Выбрать главу

— Perciò, se lei potesse spedirmi subito quei moduli, mi farebbe un vero favore — concluse Aldrin, e riappese. Poi chiamò subito un altro Bart, quello che Crenshaw gli aveva detto di contattare.

— Quando si sbrigherà ad avere quei moduli del consenso informato? — domandò. — E i tempi del programma sono stati stabiliti? Ha parlato con la Contabilità circa il problema degli stipendi? Si è messo in contatto con l’ufficio Risorse umane?

— Ehm… no. — Bart sembrava troppo giovane per essere importante, ma probabilmente era stato assegnato a quel posto da Crenshaw. — Pensavo solo… sa, il signor Crenshaw ha detto che lui… la sua sezione… si sarebbe presa cura dei dettagli. Mi pareva che il mio unico dovere fosse di assicurarmi che i volontari si qualificassero per il protocollo qui da me. I moduli del consenso non credo siano stati ancora compilati…

Aldrin sorrise tra sé e sé. La confusione di Bart era un vantaggio in più: qualunque dirigente sarebbe stato giustificato nello scavalcare un simile sciocco. Gli forniva la scusa buona per chiamare la dottoressa Hendricks. Se fosse stato fortunato… e su quel punto si sentiva fortunato… nessuno avrebbe capito chi dei due aveva chiamato per primo.

Adesso il problema era quando contattare qualcuno dei piani alti. Lui avrebbe preferito farlo quando i pettegolezzi avessero raggiunto un livello sufficiente, ma non aveva idea di quanto tempo ci avrebbero impiegato. Fino a quando Shirley o la dottoressa Hendricks avrebbero tenuto per sé le preoccupanti notizie che lui aveva fornite loro senza far nulla? E allorché si fossero decise ad agire, cos’avrebbero fatto? Se fossero corse subito da qualcuno dei massimi dirigenti, sarebbe stata questione di ore prima che lo scandalo scoppiasse; ma se avessero aspettato un giorno o due, ci sarebbe voluta probabilmente una settimana.

Il suo stomaco si contrasse. Aldrin masticò due compresse di antiacido.

14

Venerdì la polizia mi ha accompagnato al lavoro. La mia auto era stata rimorchiata alla stazione di polizia per essere esaminata: mi dicono che potrò riprenderla in serata. Il signor Crenshaw non è venuto nella nostra sezione. Io faccio ottimi progressi nel progetto di cui mi occupo.

La polizia manda una macchina per riportarmi a casa, ma prima passiamo a comprare una batteria nuova. Al deposito, firmo diverse carte e un meccanico monta la batteria nuova nella mia auto. Uno dei poliziotti si offre di venire con me a casa, ma io non credo di aver bisogno del suo aiuto. Lui mi dice che il mio appartamento è sotto sorveglianza.

Dentro, la mia macchina è sporca, piena di polvere. Vorrei pulirla, ma prima devo andare a casa. La strada dal deposito è più lunga di quella che percorro tornando dal lavoro, però non mi perdo. Parcheggio vicino all’auto di Danny e salgo al mio appartamento.

Per ragioni di sicurezza non devo lasciare il mio appartamento, ma è venerdì sera e ho bisogno di fare il bucato. La lavanderia è nel mio stesso edificio, quindi penso di essere al sicuro: dopo tutto qui abita anche Danny, e Danny è un poliziotto. Non uscirò dal palazzo, ma farò il bucato.

Metto la biancheria nel cestino della roba bianca e in quello della roba colorata, prendo il detersivo e guardo attraverso lo spioncino prima di aprire la porta. Non c’è nessuno, naturalmente. Esco, richiudo la porta a chiave e scendo.

Carico i panni in due lavatrici diverse e le metto in azione. Ho portato con me Cego e Clinton e siedo su una delle sedie di plastica accanto al tavolino per ripiegare il bucato. Mi piacerebbe portarla nell’atrio, ma sulla parete c’è un cartello che dice: AGLI INQUILINI È STRETTAMENTE PROIBITO PORTARE SEDIE FUORI DELLA LAVANDERIA. Non mi piace questa sedia, ha un orribile colore azzurro verdastro, ma standoci seduto almeno non la vedo.

