— Non ne avevo mai visto uno verde — dico.
— Non lo ha mai visto nessun altro — dice. La sua maschera è del tipo normale, bianca ma ingiallita dall’età e dall’uso. Porta guanti marrone. Io indosso la maschera.
— Con quali armi? — domando.
— Quali preferisci? — chiede lui.
Io non ho preferenze: ogni arma o combinazione di armi ha le sue particolarità.
— Provate spada e daga — suggerisce Tom. — Sarà divertente da vedere.
Prendo la mia spada e la mia daga e le manipolo finché non diventano confortevoli… quasi non le sento, e questo va bene. La spada di Simon ha un’ampia coccia a campana, ma la sua daga ha un semplice anello. Se non è molto bravo nelle parate, potrei essere in grado di toccarlo alla mano. Mi chiedo se accuserà i colpi o no. Ma è un arbitro, certo sarà onesto.
Ha una posa rilassata, con le ginocchia appena piegate, l’aria di chi ha tirato di scherma abbastanza spesso da farlo ormai agevolmente. Ci salutiamo e la sua lama vibra nell’aria quando si abbassa. Sento il mio stomaco contrarsi. Non so cosa farà ora. Prima che io possa riprendermi lui allunga una stoccata, una cosa che nel nostro gruppo non facciamo quasi mai, col braccio completamente esteso e una gamba allungata all’indietro. Io evito con una contorsione, parando con la daga e allungando a mia volta una stoccata al di sopra della sua daga… ma lui è veloce, veloce come Tom, e ha già il braccio alzato a parare. Si riprende dall’affondo così in fretta che non posso approfittare di quel breve momento di mancanza di mobilità, e mi fa un cenno con la testa mentre ritorna alla posizione di guardia. — Bella parata — dice.
Il mio stomaco si contrae ancora di più e mi rendo conto che non è paura ma eccitazione. Simon può dimostrarsi più bravo di Tom. Vincerà, ma io imparerò. Si muove di sbieco e io lo seguo. Attacca diverse altre volte, sempre molto velocemente, e io riesco a parare tutti i suoi assalti, ma non attacco a mia volta. Voglio scoprire il suo schema, che è molto variato. Ancora e ancora. Basso alto alto basso basso alto basso basso basso alto alto: anticipo la sua prossima mossa e attacco mentre lui porta di nuovo un colpo basso, e questa volta lui non riesce a parare bene e io lo colpisco appena, di striscio, alla spalla.
— Buono — dice lui facendo un passo indietro. — Eccellente. — Lancio un’occhiata a Tom, che annuisce sorridendo. Max si stringe le mani sollevate sopra la testa e sorride anche lui. Io provo un urto di nausea. Nel momento del contatto io ho visto la faccia di Don e sentito il colpo che gli ho assestato e l’ho visto afflosciarsi a terra. Scuoto la testa.
— Tutto bene? — chiede Tom. Non voglio dir nulla. Non so se desidero continuare.
— Meglio fare una pausa — dice Simon, benché ci siamo battuti solo per un paio di minuti. Mi sento sciocco: so che lo fa per me e non dovrei essere depresso, ma lo sono. Ora ritorna ancora e ancora quell’impressione sulla mia mano, l’afrore del respiro che Don esala dopo il colpo, suono e visione e impressione tutto in una volta. Parte della mia mente ricorda il libro, la discussione sulla memoria, sullo stress e sul trauma, ma per la maggior parte provo solo una gran tristezza, un’aguzza e chiusa spirale di pena, paura e rabbia unite insieme.
Batto le palpebre e lotto per rimettermi, mentre una frase musicale mi attraversa la mente: la spirale si apre e si dilegua. — Sto… bene… — dico. Mi è ancora difficile parlare, ma già mi sento meglio. Alzo la mia spada. Simon fa un passo indietro e alza la sua.
Ripetiamo il saluto. Questa volta il suo attacco è altrettanto veloce ma diverso. Non riesco a distinguere il suo schema e decido di attaccare a mia volta. La sua lama scivola attraverso la mia parata e mi tocca nella parte sinistra dell’addome. — Toccato — dico.
— Mi stai facendo faticare davvero troppo — dice Simon. Sento infatti che ha il respiro affannoso, ma ce l’ho anch’io. — Mi hai quasi colpito quattro volte.
— Ho sbagliato la parata — commento. — Era troppo debole.
