Arriva Don di corsa come al solito, tutto sudato e con la faccia rossa. — Ciao, Lou — dice. Io mi faccio da parte perché possa prendere le sue armi dalla rastrelliera. Lui è normale e potrebbe portare la spada in automobile se volesse, senza far paura a nessuno, ma è molto distratto. La dimentica sempre ed è costretto a farsi prestare le armi dagli altri, così Tom gli ha detto di lasciare le sue cose qui.
Esco nel cortile. Marjory non è ancora arrivata. Cindy e Lucia stanno per cominciare un incontro alla spada e Max si sta mettendo l’elmetto di acciaio. Non credo che a me piacerebbe portarne uno; risuonerebbe troppo quando qualcuno lo colpisse.
Viene fuori anche Dan, con portamento spavaldo, la spada sotto il braccio. Si sta abbottonando il suo bel farsetto di pelle. A volte vorrei averne uno anch’io, ma credo che per me sia meglio preferire le cose semplici.
— Hai fatto gli stiramenti? — gli domanda Lucia.
Lui fa spallucce. — Quanto basta.
Lei scuote il capo. — Affari tuoi. — Lei e Cindy danno inizio all’incontro. Mi piace guardarle e rendermi bene conto di quanto stanno facendo. Sono così veloci che fatico a seguirle, ma questo succede anche alle persone normali.
— Ciao, Lou — dice Marjory dietro di me. Mi sento tutto caldo e leggero, come se la gravità fosse diminuita. Per un istante chiudo gli occhi. Lei è bellissima, ma mi è difficile guardarla.
— Ciao, Marjory — dico voltandomi. Lei mi sorride e ha il viso lucido. In principio mi turbava il fatto che quando la gente è molto felice il suo viso diventi lucido, perché anche quando va in collera la gente ha il viso lucido, e io non riuscivo mai a capir bene quale dei due sentimenti provassero. I miei genitori hanno cercato tante volte di spiegarmi la differenza, e alla fine io ho concluso che il modo migliore per orientarsi è fare attenzione alla posizione delle sopracciglia e degli angoli degli occhi. Il viso di Marjory è quello di una persona felice. Lei è felice di vedermi e io sono felice di vederla.
— Ciao, Marj — dice Don, e anche il suo viso è lucido: lui pure pensa che lei sia bella. Io so che quanto provo si chiama gelosia, l’ho letto in un libro. È un sentimento cattivo, e significa che posso diventare invadente. Mi tiro indietro, cercando di essere più discreto, e Don si fa avanti. Marjory però guarda me, non lui.
— Vuoi giocare? — chiede Don, dandomi un colpetto col gomito: vuol dire se voglio esercitarmi con lui. All’inizio non lo capivo, ma adesso sì. Annuisco col capo e ci troviamo un posto per batterci.
Ci giriamo intorno, eseguendo una serie di finte e parate, poi vedo il suo braccio cadere lungo il fianco. Anche questa è una finta? Comunque è un’apertura, e io con una stoccata lo colpisco al petto.
— Mi hai preso — dice lui. — Però il braccio mi fa male davvero.
— Mi dispiace — mi scuso. Lui rotea la spalla, poi di colpo balza in avanti e avventa un affondo contro il mio piede. Non è la prima volta che lo fa, così salto all’indietro e non mi lascio toccare. Continuiamo l’incontro, ma dopo che io l’ho colpito altre tre volte lui fa un sospirone e dice che è stanco. Io sono contento di smettere: preferisco parlare con Marjory.
Lei adesso è seduta accanto a Lucia, che si sta riposando e le sta mostrando delle fotografie. La fotografia è il suo hobby. Mi tolgo la maschera e guardo le due donne; il viso di Marjory è più ovale di quello di Lucia. Don si mette tra me e lei e comincia a parlare.
— Ci stai interrompendo — dice Lucia.
— Oh, spiacente — dice lui, ma rimane dove sta.
— E inoltre stai in mezzo come un palo — continua lei. — Fa’ il piacere di toglierti da davanti agli altri.
Don si volta a guardarmi, sbuffa e si sposta di lato. — Non avevo visto Lou — si scusa.
— Io sì — dice Lucia, e torna a mostrare le foto a Marjory. Don di tanto in tanto la interrompe con commenti. Alla fine Lucia chiude l’album e lo mette sotto la sedia.