Ho letto otto pagine quando arriva la vecchia signorina Kimberley col suo bucato. Io non alzo la testa, non desidero parlare. La saluterò se lei mi rivolgerà la parola.

—  Salve, Lou — dice. — Leggi?

— Salve. — Non rispondo alla sua domanda, perché lei può ben vedere che sto leggendo.

— Cosa leggi? — chiede avvicinandosi. Chiudo il libro tenendo il dito tra le pagine, così che lei possa vedere la copertina.

— Diamine, che librone! — commenta. — Non sapevo che ti piacesse leggere, Lou.

Io non capisco le regole sull’interrompere. Per me è sempre maleducazione interrompere le altre persone, mentre le altre persone non sembrano credere sia maleducato da parte loro interrompere me.

— Sì, talvolta — dico, senza distogliere gli occhi dal libro perché spero lei capisca che non voglio smettere di leggere.

— Sei in collera con me per qualche cosa? — chiede la signorina.

Adesso sono un poco in collera perché lei non vuole lasciarmi leggere in pace, ma non sarebbe gentile dirglielo.

— Di solito sei tanto amichevole e adesso hai portato quel librone così grosso: non è possibile che tu lo stia leggendo veramente…

— Sì che lo sto leggendo — dico, offeso. — Me lo ha prestato un’amica mercoledì sera.

— Ma è… sembra un libro molto difficile — ribatte lei. — Riesci davvero a capirlo?

La signorina è come la dottoressa Fornum: non crede che io sia capace di far molto.

— Sì, lo capisco — dico. — Sto leggendo in che modo le parti del cervello che elaborano la percezione visiva integrano gli impulsi discontinui per creare un’immagine stabile, come su uno schermo TV.

— Impulsi discontinui? — domanda lei. — Come quando l’immagine balla?

— In un certo senso — dico. — I ricercatori hanno identificato l’area del cervello dove l’immagine ballerina viene stabilizzata.

— Be’, io non vedo l’utilità pratica della faccenda — commenta lei caricando la lavatrice. — Io sono ben contenta di lasciare che il mio organismo lavori senza bisogno che ci guardi dentro. — Misura il detersivo, lo versa, inserisce le monete e si ferma prima di spingere il tasto di avviamento. — Lou, non credo sia sano tutto questo preoccuparti di come lavora il cervello. La gente può impazzirci sopra, sai.

No che non lo sapevo. Non avrei mai pensato che sapere troppo circa il lavoro del mio cervello potesse condurmi alla pazzia. Ma non credo che questo sia vero. Però non penso che lei mi crederebbe se le dicessi che non è vero. Non desidero spiegare nulla, così apro di nuovo il libro. Lei sbuffa e sento i suoi tacchi ticchettare sul pavimento quando se ne va.

Quando ero a scuola, c’insegnavano che il cervello era come un computer, solo non altrettanto efficiente. I computer non fanno errori se sono costruiti e programmati come si deve, il cervello sì. Da ciò io trassi l’idea che tutti i cervelli, anche quelli normali e figuriamoci poi il mio, sono computer di livello inferiore.

Questo libro invece spiega che il cervello è infinitamente più complesso di qualsiasi computer, e che anche il mio cervello è normale sotto molti rispetti. La mia visione dei colorì è normale; la mia acutezza visiva è normale. Cosa non è normale? Solo una piccolezza… credo.

Il libro parla di variazioni nell’abilità a captare brevi stimoli transitori. Io ricordo i giochi al computer che mi aiutavano a udire e poi ripetere consonanti come la p e la t e la d, specialmente quando erano accompagnate da altre consonanti. Mi facevano fare anche esercizi con gli occhi, ma io ero così piccolo che non li ricordo.

Guardo i visi appaiati nell’illustrazione che valuta la discriminazione dei lineamenti sia per posizione che per tipo. A me quei visi paiono tutti uguali: posso solo distinguere (con l’aiuto del testo) che quei due hanno gli stessi occhi, lo stesso naso e la stessa bocca, solo che uno li ha come allargati, più distanti dagli altri lineamenti. Se fossero in movimento, come sul viso di una persona vera, io non distinguerei nemmeno quello. Si suppone che ciò implichi qualche deficienza nella speciale parte del cervello che sovrintende al riconoscimento dei visi.