— Quindi io dovrei desiderare di guarirne, anche se non esiste cura?
— Credo che noi dobbiamo volere quel che Dio vuole; solo che la maggior parte delle volte non sappiamo cosa sia — dice lui.
— Lei lo sa — dico.
— Solo in parte. Dio vuole che noi siamo onesti, cortesi, e che ci aiutiamo l’un l’altro. Ma se Dio voglia che cerchiamo qualsiasi benché minima possibilità di cura per i nostri mali… questo non lo so. Forse è giusto farlo solo se la cosa non ostacola il nostro progresso quali figli di Dio, suppongo. Poi ci sono mali che non è umanamente possibile curare, e allora il meglio che possiamo fare è sopportarli. Santo cielo, Lou, mi hai sottoposto un problema davvero difficile! — Mi sorride, ed è un vero sorriso che gli illumina gli occhi e tutta la faccia. — Saresti stato uno studente interessante in seminario.
— Non avrei potuto andarci — dico. — Non posso nemmeno imparare le lingue…
— Non ne sono proprio sicuro — obietta. — Rifletterò molto su quanto mi hai detto, Lou. Se vorrai riparlarne.
Ciò significa che per ora non desidera parlarne oltre. Gli dico — Buon giorno — e me ne vado.
L’autobus è in ritardo, per cui non l’ho perduto. Aspetto all’angolo della strada e ripenso alla predica. Poca gente prende il bus di domenica, così mi trovo un sedile isolato e guardo fuori gli alberi, tutti bronzo e rame nella luce autunnale. Quando ero piccolo le foglie ancora diventavano rosse e oro, ma quegli alberi sono morti e quelli che abbiamo adesso, se cambiano colore, ne assumono uno più spento.
In casa ricomincio a leggere. Vorrei finire Cego e Clinton prima di domani mattina. Sono certo che mi chiameranno per parlarmi del trattamento e chiedermi la mia decisione. Non sono pronto a prendere una decisione.
— Pete — disse una voce che Aldrin non riconobbe. — Sono John Slazik. — La mente di Aldrin diventò di gelo, il suo cuore si fermò e poi cominciò a pulsare violentemente. Era il generale a riposo John Slazik, in quel momento direttore generale della compagnia.
Aldrin ebbe un singulto, quindi ritrovò la voce. — Sì, signor Slazik. — Un istante dopo pensò che forse avrebbe dovuto dire "Sì, generale", ma ormai era tardi.
— Senti mi stavo giusto chiedendo cosa puoi dirmi a proposito del progettino di Gene Crenshaw. — La voce di Slazik era profonda, calda e liquida come un buon brandy e altrettanto potente.
Aldrin poteva sentire il calore diffonderglisi nelle vene. — Sì, signore. — Cercò di mettere ordine nei suoi pensieri. Non si era aspettato una chiamata dal direttore generale in persona. Fece, come meglio poté, una relazione che includeva la ricerca, la sezione degli autistici, la necessità di tagliare le spese, la sua preoccupazione che il piano di Crenshaw potesse avere conseguenze negative sia per la compagnia che per gli impiegati autistici medesimi.
— Vedo — disse Slazik. Aldrin trattenne il fiato. Poi Slazik continuò con la stessa voce calma e strascicata: — Mi dispiace un poco che tu non sia ricorso a me immediatamente. Va bene che sono nuovo da queste parti, però mi piacerebbe davvero molto sapere cosa bolle in pentola prima che la patata bollente mi finisca in faccia.
— Mi dispiace, signore — si scusò Aldrin. — Non lo sapevo. Stavo cercando di lavorare entro la catena di comando…
— Uhm… — Un lungo sospiro. — Be’, capisco il tuo punto di vista, ma il fatto è che a volte capita… di rado ma capita… che uno cerchi di salire un gradino e rimanga col piede in aria, e allora gli conviene sapere quando è il momento di scavalcarli, i gradini. E questo era proprio il momento in cui la cosa sarebbe stata utile… a me.
— Mi dispiace, signore — ripeté Aldrin, col cuore che galoppava.
