Nel campus mi fermo al mio solito posto nel parcheggio. Il signor Aldrin è nell’edificio, si trova nell’atrio come se mi stesse aspettando.
— Lou, l’ho visto nel notiziario… stai bene?
— Sì — dico. Dovrebbe essere evidente anche solo a guardarmi.
— Se non ti senti in forma, puoi prenderti una giornata libera.
— No, sto bene — lo rassicuro. — Posso lavorare.
— Be’… se ne sei certo… — Tace come se si aspettasse che io dica qualcosa, ma non riesco a pensare a nulla da dire. — Il notiziario diceva che avevi disarmato l’aggressore, Lou… non credevo che tu sapessi come si fa.
— Ho fatto solo quello che faccio quando tiro di scherma — spiego — anche se non avevo una spada.
— Scherma? — I suoi occhi si allargano, le sue sopracciglia si alzano. — Tu pratichi la scherma? Con spade e armi bianche?
— Sì, vado a lezione di scherma una volta la settimana. — Non so quanto rivelare dell’argomento.
— Non lo avevo mai saputo — dice lui. — Non so niente della scherma, a parte che chi la pratica porta divise bianche e si trascina dietro un sacco di fili elettrici.
Noi non portiamo divise bianche e non usiamo registrare i punti con l’elettricità, ma non me la sento di spiegare questo al signor Aldrin. Voglio riprendere il progetto al quale sto lavorando, e nel pomeriggio abbiamo un altro incontro con l’equipe medica. Poi ricordo quanto mi ha detto il tenente Stacy.
— Probabilmente dovrò andare alla stazione di polizia a firmare una deposizione — dico.
— Benissimo — annuisce il signor Aldrin. — Fa’ quello che devi fare. Sono certo che questo dev’essere stato per te un trauma terribile.
Il mio telefono suona. Penso che forse sarà il signor Crenshaw, perciò non mi affretto a rispondere, ma infine rispondo.
— Signor Arrendale? Sono l’agente Stacy. Senta, potrebbe venire alla stazione questa mattina?
Io non credo che questa sia una domanda autentica. Credo sia come quando mio padre mi diceva: "Tu prendi questo dall’altra parte, eh?" volendo dire: "Prendi questo dall’altra parte". Può essere più cortese dare ordini sotto forma di domande, ma tende a far confondere. — Dovrò chiedere il permesso al mio capo — dico.
— È una richiesta della polizia — spiega Stacy. — Abbiamo bisogno che lei firmi la sua deposizione e qualche altra scartoffia. Dica solo questo.
— Chiamo subito il signor Aldrin — rispondo. — Devo richiamarla?
— No… venga pure quando potrà. Io sarò qui tutta la mattina.
In altre parole, lui si aspetta che io vada qualunque cosa dica il signor Aldrin. Avevo ragione, la sua non era una domanda.
Chiamo l’ufficio del signor Aldrin.
— Pronto, Lou — dice lui. — Come stai? — Me lo aveva già chiesto.
— La polizia vuole che vada alla stazione a firmare la mia deposizione e qualche altro documento — dico. — Vogliono che vada subito.
— Te la senti? Vuoi che qualcuno ti accompagni?
— Sto benissimo — ripeto. — Ma devo andare.
— Naturalmente. Prenditi tutta la giornata.
Fuori, mi chiedo cosa pensi la guardia che mi vede uscire quasi subito dopo essere entrato. Dalla sua faccia non si capisce nulla.
La stazione di polizia è molto rumorosa. Davanti a un bancone lungo e alto c’è una nutrita fila di persone. Mi accodo, ma a un certo punto il signor Stacy esce e mi vede. — Venga — dice. Mi guida in un’altra stanza altrettanto rumorosa occupata da cinque scrivanie tutte coperte di roba. La sua… credo che sia la sua… ha un computer con vari attacchi e un grande schermo.
