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— A casa — dico. — Ho preso la metropolitana.

— Dunque tu puoi prendere il mezzo pubblico — commenta, e ha la faccia un po’ lucida. — Non hai veramente bisogno di un parcheggio speciale.

— I treni sono molto affollati e rumorosi — spiego. — Qualcuno mi ha rubato la batteria stanotte.

— Una macchina è solo una continua fonte di problemi per qualcuno come te — commenta ancora lui accostandosi. — Gente che non abita in zone sicure, con parcheggi custoditi, davvero non dovrebbe esibire il possesso di automobili.

— Non è mai successo nulla fino a poche settimane fa — rettifico. Non capisco perché desidero discutere con lui. A me discutere non piace.

— Sei stato fortunato. Adesso però sembra proprio che qualcuno ce l’abbia con te, no? Tre episodi di vandalismo. Ma almeno stavolta non sei arrivato in ritardo.

— Sono arrivato in ritardo una volta sola a causa dei vandalismi — dico.

— Non è questo il punto — ribatte. Mi chiedo quale sia il punto, a parte la sua antipatia per me e per i miei compagni. Dà un’occhiata alla porta del mio ufficio. — Sarà meglio che tu ritorni al lavoro — dice. — O meglio, che cominci a lavorare… — Adesso guarda l’orologio dell’atrio. Sono in ritardo di due minuti e diciotto secondi. Senza più rispondere, torno nel mio ufficio e chiudo la porta. Non ho intenzione di rimettermi in pari con i due minuti e diciotto secondi, non è colpa mia se sono in ritardo. Mi sento un poco agitato.

Richiamo il lavoro di ieri e i bellissimi schemi tornano a snodarmisi in mente. Un parametro segue l’altro, facendo passare lo schema da una struttura all’altra con fluidità impeccabile. Quando torno ad alzare la testa è passata un’ora e undici minuti. Il signor Crenshaw non sarà più qui adesso, non si trattiene mai tanto a lungo. Vado nell’atrio a prendere un po’ d’acqua. L’atrio è vuoto, ma vedo il segno sulla porta della palestra: c’è dentro qualcuno. Non m’importa.

Scrivo le parole che dovrò dire, poi chiamo la polizia e chiedo del primo poliziotto che si è occupato di me, il signor Stacy. Quando è in linea, sento dei rumori di fondo: altre persone stanno parlando.

— Sono Lou Arrendale — mi presento. — Lei venne da me quando le gomme della mia macchina furono tagliate. Mi disse di chiamare…

— Sì, sì — dice lui. Mi sembra impaziente, come se non mi stesse realmente ascoltando. — L’agente Isaka mi ha informato del parabrezza la settimana dopo, ma non abbiamo avuto il tempo di approfondire le indagini…

— La notte scorsa mi hanno rubato la batteria — spiego. — E qualcuno ha messo al posto della batteria un giocattolo.

— Cosa?

— Questa mattina la mia automobile non voleva partire. Ho guardato nel cofano e qualcosa mi è balzata contro. Era un diavoletto a molla che qualcuno aveva messo dove doveva stare la batteria.

— Rimanga lì, manderò qualcuno… — dice.

— Non sono a casa — spiego. — Sono al lavoro. Il mio superiore si sarebbe arrabbiato se avessi fatto tardi un’altra volta. La macchina è a casa.

— Capisco. Dov’è il giocattolo?

— Nel cofano — rispondo. — Non l’ho toccato. Ho solo richiuso.

— La faccenda non mi piace — dice Stacy. — Qualcuno davvero non le vuol bene, signor Arrendale. Una volta passi, ma… lei non ha nessuna idea di chi potrebbe essere il vandalo?

— L’unica persona che conosca e che ce l’abbia con me è il mio capo, il signor Crenshaw — dico. — A lui sono antipatici gli autistici. Vuole che proviamo un trattamento sperimentale…

— Ci sono dunque altri autistici nel posto dove lavora?

Mi rendo conto che non può saperlo. — La nostra sezione è costituita solo da autistici — dico. — Però non credo che il signor Crenshaw farebbe una cosa del genere. Benché a lui non piaccia che noi abbiamo un permesso speciale per guidare e un parcheggio tutto per noi. Pensa che dovremmo prendere la metropolitana come tutti gli altri.