— Be’, penso che dopo tutto siamo arrivati in tempo — disse Slazik. — Per lo meno la faccenda non è giunta ai media. Mi ha fatto piacere sentire che ti sei preoccupato per il benessere dei tuoi ragazzi almeno come per quello della compagnia. Spero che tu ti renda conto, Pete, che io non permetterei mai nessuna azione illegale o immorale contro i nostri impiegati o i soggetti di ricerca. Sono davvero sorpreso e dispiaciuto che uno dei miei subordinati abbia cercato di fare il fesso in questo modo. — Durante l’ultima frase la voce strascicata s’indurì e assunse il gelo dell’acciaio. Involontariamente Aldrin rabbrividì.
Poi la voce ritornò normale. — Ma questo non è problema tuo. Pete, noi ci troviamo in alto mare con quei tuoi ragazzi. Gli hanno promesso un trattamento e li hanno minacciati di licenziarli, e adesso tu devi salvare la situazione. L’ufficio legale manderà qualcuno a raddrizzare le cose, ma io desidero che tu li prepari.
— Qual è la situazione adesso, signore? — chiese Aldrin.
— È ovvio che il loro posto di lavoro non è in pericolo, se vogliono mantenerlo — disse Slazik. — Qui non si costringe nessuno a fare il volontario; non siamo nell’esercito e questo io lo capisco, anche se qualcun altro non lo capisce. Non dovranno accettare il trattamento per forza. Se però vorranno sottoporvisi, bene. A stipendio intero e senza perdita di anzianità.
Aldrin avrebbe voluto sapere cosa ne sarebbe stato di Crenshaw e di lui stesso, ma non osò.
— Adesso chiamerò Crenshaw per un’intervista — riprese Slazik. — Non parlarne con nessuno, tranne che per rassicurare la tua sezione. Capito?
— Sì, signore.
— Niente pettegolezzi con Shirley della Contabilità o con Bart delle Risorse umane, intesi?
Ad Aldrin mancò il fiato. Quante cose sapeva Slazik? — Sì, signore.
— Dovremo vederci di persona, Pete, quando questa grana sarà risolta.
— Sì, signore.
— Se potrai imparare a sbrigartela un po’ meglio con le complicazioni del sistema, la tua dedizione alla compagnia e al personale… e anche la tua coscienza dei pericoli di certe iniziative per le nostre pubbliche relazioni… potrebbero esserci molto utili. — Slazik riattaccò prima che Aldrin potesse dire qualcosa.
Aldrin tirò un respiro profondo, che gli parve il primo da parecchio tempo. Poi si diresse verso la sezione A.
Non ho più visto Cameron da quando ci ha lasciati la settimana scorsa. Non so quando potrò vederlo ancora. Non mi piace vedere il posto vuoto della sua macchina davanti alla mia. Non mi piace non sapere dov’è e come sta.
I simboli sullo schermo che guardo sono privi di significato, e questa è una cosa che non mi è mai successa. Accendo il ventilatore. Il movimento delle girandole e i bagliori della luce riflessa mi fanno dolere gli occhi. Spengo il ventilatore.
Ho letto un altro libro ieri sera, e vorrei non averlo letto.
Il libro dice che gli autistici tendono a ruminare eccessivamente su questioni filosofiche astratte quasi nello stesso modo in cui lo fanno alcuni psicotici. Facendo riferimento ad altri testi i quali sostengono che gli autistici non hanno un vero senso della propria identità personale, dice che non mancano di autodefinizione, ma che essa è limitata e determinata da regole.
Mi dà un senso di nausea pensare a questo, al chip che metteranno nel cervello di Don e a quanto sta succedendo a Cameron.
Se la mia autodefinizione è limitata e determinata da regole, se non altro è la mia autodefinizione e non quella di qualcun altro. A me piacciono i peperoni sulla pizza e non mi piacciono le acciughe. Se mi costringeranno a cambiare, continueranno a piacermi i peperoni e non le acciughe? E se coloro che mi cambieranno volessero farmi piacere le acciughe… potrebbero farlo?
Il libro sulle funzioni cerebrali dice che le preferenze sono il risultato d’interazioni tra elaborazioni innate degli stimoli e condizionamenti sociali. Se la persona che vuole farmi piacere le acciughe non ha avuto successo con il condizionamento sociale e ha accesso alla mia elaborazione degli stimoli, allora potrebbe rendermi le acciughe gradevoli.