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Per tutto il giorno non succede nulla, e il mio lavoro procede bene. Dopo il pranzo, Cameron mi dice che la locale società per l’autismo ha stabilito una riunione al Centro per parlare del programma di ricerca. Lui ci va, e pensa che dovremmo andarci tutti. Per questo sabato io non avevo fatto progetti, tranne la pulizia della macchina; e comunque vado al Centro quasi tutti i sabati mattina.

La mattina dopo quindi mi reco al Centro a piedi. È una passeggiata lunga, ma non fa molto caldo e camminare mi fa bene.

Al Centro trovo non solo i miei compagni di lavoro ma anche molti di noi che vivono in diversi punti della città. Parecchi di loro si fanno vedere raramente. Io ho notato che i più anziani di noi, quelli più handicappati, vengono più spesso degli altri; i giovani, che sono come Joe Lee, non vengono quasi mai.

Il Centro tuttavia non è soltanto per gli autistici: vediamo molta gente con altri tipi di handicap, specialmente durante i fine settimana. Io non so quali siano precisamente i loro handicap. Non mi piace pensare a tutte le cose che possono guastarsi nel meccanismo degli esseri umani.

Alcuni hanno un atteggiamento amichevole e parlano con noi. Oggi Emmy mi viene subito incontro. È più piccola di statura di me, ha capelli neri e lisci e occhiali dalle lenti spesse. Non so perché non si sia mai fatta operare agli occhi e chiederglielo non è educato. Emmy sembra sempre in collera. Le sue sopracciglia sono perpetuamente aggrottate, ai lati delle labbra ha piccoli noduli di muscoli rigidi e piega gli angoli della bocca sempre all’ingiù. — Tu hai una ragazza — mi dice.

— No — rispondo.

— Sì. Me l’ha detto Linda. Lei non è una di noi.

— No — ripeto io. Marjory non è la mia ragazza (non ancora) e non voglio parlare di lei con Emmy. Linda non avrebbe dovuto dire nulla a Emmy, e certo non avrebbe dovuto parlarle di questo. Io non ho mai detto a Linda che Marjory era la mia ragazza, perché non è vero.

— Dove vai a giocare con le spade c’è una ragazza… — insiste Emmy.

— Non è una ragazza — la correggo. — È una donna e non è la mia ragazza. — Non ancora, penso. Sento un gran caldo alla nuca pensando a Marjory e all’espressione del suo viso la settimana scorsa.

— Linda dice che lo è. Ma lei è una spia, Lou.

— Cosa vuoi dire? Perché "spia"?

— Lei lavora all’università. Dove fanno quelle ricerche, sai. — Mi lancia un’occhiataccia, come se fossi io a fare quelle ricerche. Si tratta di ricerche sugli handicap fisici e mentali; ma i ricercatori, come dicevano sempre i miei genitori, si preoccupano più di pubblicare rapporti per ottenere sovvenzioni che di curarsi degli handicappati. La nostra società comunque esige che i ricercatori dicano chi sono e a che scopo s’incontrano con noi, e non permette che siano presenti alle nostre riunioni.

Anche Emmy lavora all’università come custode; forse per questo sa che Marjory lavora lì.

— Tanta gente lavora all’università — dico. — E non tutti sono impegnati in quelle ricerche.

— Lei è una spia, Lou — ripete Emmy. — S’interessa solo alla tua diagnosi, non alla tua persona.

Mi sento un gran vuoto dentro: sono sicuro che Marjory non è una ricercatrice, ma la mia certezza non è assoluta.

— Per lei tu sei un anormale — insiste Emmy. — Un soggetto. — Sulla sua bocca "soggetto" suona osceno, ammesso che io capisca il significato di "osceno". Penso al nuovo trattamento: quelli che lo subiranno prima ne saranno i soggetti, proprio come le scimmie sulle quali è stato tentato da principio.

— Questo non è vero — dico. Ma posso sentire il sudore sprizzarmi dalle ascelle e dal collo, e provo il lieve tremito di quando mi sento minacciato. — E comunque, lei non è la mia ragazza.

— Sono contenta che tu non sia stupido del tutto — dice Emmy.

