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— Non lo sanno nemmeno un sacco di criminali — dice Stacy. — Ma il cumulo dei reati è una cosa comune. Mettiamo che un criminale entri in una casa mentre i proprietari sono assenti e rubi delle cose. C’è una legge che riguarda lo scassinare le porte e un’altra che riguarda il furto.

Però io non ho realmente denunciato Don per aver fabbricato un ordigno esplosivo, perché non ho mai saputo che lo stava fabbricando. Guardo il tenente Stacy: è chiaro che ha una risposta per ogni domanda, quindi non servirebbe a niente discutere. Non mi sembra giusto che una sola azione faccia scaturire quel diluvio di denunce, ma ho sentito parlare altre volte di questo stesso tipo d’ingiustizie.

Il modulo continua a enumerare quanto Don ha fatto in linguaggio meno formale: parla delle gomme, del parabrezza, del furto di una batteria d’automobile valutata $ 262,37, del piazzamento dell’ordigno esplosivo sotto il coperchio del cofano e dell’aggressione nel parcheggio. Con tutte queste azioni descritte in ordine, appare evidente che Don ha davvero fatto tutto ciò, che aveva seriamente l’intenzione di farmi del male e che anche il primo sabotaggio era foriero di conseguenze fatali.

Ma per me capire risulta ancora difficile. Io so ciò che Don ha detto, quali parole ha usato, tuttavia per me non hanno molto senso. Don è un uomo normale. Poteva parlare con Marjory a suo agio, e infatti le parlava. Niente gli impediva di diventare suo amico, niente tranne se stesso. Non è colpa mia se a lei io piaccio. Non è colpa mia averla conosciuta alle lezioni di scherma, perché io ero là già da prima e non l’avevo mai conosciuta finché non è venuta.

— Io non so perché — dico.

— Perché cosa? — chiede Stacy.

— Non so perché Don si sia arrabbiato tanto contro di me — spiego.

Lui piega la testa da un lato. — Ma lui gliel’ha detto — risponde — e lei mi ha riferito quel che ha detto.

— Sì, ma la cosa non ha senso — dico. — A me Marjory piace moltissimo, ma lei non è la mia ragazza. Non l’ho mai portata fuori. Nemmeno lei mi ha portato fuori. Non ho mai fatto nulla che potesse far del male a Don. — Non dico a Stacy che mi piacerebbe uscire con Marjory: lui potrebbe chiedermi perché non lo faccio e io non voglio rispondere.

— La cosa non avrà senso per lei, ma ne ha per me — dice Stacy. — Noi ne vediamo un sacco di cose del genere, casi di gelosia che evolve in rabbia omicida. Lei non doveva far nulla di provocatorio: il delitto era in Don, nel suo intimo.

— Ma dentro, lui è una persona normale — insisto.

— Lui non è dichiaratamente insano di mente, Lou, tuttavia non è normale. Le persone normali non mettono ordigni esplosivi nelle automobili altrui.

— Lei vuol dire che Don è pazzo?

— Questo dovrà deciderlo il tribunale — dice Stacy. — Lou, perché sta cercando di scusarlo?

— Io non… Sono d’accordo, quello che ha fatto è sbagliato, ma avere un chip inserito nel cranio che farà di lui un’altra persona…

Stacy spalanca gli occhi. — Lou, io vorrei che persone come lei… cioè persone che non hanno nulla a che fare con l’amministrazione della giustizia… capissero che cosa sono realmente i PPD. Il chip non farà di Don un’altra persona. Lo farà diventare Don senza l’impulso a far del male alla gente che lo disturba in qualsiasi modo. Così noi non dovremo tenerlo rinchiuso per anni onde evitare che lui commetta di nuovo le stesse cattive azioni… lui non ne commetterà più, contro nessuno. Come pena, è molto più umana di come si usava prima, cioè rinchiudere i criminali per anni insieme ad altri criminali e in un ambiente che serviva solo a farli diventare peggiori. Il chip non gli farà male, non lo trasformerà in un robot. Don potrà vivere una vita normale. L’unica cosa che non potrà fare sarà commettere crimini violenti. Il chip è l’unico rimedio che funzioni, a questo scopo, se escludiamo la pena di morte… e questa, lo ammetto, mi pare un po’ eccessiva per quanto Don ha fatto a lei.

