Paganini: il Primo concerto per violino in Re maggiore opera 6, terzo movimento. Non è proprio perfettamente adatto, ma è l’accompagnamento migliore di qualsiasi altro mi riesca di ricordare: è maestoso ma veloce, con piccole pause quando Marjory non tiene un ritmo esatto cambiando direzione. Nella mia mente accelero o rallento la musica perché coincida con i nostri movimenti.
Mi chiedo cosa senta Marjory. Mi chiedo se può sentire la musica che sento io. Se ambedue stessimo pensando alla stessa musica, la sentiremmo tutt’e due nello stesso modo? Saremmo in accordo o no? Io sento i suoni come colori su uno sfondo scuro; lei forse potrebbe sentirli come linee scure su fondo bianco, come è stampata la musica.
Il tocco di Marjory spezza la catena dei miei pensieri. — Toccato! — dico, e faccio un passo indietro. Lei annuisce e di nuovo eseguiamo il saluto.
Lessi qualcosa una volta dove il pensiero veniva descritto come luce e il non pensiero come buio. Io sto pensando ad altro mentre ci battiamo, così Marjory ha segnato un punto prima di me. Quindi, se lei non sta pensando ad altre cose, forse questo non pensiero l’ha resa più veloce, ed è quel buio più veloce della luce del mio pensiero?
Il violino si solleva in una configurazione a spirale, lo schema di Marjory s’interrompe e io passo all’attacco nella danza, che ora è un mio assolo, e colpisco.
— Toccata — dice lei, e si trae indietro. Il suo respiro affannoso solleva e abbassa il giubbetto. — Mi hai stancata parecchio, Lou. È stato un incontro lungo.
— Ricominci con me? — chiede Simon. Io vorrei stare di più con Marjory, ma prima ho avuto piacere nel battermi con Simon e desidero rifarlo.
Questa volta la musica comincia alle nostre prime mosse, una musica diversa, la Carmen Fantasia di Sarasate… perfetta per l’agilità felina di Simon che mi gira intorno in cerca di un’apertura, e per la mia assoluta concentrazione. Non avevo mai pensato di poter danzare prima… era una cerimonia sociale e io mi sentivo sempre impacciato e goffo. Adesso, con una lama in mano, mi sento del tutto a mio agio a muovermi a tempo di musica.
Simon è molto più bravo di me, ma ciò non mi disturba. Sono impaziente di vedere cosa potrà fare e cosa potrò fare io. Mi tocca una volta, poi un’altra, poi sono io a toccarlo. — Chi segna di più fino a cinque? — chiede. Annuisco, sono a corto di fiato. Per un poco nessuno di noi due segna un punto, finché io non lo tocco di nuovo, più per fortuna che per abilità. Ora siamo pari. Gli altri ci guardano in silenzio: posso sentire il loro interesse come un gradevole calore sulle mie spalle mentre mi batto. Avanti, di lato, intorno, indietro. Simon conosce ogni mio attacco e vi contrappone i suoi, che io riesco appena a parare. Finalmente lui fa qualcosa che non vedo neppure… la sua lama ricompare a sorpresa proprio mentre io ero sicuro di averla respinta con una parata. Ultimo colpo dell’incontro.
Sono grondante di sudore, benché sia una serata molto fresca. Sono certo di emanarne l’odore e rimango sorpreso quando Marjory mi si avvicina e mi tocca un braccio.
— È stato splendido, Lou! — dice. Mi tolgo la maschera. I suoi occhi scintillano, il suo viso è tutto illuminato dal sorriso.
— Sto sudando — dico.
— Lo credo, dopo un incontro simile — commenta lei. — Che meraviglia! Non sapevo che potessi batterti così.
— Non lo sapevo neanch’io — dico.
— E adesso che lo sappiamo tutti — dice Tom — dobbiamo farti partecipare a più tornei. Tu cosa ne pensi, Simon?