Vado alla riunione perché se la evitassi Emmy parlerebbe con gli altri di Marjory e di me. È difficile ascoltare il conferenziere che parla del protocollo della ricerca e delle sue implicazioni. Non riesco a fare attenzione a quanto dice. Non stavo pensando a Marjory quando Emmy mi ha abbordato, ma adesso non posso smettere di pensare a lei.

Marjory ha simpatia per me. Ne sono certo. E sono certo che le piaccio per me stesso, il Lou che si esercita alla scherma con il gruppo, il Lou che ha invitato ad andare con lei all’aeroporto mercoledì scorso. Lucia ha detto che piacevo a Marjory e Lucia non mente.

Ma ci sono diversi modi di farsi piacere qualcuno o qualcosa. A me per esempio piace il prosciutto come cibo; ma non mi curo di quel che pensa il prosciutto quando lo mangio. E se io piacessi a Marjory come dice Emmy… come una cosa, come un soggetto, come l’equivalente di un boccone di prosciutto? Se le piacessi più di altri soggetti di ricerca perché sono calmo e di buon carattere?

Non mi sento affatto calmo e di buon carattere. Vorrei picchiare qualcuno.

Il consulente che parla non dice nulla più di quello che abbiamo già letto nell’articolo. Non può spiegare il metodo, non sa a chi bisognerebbe rivolgersi per avere ulteriori schiarimenti. Non sa nemmeno che la compagnia per la quale lavoro ha acquistato il protocollo di ricerca. Forse non lo sa. Io non dico niente.

Dopo la riunione gli altri desiderano restare e parlare del nuovo procedimento, ma io me ne vado in fretta. Voglio andare a casa e pensare a Marjory senza Emmy attorno. Non voglio pensare a Marjory come ricercatrice. Voglio pensare a lei seduta accanto a me nell’automobile, al suo profumo, ai riflessi di luce nei suoi capelli e anche a come tira di scherma.

È più facile pensare a Marjory mentre faccio pulizia alla mia automobile. Tolgo il coprisedile di pelle di pecora e lo scuoto bene; lo stendo sul cofano e spolvero i sedili con una spazzola, poi passo l’aspirapolvere sul pavimento. Il rumore dell’apparecchio mi disturba, ma così si fa più presto e non respiro tanta polvere. Pulisco il parabrezza dall’interno, facendo attenzione agli angoli, poi i finestrini e gli specchietti. I negozi vendono prodotti speciali per pulire le macchine, ma il loro odore mi dà la nausea, perciò adopero solo uno straccio e acqua.

Rimetto il coprisedile a posto e lo assicuro bene. Adesso la mia automobile è tutta pulita, pronta per la domenica mattina. Per andare in chiesa prendo l’autobus, ma mi rallegra pensare alla mia macchina pulita e in abito da festa per la domenica.

Faccio la doccia in fretta, poi vado a letto e penso a Marjory. Nei miei pensieri lei si muove ininterrottamente eppure sta sempre immobile. Le espressioni sul suo viso permangono abbastanza a lungo perché io possa interpretarle. Quando mi addormento, lei mi sorride.

4

Dalla strada Tom guardava Marjory Shaw e Don Poiteau attraversare il cortile. Lucia pensava che Marjory si stesse affezionando a Lou Arrendale, e invece eccola lì insieme a Don. Va bene che Don le aveva tolto di mano lo zaino, ma… se lui non le piaceva, perché non se l’era ripreso?

Sospirò, facendosi scorrere una mano tra i capelli piuttosto radi. Lui adorava la scherma, gli piaceva avere allievi, ma il peso dei continui intrighi del gruppo, i suoi complicati intrecci di simpatie e antipatie, lo stancavano sempre più man mano che avanzava negli anni. Avrebbe voluto che la casa sua e di Lucia fosse un posto in cui i giovani potessero raggiungere il loro pieno potenziale fisico e morale, ma certe volte gli pareva di avere intorno una masnada di eterni adolescenti. Presto o tardi tutti ricorrevano a lui con i loro lamenti, i loro rancori, le loro sensibilità offese.

Oppure andavano da Lucia: per lo più le donne. Le sedevano accanto fingendo d’interessarsi ai suoi ricami o alle sue fotografie, e sfogavano le loro pene. Lui e Lucia passavano ore a discutere quello che andava succedendo, quale appoggio dare a chi ne aveva bisogno, come porgere aiuto senza assumersi responsabilità troppo gravose.