— Ecco la mia casa — dice, accennandomi una sedia davanti alla scrivania.
La sedia è di metallo grigio e ha sul sedile un sottile cuscino di plastica verde, attraverso il quale si sente lo scheletro della sedia. Regna un odore di caffè stantio, dolcetti da poco prezzo, patate fritte e l’arida puzza d’inchiostro delle stampanti e delle fotocopiatrici.
— Ecco la stampata della sua deposizione — dice Stacy. — La legga tutta, guardi se ci sono errori e, se non ci sono, la firmi.
Tutti quei se mi confondono un poco, ma capisco lo stesso. Leggo in fretta la deposizione, benché mi ci voglia un poco a comprendere che il "querelante" sono io e l’"assalitore" è Don. Non riesco inoltre a capire perché io e Don veniamo chiamati "maschi" e non "uomini" mentre Marjory è una "femmina" e non una "donna". Penso che sia poco gentile chiamarla "una femmina conosciuta da ambedue i maschi in un contesto sociale".
Poi il signor Stacy mi dice che devo firmare una querela contro Don. Non comprendo perché. È contro la legge fare le cose che Don ha fatto, e ci sono le prove che lui le ha fatte. Non dovrebbe importar nulla che io firmi denunce o no. Ma se la legge lo richiede, acconsento a firmarla.
— Cosa succederà a Don se verrà giudicato colpevole?
— Di atti di vandalismo ripetuti e culminanti in un’aggressione con scopi omicidi? Non se la caverà con meno di un PPD — dice Stacy. — Si tratta di un chip cerebrale programmabile atto al controllo della personalità. Lo innestano nel cervello…
— Lo so — dico. Mi sento gelare dentro: almeno io non devo contemplare la possibilità che m’inseriscano un chip nel cervello.
— Non è come si vede negli spettacoli — spiega Stacy. — Niente scintille, niente lampi abbaglianti… l’uomo semplicemente non sarà più in grado di fare certe cose.
Ciò che ho sentito dire… ciò che abbiamo sentito dire al Centro… è che il PPD controlla la personalità e costringe il riabilitando (questo è il termine che preferiscono usare) a fare soltanto ciò che gli vien detto di fare.
— Non potrebbe Don pagare solo le mie gomme e il mio parabrezza? — domando.
— Occorre controllare la recidività — dice Stacy frugando tra un mucchio di stampate. — Tornano a commettere lo stesso crimine, è provato. Proprio come lei non può smettere di essere lei, una persona autistica, così Don non può smettere di essere lui, una persona gelosa e violenta. Se se ne fossero accorti quando era piccolo, be’, allora… oh, eccoci qui. — Tira fuori un foglio. — Questo è il modulo. Lo legga con attenzione, firmi dove c’è la X e metta la data.
Leggo il modulo, che ha sull’intestazione lo stemma civico. In esso si dice che io, Lou Arrendale, faccio denuncia di un sacco di cose alle quali non ho davvero mai pensato. Io credevo che la cosa fosse semplice: Don aveva cercato di spaventarmi e infine aveva cercato di farmi del male. Invece il modulo afferma che io lo sto denunciando per distruzione dolosa di beni, per furto di beni valutati più di $ 250, per aver fabbricato un ordigno esplosivo, per averlo piazzato in una mia proprietà, per aggressione a scopi omicidi con un ordigno esplosivo… — Perché, quel falso giocattolo poteva uccidermi? — chiedo. — Qui dice "aggressione con un’arma letale".
— Gli esplosivi sono un’arma letale. È vero che l’accensione non era programmata bene e quindi l’ordigno non è esploso quando avrebbe dovuto, e la quantità di esplosivo impiegata non conta. Lei avrebbe potuto perdere alcune dita o rimanere sfregiato. A norma di legge è così.
— Io non sapevo che con una sola azione, portar via la batteria e mettere al suo posto un diavoletto a molla, si potesse infrangere più di una legge.