— La cosa continua a non piacermi — dico. — Io non vorrei mai che qualcuno mi mettesse un chip nel cervello.

— I chip si usano anche a scopi terapeutici — mi spiega lui. Questo lo so: so che per certi attacchi non curabili, per il parkinsonismo e per certe lesioni al midollo spinale sono stati sviluppati chip e bypass speciali. Ma quanto al chip che vogliono impiantare su Don, non ne ho un’opinione favorevole.

Eppure è la legge. Il modulo non contiene una parola che non sia vera. Don ha fatto davvero tutte quelle cose. E io ho chiamato la polizia a causa di esse, tranne l’ultima volta, quando il crimine è avvenuto sotto gli occhi della polizia stessa. Alla fine del modulo, fra il testo e la riga per la mia firma, c’è una frase nella quale si dice: io giuro che tutto ciò che è riportato nella deposizione è vero. E a quanto ne so io è proprio vero, e questo dovrà bastarmi. Firmo sulla riga, aggiungo la data e porgo il modulo a Stacy.

— Grazie, Lou — dice lui. — Adesso il procuratore distrettuale desidera vederti per spiegarti cosa succederà in seguito.

Il procuratore distrettuale è una donna di mezza età con capelli neri e grigi molto ricciuti. La targhetta sulla sua scrivania dice: ASS. PD BEATRICE HUNSTON. La sua pelle ha il colore del pan di zenzero. Il suo ufficio è più grande del mio e tutto intorno ha scaffali con libri. Sono libri vecchi, avana con quadrati neri e rossi sui dorsi. Non danno l’impressione che qualcuno li abbia mai letti, e io mi chiedo se siano veri. Sul ripiano della scrivania, che è nera, c’è un calendario automatico.

— Sono lieta che lei sia vivo, signor Arrendale — dice. — È stato davvero fortunato. Mi pare che lei abbia firmato una denuncia contro Donald Poiteau, vero?

— Sì — dico.

— Allora lasci che le spieghi cosa accadrà dopo. La legge dice che il signor Poiteau ha diritto a un processo di fronte a una giuria, se lo desidera. Noi abbiamo abbondanti prove che è lui la persona coinvolta in tutti gli incidenti, e siamo certi che tali prove verranno accettate in tribunale. È però più probabile che l’avvocato di Poiteau gli consigli di venire a un patteggiamento. Lei sa cosa significa?

— No — dico, perché so che lei desidera spiegarmelo.

— Se un imputato non spreca le risorse statali chiedendo un processo, si potrà ridurre la durata della pena che dovrà scontare fino a farla coincidere con il tempo richiesto dall’impianto e dalla programmazione del PPD, il chip. Altrimenti, se fosse condannato, dovrebbe scontare come minimo cinque anni di detenzione. Intanto Poiteau sta assaggiando cosa significa la detenzione, e io penso che accetterà di patteggiare.

— Però potrebbe anche essere assolto — dico.

La donna mi sorride. — Ciò non accade praticamente più — risponde. — Non col tipo di prove che abbiamo. Lei non deve preoccuparsi, quell’uomo non potrà più farle del male.

Io non sono preoccupato… o non lo ero finché lei non ha detto questo. Una volta che Don è stato arrestato non mi sono più preoccupato per causa sua. Se dovesse fuggire ricomincerò a preoccuparmi. Ma per ora non sono preoccupato.

— Se non ci sarà processo, se il suo avvocato accetterà il patteggiamento, allora non ci sarà bisogno che lei sia chiamato — continua lei. — Lo sapremo tra pochi giorni. Se invece Poiteau chiedesse un processo, lei dovrà comparirvi come testimone d’accusa. Ciò significa che dovrà passare del tempo con me o con qualcuno del mio ufficio allo scopo di preparare la sua testimonianza; poi dovrà passare dell’altro tempo in tribunale. Lo capisce?

Capisco quello che lei mi dice. Quello che non dice e che forse non sa è che il signor Crenshaw si arrabbierà moltissimo se mancherò dal lavoro così a lungo. Spero che Don e il suo avvocato non insistano nel volere un processo. — Sì — dico.

— Bene. Tutta la procedura è cambiata negli ultimi dieci anni, grazie all’introduzione del chip PPD; adesso è molto più semplificata. Ci sono meno casi per il tribunale, così vittime e testimoni non perdono tanto tempo. Ci sentiremo, signor Arrendale.