Arrivo in una corsia dove sono esposte diverse marche di vino e mi rendo conto che ho oltrepassato la corsia che volevo. Guardo con precauzione da tutte le parti prima di tornare indietro.
Io vado sempre nel reparto delle spezie, sia che ne abbia bisogno o no. Quando non c’è gente… e oggi non ce n’è… mi soffermo e mi permetto di assaporare le fragranze. Posso sentire il gradevole miscuglio di profumi delle spezie e delle erbe aromatiche, che coprono perfino gli odori dei detersivi e quello di gomma americana di alcuni bambini non lontani. Canella, cumino, chiodi di garofano, maggiorana, noce moscata… perfino i nomi sono deliziosi. Mia madre in cucina adoperava sia spezie che erbe e mi lasciava odorarle tutte. Alcune in verità non mi piacevano, ma per la maggior parte sapevano di buono. Oggi mi serve il chili, e non ho bisogno di cercarlo: so dove si trova sullo scaffale, una scatoletta bianca e rossa.
Mi sento di colpo madido di sudore: Marjory è proprio davanti a me, ma non mi ha notato perché sta osservando qualcosa con molta attenzione. Ha aperto un contenitore di spezie… quale, mi chiedo, finché una corrente d’aria mi porta l’inconfondibile fragranza dei chiodi di garofano. I miei preferiti. Mi volto in fretta e cerco di concentrarmi sugli scaffali di colori da pasticceria, frutta candita e articoli per la decorazione di torte. Non capisco perché li abbiano messi nella stessa corsia delle spezie, ma stanno lì.
Lei mi vedrà? E se mi vede, mi parlerà? O dovrei essere io a parlarle? Mi sento la lingua gonfia. Qualcuno mi si sta avvicinando. Sarà lei o qualcun altro? Se davvero stessi meditando di far spese non mi volterei. Però non ho nessun bisogno di decorazioni da torte o di ciliegie candite.
— Ciao, Lou — dice la voce di Marjory. — Vuoi fare un dolce?
Mi giro a guardarla. Non l’ho mai vista tranne che in casa di Tom e Lucia o nell’automobile quando siamo andati all’aeroporto. Non l’avevo mai vista prima in questo supermercato. Non è questo lo sfondo che le si addice… o forse lo è, ma io non lo sapevo. — Stavo solo guardando — dico. Mi è difficile parlare. Odio il sudore che ancora mi sprizza dai pori.
— Quella roba ha dei bei colori — dice lei con voce non molto interessata… ma almeno non si è messa a ridere. — Ti piace la torta di frutta candita?
— No — rispondo, inghiottendo il grosso nodo che ho in gola. — Credo… credo che i suoi colori siano più belli del sapore. — Ho usato la parola sbagliata: i sapori non sono belli o brutti… ma ormai è troppo tardi per scegliere un altro termine.
Lei annuisce con espressione seria. — Anch’io la penso così. La prima volta che ho mangiato la torta di frutta candita, quando ero piccola, mi aspettavo che avesse un sapore speciale perché era così bella e variopinta. Invece… non mi piacque.
— Fai… fai spesso la spesa qui? — chiedo.
— Di solito no — risponde Marjory. — Ma sto andando a casa di un’amica che mi ha chiesto di comprare qualcosa per lei. — Mi guarda, e di nuovo mi rendo conto di quanto sia difficile parlare. È difficile perfino respirare, e mi sento tutto appiccicoso per il sudore che mi gocciola giù per la schiena. — Tu invece vieni qui regolarmente?
— Sì — dico.
— Allora forse mi sai dire dove posso trovare il riso e la carta di alluminio — chiede lei.
Per un momento la mia mente si svuota, poi ricordo. — Il riso è a metà della corsia tre. E la carta di alluminio è nella diciotto…
— Oh, per favore — dice lei sorridendo — fammeli vedere. Ho l’impressione di essere andata in giro qui intorno per almeno un’ora.
— Farteli vedere? Ah… accompagnarti. — Per un istante mi sono sentito sbalestrato: ma naturalmente è questo che lei voleva dire. — Vieni — la invito, girando il mio carrello e prendendomi un’occhiataccia da parte di una donna con un carrello straripante di roba. — Scusi — le dico, ma lei mi sorpassa senza rispondere.