— Ehm. E tutti i vandalismi hanno preso di mira la sua macchina.

— Sì. Ma lui non sa nulla del fatto che io tiro di scherma.

— C’è altro?

Non desidero lanciare false accuse. Farlo è sbagliato; ma non voglio nemmeno che la mia macchina subisca altri danni. Mi fa perdere tempo, confonde i miei orari e poi costa denaro.

— C’è qualcuno al Centro, Emmy Sanderson, che pensa sia sbagliato da parte mia avere amici normali — dico. — Però lei non sa dove si riunisce il mio circolo di scherma. — Io non credo veramente che sia stata Emmy, tuttavia lei e il signor Crenshaw sono le uniche persone che si siano arrabbiate con me negli ultimi tempi. Ma lo schema appare sbagliato, sia per lei che per il signor Crenshaw.

— Emmy Sanderson — dice lui, ripetendo il nome. — E lei non crede che sappia dove vi radunate per tirare di scherma?

— No. — Emmy non è mia amica, comunque io non credo che abbia fatto quelle cose. Don è mio amico e io non voglio credere che le abbia fatte.

— Non è più probabile che il nostro vandalo sia qualcuno che fa parte del circolo di scherma? Lì c’è qualcuno col quale lei non va d’accordo?

Di colpo mi sento tutto sudato. — Quelli sono miei amici — dico. — Gli amici non fanno del male agli amici.

Stacy grugnisce e non capisco cosa voglia dire il suo grugnito. — Ci sono amici e amici. Mi parli delle persone che fanno parte di quel gruppo.

Gli parlo prima di Tom e Lucia e poi degli altri; lui si annota i nomi.

— Erano tutti lì in queste ultime settimane?

— Non tutti ogni settimana. — Gli dico quelli che riesco a ricordare. — E Don è passato a un altro istruttore, perché si è offeso con Tom.

— Con Tom? Non con lei?

— No. — Non so come riferire l’accaduto senza criticare degli amici, e criticare gli amici è sbagliato. — Don certe volte scherza, ma è mio amico — dico. — Si è offeso con Tom perché Tom mi ha parlato di una cosa che Don aveva fatto molto tempo fa, e Don non voleva che me la dicesse.

— Qualcosa di brutto? — chiede Stacy.

— Eravamo a un torneo — racconto. — Don venne da me dopo un incontro e mi disse cosa avevo fatto di sbagliato e Tom, il mio istruttore, gli disse di lasciarmi in pace. Don cercava di aiutarmi, ma Tom pensava che non fosse così. Tom disse che io ero stato molto più bravo di Don al suo primo torneo, Don lo sentì e andò in collera con Tom. Dopo non ha voluto più far parte del nostro gruppo.

— Ehm. Ho l’impressione che questo sia più che altro un motivo per tagliare le gomme del suo istruttore. Dovremo controllare, però. Se le viene qualche altra idea, me la comunichi. Manderò qualcuno a prendere il giocattolo: vedremo di riuscire a ricavarne qualche impronta digitale, se sarà possibile.

Dopo aver riattaccato, mi siedo e penso a Don, ma non è piacevole. Penso a Marjory, invece.

Marjory ha detto a Lucia che io le piaccio? Questa è un’altra cosa che la gente normale fa, penso. Loro sanno quando a qualcuno piace un’altra persona, e quanto; non devono avere dubbi. Fa parte della loro abilità a leggere la mente degli altri, a sapere quando uno scherza e quando fa sul serio, a sapere quando una parola è usata nel suo senso letterale e quando è usata in altri sensi. Quanto vorrei sapere con sicurezza se piaccio a Marjory. Lei mi sorride e mi parla con gentilezza: ma lo farebbe ugualmente, credo, anche se avesse per me solo un poco di simpatia. È una persona di modi gentili.

Ricordo le accuse di Emmy. Ma le allontano dalla mia mente. Marjory è mia amica, me lo ha detto, e io devo crederle se davvero le sono amico.