— Vediamo se farai di nuovo lo stesso errore — dice lui. Saluta e questa volta io attacco per primo. Non riesco a toccarlo, e i suoi attacchi sembrano più veloci dei miei; devo parare tre o quattro volte prima di vedere un’occasione favorevole. Ma prima che io lo tocchi, lui mi colpisce alla spalla destra.
— È proprio una fatica eccessiva — esclama. — Lou, sei uno schermidore di prim’ordine. Lo avevo già capito al torneo: i novellini non vincono mai e tu hai avuto qualche problema tipico di chi si batte per la prima volta, ma era chiaro che sapevi bene quel che facevi. Hai mai considerato l’idea di dedicarti alla scherma classica?
— No — dico. — Io conosco solo Tom e Lucia…
— Dovresti pensarci su. Tom e Lucia sono istruttori migliori di tanti schermidori da cortile… — Simon sorride a Tom che fa una smorfia. — Ma alcune tecniche classiche potrebbero migliorare il tuo lavoro di gambe. Quest’ultima volta ti ho colpito non perché sono stato più veloce di te, ma perché sapevo esattamente dove mettere il piede per ottenere la massima estensione con la minima esposizione. — Simon si toglie la maschera, appende la spada alla rastrelliera esterna e mi tende la mano. — Grazie, Lou, è stato un bell’incontro. Quando avrò ripreso fiato, forse potremo batterci ancora.
— Grazie — dico io, e gli stringo la mano. La stretta di Simon è più ferma di quella di Tom. Sono anch’io a corto di fiato. Appendo la mia spada, metto la maschera sotto una sedia e mi siedo. Mi chiedo se sono risultato simpatico a Simon o se lui farà come Don e mi prenderà in antipatia in seguito. Mi chiedo se Tom gli ha detto che sono autistico.
16
— Mi dispiace — dice Lucia. È uscita con la sua attrezzatura e siede accanto a me, alla mia destra. — Non avrei dovuto fare quella specie di scenata.
— Io non me la sono presa — dico. Ed è vero, perché adesso so che lei ha capito che era sbagliata e non la ripeterà.
— Bene. Senti… io so che ti piace Marjory e che tu piaci a lei. Non lasciare che questo pasticcio con Don rovini tutto, capito?
— Io non so se piaccio a Marjory in modo speciale — dico. — Don ha detto di sì, ma lei non ha mai detto nulla.
— Lo so. È difficile. Le persone adulte non hanno la mancanza d’inibizioni dei bambini, e in questo modo si creano un sacco di complicazioni.
Marjory esce dalla casa tirando su la lampo del giubbotto da scherma. Sorride a me o a Lucia… non sono sicuro della destinazione… quando la lampo s’inceppa. — Ho mangiato troppe frittelle — si giustifica — o mi sto muovendo troppo poco o cose del genere.
— Qui… — Lucia tende la mano e Marjory si avvicina, così Lucia può liberare la lampo e farla scorrere. Io non sapevo che tendere la mano fosse un segnale per offrire aiuto, pensavo piuttosto che fosse un segnale per chiederlo. Forse sarà l’associazione con la parola "qui".
— Vuoi batterti, Lou? — mi chiede Marjory.
— Sì — dico sentendomi arrossire. Metto la maschera e prendo la spada. — Vuoi che usiamo spada e daga?
— Certo — risponde lei. Indossa la sua maschera e non posso più vedere il suo viso, solo il luccicare dei suoi occhi e dei suoi denti quando parla. Vedo però la sagoma del suo corpo sotto il giubbotto da scherma e mi piacerebbe toccarla, ma so che non è appropriato. Lo sarebbe solo se lei fosse la mia ragazza.
Marjory saluta. Ha uno schema di attacco più semplice di quello di Tom e potrei colpire subito, ma poi l’incontro finirebbe troppo presto. Io paro, vado a fondo, paro di nuovo. Quando le nostre lame si toccano, io posso sentire la sua mano attraverso quel contatto; ci stiamo toccando senza toccarci. Marjory mi aggira, si muove avanti e indietro e io seguo i suoi movimenti. È come una specie di danza, una configurazione di movimenti, eccetto che non c’è musica. Percorro con la mente la musica che conosco, cercando di trovarne una adatta a questa danza. Mi fa una strana impressione cercare di accordare il mio schema a quello di Marjory, non per vincere ma per sentire quel contatto, il tocco delle lame l’una contro l’altra.