— Ti vengo dietro, così non daremo fastidio a nessuno — propone Marjory.
Io annuisco e mi dirigo prima verso il riso che è più vicino, visto che siamo nella corsia sette. Marjory mi segue e sapere questo mi dà un senso di calore alla schiena, come se la illuminasse un raggio di sole. Sono contento che lei non possa vedere la mia faccia: sento un gran calore anche lì.
Mentre Marjory passa in rassegna le confezioni di riso… riso in sacchetti, in scatole, a grani lunghi e corti, integrale e in combinazione con altre cose, e lei non sa con precisione quale tipo di riso le serve… io la guardo. Ha le ciglia molto lunghe e quasi nere. I suoi occhi hanno screziature di diversi colori intorno all’iride, e ciò li rende più interessanti.
La maggior parte degli occhi hanno più di un colore, spesso diverse sfumature di uno stesso colore: gli occhi azzurri possono essere insieme azzurro chiaro e azzurro scuro, o azzurro e grigio, o azzurro e verde, e a volte possono avere perfino qualche screziatura marrone. La maggior parte della gente non ci fa caso. La prima volta che andai a chiedere la mia carta d’identità, il modulo a un certo punto chiedeva di che colore avessi gli occhi. Io cercai di descrivere tutti i colori dei miei occhi, ma lo spazio non era sufficiente. L’impiegato mi disse di scrivere "castani", e io lo feci, ma non è quello l’unico colore dei miei occhi. È solo il colore che la gente vede perché non guarda veramente gli occhi degli altri.
Mi piacciono gli occhi di Marjory perché sono i suoi occhi e perché mi piacciono tutti i colori che hanno. Mi piacciono anche tutti i colori dei suoi capelli. Probabilmente lei scrive "castani" nei moduli che richiedono il colore dei suoi capelli, ma essi hanno tanti colori differenti, più ancora dei suoi occhi. Sotto le luci del supermercato ne hanno meno che alla luce del giorno… per esempio perdono le sfumature color mogano, ma io so che ci sono.
— Ecco qui — dice, scegliendo una scatola di riso a grani lunghi e a cottura rapida. — E adesso cerchiamo l’alluminio! — Sorride.
Le restituisco il sorriso. Le faccio da guida alla corsia diciotto, che verso la metà ospita piatti di plastica, rotoli di pellicola, carta oleata e carta di alluminio.
— Fatto — dice Marjory. Ha fatto più in fretta a scegliere la carta che a scegliere il riso. — Grazie, Lou, sei stato proprio bravo.
Devo indirizzarla alla cassa veloce? Credo di sì, lei ha detto di avere fretta. Gliela indico, e lei annuisce.
— Adesso devo correre, Lou — dice. — Avevo appuntamento con Pam per le sei e un quarto. — Sono le 18.07: se Pam abita lontano, Marjory farà tardi.
— Arrivederci — la saluto, e la guardo mentre si allontana in fretta lungo la corsia, evitando agilmente gli altri compratori.
— Così questa è lei — dice qualcuno dietro di me. Mi volto: è Emmy. Sembra arrabbiata, come al solito. — Non è poi così bella.
— Io credo che sia bella — dico.
— Si capisce — dice Emmy. — Sei arrossito.
Mi sento ardere la faccia. Può darsi che sia arrossito, ma Emmy non doveva dirlo. Non è educato fare commenti in pubblico sull’espressione di qualcuno. Non rispondo.
— Suppongo penserai che lei è innamorata di te — insiste Emmy con voce ostile. Io posso capire che lei pensa sia vero ciò che ha detto e pensa anche che io mi sbagli, cioè che Marjory non sia affatto innamorata di me. Mi dispiace che Emmy pensi questo, ma sono anche contento di aver capito il significato di ciò che lei pensa da quello che ha detto e da come lo ha detto. Anni fa non lo avrei compreso.
— Non saprei — rispondo mantenendo la voce bassa e calma. Poco lontano da noi, una donna si è fermata con una mano su un pacco di piatti di plastica e ci guarda. — Tu non sai quello che penso — dico a Emmy — e non sai nemmeno quello che pensa lei. Stai cercando di leggere nella nostra mente e questo è sbagliato.