— Vieni, Don — dice. — Vediamo come te la cavi con me. — Don fa spallucce e la segue verso uno spazio libero.
— Siediti, Lou — mi invita Marjory. Io siedo sulla sedia lasciata libera da Lucia. — Com’è andata la tua giornata? — chiede Marjory.
— Ho assistito a un incidente — racconto. Lei non mi fa domande, mi lascia parlare. Adesso che ne parlo con lei mi sembra meno accettabile il fatto che me ne sia andato in quel modo dalla scena dell’incidente, ma non volevo far tardi al lavoro.
— Sono cose spiacevoli — commenta lei. Ha una voce calda, distensiva: non una di quelle voci professionalmente rassicuranti, solo una voce gentile e gradevole alle mie orecchie.
Vorrei raccontarle del signor Crenshaw, ma ecco che arriva Tom e mi domanda se voglio fare un incontro. Mi piace battermi con lui. È alto quasi come me, e benché sia più anziano è molto in forma. Di tutto il gruppo, è lo schermidore più bravo.
— Ho visto il tuo incontro con Don — dice. — Eludi i suoi trucchi molto bene, però lui sta peggiorando. Quindi fammi il piacere di esercitarti con qualcuno degli elementi migliori ogni settimana: con me, con Lucia, con Cindy o con Max. Almeno con due di noi per volta, va bene?
"Almeno" vuol dire "non meno di". — D’accordo — dico. Ambedue abbiamo due armi, la spada e lo stocco. La prima volta che cercai di usare due lame non facevo che batterle l’una contro l’altra. Poi cercai di tenerle parallele: in quel modo non s’incrociavano, ma a Tom era facile batterle da parte tutt’e due. Adesso invece so come impugnarle a differenti angolature e altezze.
Giriamo l’uno intorno all’altro, prima in un senso e poi nell’altro. È come una danza: passo, passo, stoccata, parata, passo. Tom dice sempre che non bisogna seguire uno schema nell’attacco, che bisogna essere imprevedibili; ma l’ultima volta che l’ho visto battersi con un altro di noi, mi è sembrato di distinguere uno schema nel suo modo di attaccare apparentemente casuale. Se riesco a restargli fuori portata abbastanza a lungo, forse riuscirò a distinguerlo di nuovo.
Di colpo mi sorge nella mente la musica del balletto Romeo e Giulietta di Prokofiev. I miei movimenti si accordano col suo ritmo e rallentano. Anche Tom rallenta. E adesso posso vederlo, il lungo schema che lui ha elaborato, perché nessuno può mantenere a lungo uno schema davvero irregolare. Continuo a muovermi a tempo con la mia musica e contemporaneamente in sintonia con l’avversario, parando i suoi assalti e osservando le sue parate. Così di colpo so ciò che lui vuol fare, e senza pensarci tiro una botta rovescia e lo colpisco a un lato della testa. Il colpo mi si ripercuote nella mano e nel braccio.
— Ben fatto! — dice Tom. La musica s’interrompe. — Diamine! — esclama scuotendo la testa.
— Ho colpito troppo duro, mi dispiace — dico.
— No, no, è stato un colpo stupendo, dritto attraverso la mia guardia. Non mi è stato possibile nemmeno abbozzare una parata. — Dietro la maschera sta sorridendo beato. — Te l’ho detto che vai migliorando di continuo. Ricominciamo.
La luce occhieggia lungo le lame di Tom, ambedue alzate nel saluto. Per un momento mi abbaglia il suo brillio, la velocità della danza della luce.
Poi ricomincio a muovermi nel buio al di là della luce. Quanto è veloce il buio? L’ombra non può essere più veloce della cosa che la proietta, ma non tutto il buio è ombra… o no? Questa volta non sento musica ma vedo uno schema di luci e ombre che scivolano e ammiccano, archi e spirali di luce su uno sfondo oscuro.
Sto danzando al bordo della luce quando sento un contraccolpo sulla mia mano e nello stesso tempo il colpo della lama di Tom sul mio petto. Dico: — Ben fatto! — quasi all’unisono con lui e ambedue facciamo un passo indietro. Ci siamo uccisi a vicenda.