— Lou è più che pronto. I più abili schermidori dello stato possono essere in grado di vincerlo, ma una volta che lui si sarà abituato a superare il nervosismo da torneo darà anche a loro filo da torcere.
— Allora, ti piacerebbe venire con noi a un altro torneo, Lou? — chiede Tom.
Mi sento gelare. Credo che loro pensino di far qualcosa di buono per me, ma io ricordo che Don si era arrabbiato con me proprio a causa del torneo. E se poi qualcuno dovesse arrabbiarsi con me a ogni torneo e per causa mia finisse per farsi mettere un chip PDD? Di quanti guai potrei essere la causa?
— Occupano tutta la giornata di sabato — dico.
— Sì, e certe volte anche tutta la domenica — dice Lucia. — Per te è un problema?
— Io… io vado in chiesa la domenica — dico.
Marjory mi guarda. — Non sapevo che tu andassi in chiesa, Lou — dice. — Be’, potresti partecipare solo di sabato… o ci sono problemi anche con i sabati?
Non ho alcuna risposta pronta. Non credo che capirebbero se parlassi loro di Don. Mi stanno guardando tutti e io mi sento confuso. Non desidero che vadano in collera con me.
— Il prossimo torneo nelle vicinanze ci sarà dopo il Rendimento di Grazie — annuncia Simon. — Non c’è bisogno di prendere una decisione questa sera. — Mi guarda con espressione bizzarra. — Ti preoccupa il fatto che qualcuno possa di nuovo non accusare i colpi, Lou?
— No… — Sento che la gola mi si chiude e abbasso le palpebre per calmarmi. — Si tratta di Don — dico. — Lui andò in collera al torneo. Fu per quello, credo, che lui… finì per deprimersi tanto. Io non voglio che questo avvenga a qualcun altro.
— Non fu per colpa tua — dice Lucia, ma pare irritata. È questo che succede, penso: la gente si irrita per causa mia, anche se non si irrita con me. Non c’è bisogno che sia colpa mia perché io sia motivo di collera.
— Capisco cosa vuoi dire — dice Marjory. — Tu non vuoi causare fastidi, vero?
— Sì.
— E non puoi essere sicuro che nessuno si arrabbierà con te.
— Sì.
— Ma… Lou… le persone si arrabbiano con altre persone anche senza ragione. Don era arrabbiato anche con Tom. Altra gente può essere arrabbiata con Simon; io so che c’è stato chi si è arrabbiato con me. Sono cose che succedono. Purché una persona sia certa di non far nulla di male, non può stare a preoccuparsi continuamente che qualcuno possa arrabbiarsi con lei.
— Forse la cosa non ti dispiace quanto a me — dico.
Lei mi lancia un’occhiata che, ne sono certo, significa qualcosa ma non so quale. Lo saprei se fossi normale? Come fanno le persone normali a imparare cosa significano quelle occhiate?
— Forse no — dice lei. — Io avevo l’abitudine di pensare che fosse sempre colpa mia e me ne affliggevo di più. Ma questo è… — S’interrompe e capisco che sta cercando un modo di esprimersi educato. Lo so perché spesso mi è capitato di parlare lentamente mentre cerco un modo educato di esprimermi. — È difficile stabilire quanto ci si deve affliggere per cose del genere — conclude.
— Già — dico io.
— Il vero problema sono le persone che credono che tutto sia colpa degli altri — dice Lucia. — Quelli che biasimano gli altri per le loro mancanze, e ci si arrabbiano.
— Certe volte però l’irritazione è giustificata — commenta Marjory. — Non dico nel caso di Don e Lou. Lou non ha fatto niente di male. Era tutta colpa della gelosia di Don. Ma io vedo cosa sta a cuore a Lou: lui non vuole essere causa di guai per nessuno.
— Oh, non lo sarà mai, non è il tipo — dice Lucia lanciandomi a sua volta un’occhiata; un’occhiata diversa da quella che mi ha lanciato Marjory. Neppure questa so cosa significhi.