che non se ne vanno abbiano portato le scatole per gli altri.

— Potremmo andare alla pizzeria più tardi — propone Dale. Ci guardiamo.

— Potremmo andare da qualche altra parte più tardi — dice Chuy.

— No, alla pizzeria — dice Linda.

Non diciamo altro. Io penso che non andrò.

Mi sembra molto strano guidare in un'ora mattutina in un giorno feriale. Ritorno a casa e parcheggio in uno spazio molto vicino all'entrata. Porto la scatola nel mio appartamento. Il palazzo è molto silenzioso. Metto la scatola nell'armadio a muro, dietro le scarpe.

L'appartamento è ordinato e tranquillo. Ho lavato le stoviglie della colazione prima di uscire, come faccio sempre. Mi tolgo di tasca il contenitore di plastica con gli spiccioli e lo metto sopra i cestini dei panni da lavare.

Ci hanno detto di portare tre cambi d'indumenti. Posso prepararli adesso. Non so che tempo farà e se avremo bisogno di abiti da passeggio oltre agli abiti da casa. Prendo la valigia dall'armadio e prendo le prime tre camicie di maglia dal secondo cassetto, poi tre cambi di biancheria e tre paia di calzini. Quindi due paia di calzoni avana e un paio di calzoni blu. E una felpa blu, in caso facesse freddo.

Ho uno spazzolino da denti, un dentifricio e una spazzola nuovi che tengo per le emergenze, ma non ne ho mai avute. Questa non è un'emergenza, comunque se li impacchetto adesso dopo non dovrò pensarci più. Metto lo spazzolino da denti, il dentifricio, il pettine, la spazzola, il rasoio e il sapone da barba nel borsello apposito e ripongo tutto in valigia. Consulto di nuovo la lista che ci hanno consegnata. È tutto qui. Allaccio le cinghie della valigia, poi la chiudo con la lampo e la metto via.