— Comunque lei mi piacerà sempre… no, l’amerò sempre — dico. Non avevo pensato che diventare normale mi rendesse questo più difficile o addirittura impossibile. E non capisco perché Tom lo creda.
— Sono certo che sarà così, Lou, ma non sarà la stessa cosa. Non è possibile che lo sia. Vedi, se io perdessi un piede potrei ancora tirare di scherma, ma i miei schemi dovrebbero cambiare, no?
Non mi piace pensare che Tom perda un piede, ma capisco quello che vuoi dire. Annuisco.
— Così, se tu subirai un enorme cambiamento in ciò che sei, allora la configurazione che si è creata fra te e Marjory cambierà. Può darsi che voi due vi avviciniate di più o può darsi che vi allontaniate.
Adesso so ciò che non sapevo pochi minuti fa, che io avevo nutrito un profondo e nascosto desiderio riguardo Marjory, il trattamento e me. Avevo sperato che se fossi diventato normale avremmo potuto essere normali insieme, sposarci e avere bambini e vivere una vita normale.
— Non sarà la stessa cosa, Lou — ripete Tom da dietro la maschera. Vedo lo scintillio dei suoi occhi.
— Non può esserlo.
Tirare di scherma è la stessa cosa e non lo è. Gli schemi di Tom sono sempre più chiari per me ogni volta che c’incontriamo, ma i miei schemi… non riesco a tenerli a fuoco. La mia attenzione oscilla. Marjory verrà fuori? Vorrà battersi con me? Cosa staranno dicendo, lei e Lucia, del contenuto della cartella? Quando mi concentro posso colpire Tom, ma poi perdo la concentrazione ed è lui a colpire me. Quando Lucia e Marjory arrivano, io e Tom ci siamo giusto fermati per riprendere fiato. Nonostante la notte sia molto fresca, siamo sudati.
— Bene — dice Lucia. Io aspetto, ma lei non aggiunge altro.
— A me sembra pericoloso — commenta Marjory.
— Armeggiare con il riassorbimento neurale e poi con la rigenerazione…
— Ci sono troppe possibilità che finisca in un disastro — spiega Lucia. — Inserzione virale di materiale genetico bene, una tecnologia vecchia e sperimentata. Nanochirurgia per le cartilagini, contenimento dell’infiammazione, benissimo. Ma quel pasticciare con le mutazioni dei geni… e quel trafficare col midollo per la rigenerazione delle ossa… e poi…
Lucia continua a enumerare procedimenti di cui non so e non capisco nulla, ma non voglio sentire altre ragioni per avere paura.
— Comunque dopo tutto la decisione è tua — conclude.
— Sì — dico, e guardo Marjory. Non riesco a vietarmelo.
— Lou… — Poi lei scuote la testa e io so che non dirà quello che stava per dire. — Vuoi batterti? — chiede.
Non voglio battermi, voglio sedere accanto a lei. Voglio toccarla. Voglio andare a cena con lei e coricarmi con lei. Ma tutto ciò non posso farlo, non ancora. Mi alzo e rimetto la maschera.
Quel che sento quando la sua lama tocca la mia non posso descriverlo. È la sensazione più forte che io abbia mai provata. Sento il mio corpo vibrare e reagire in un modo che non è appropriato ma è stupendo. Vorrei che tutto ciò continuasse in eterno e vorrei smettere e prenderla tra le braccia. Rallento, così da non toccarla troppo presto e perché l’incontro possa durare.
Potrei però ancora chiederle se vuol venire a cena con me. Potrei farlo prima o dopo il trattamento. Forse.
Giovedì mattina. Tempo freddo e ventoso, con nuvole grigie che corrono attraverso il cielo. Mentre attraverso il parcheggio della compagnia verso il nostro edificio il vento m’investe. Sento un’automobile dietro di me e mi volto. È quella di Linda, che parcheggia al suo solito posto. Esce senza guardarmi.
Alla porta inserisco la mia chiave magnetica e apro il battente. Lo tengo aperto e aspetto Linda. Lei ha sollevato lo sportello del portabagagli e sta tirando fuori uno scatolone. È come quello che aveva il signor Crenshaw.
Non ho pensato a portare una scatola per metterci le mie cose. Mi chiedo se riuscirò a trovarne una durante la pausa pranzo. Mi chiedo se Linda ha portato una scatola perché ha deciso di accettare il trattamento.
La tiene sotto il braccio e cammina in fretta, col vento che le getta all’indietro i capelli. Il suo viso sembra diverso, nudo e scolpito come quello di una statua, sgombro di paure e di ansie.
Mi passa davanti reggendo la scatola e io la seguo all’interno dell’edificio. Bailey è nell’atrio.
— Hai una scatola — dice a Linda.
— Pensavo che potesse servire a qualcuno — spiega Linda. — L’ho portata per questo.
— Io ne porterò una domani — dice Bailey. — Lou, te ne vai oggi o domani?
— Oggi — rispondo. Linda mi guarda e mi tende la scatola. — Mi può servire — dico, e lei me la dà senza incontrare i miei occhi.
Entro nel mio ufficio. Ha un’aria già estranea come l’ufficio di un altro. Sposto il piccolo ventilatore che fa muovere le girandole e le spirali, poi lo riporto dov’era. Siedo sulla mia poltrona e mi guardo intorno. L’ufficio è lo stesso, ma io non sono la stessa persona.
Guardo nei cassetti della mia scrivania e non trovo altro che una vecchia pila di manuali per l’aggiornamento del sistema. Era vietato stamparli, ma è più agevole leggere le cose scritte sulla carta. Tutti usavano i miei manuali. Non voglio lasciare queste copie vietate qui mentre io sarò in clinica. C’è anche una copia del Manuale degli impiegati. Tiro fuori tutto e metto il Manuale degli impiegati sopra agli altri manuali. Non so cosa fare con questa roba.
Nel cassetto di fondo c’è una vecchia decorazione con dei pesci che tenevo appesa finché il pesce più grande non si deformò. Adesso la superficie lucente dei pesci è coperta di piccole macchie nere. La tiro fuori e la getto nel cestino della carta straccia, rabbrividendo ai piccoli tintinnii che emette.
Nel cassetto centrale tengo penne colorate e un piccolo contenitore di plastica con degli spiccioli per la macchina che vende le bibite. Mi metto in tasca il contenitore e metto le penne sulla scrivania. Guardo gli scaffali. Contengono informazioni sui progetti, schedari, tutte cose di proprietà della compagnia. Non dovrò toccar nulla, lì. Tolgo dal soffitto le girandole e le spirali cominciando da quelle che non sono le mie favorite, quelle gialle e argento, quelle arancioni e quelle verdi.
Sento nell’atrio la voce del signor Aldrin che parla con qualcuno. Apre la mia porta.
— Lou, ho dimenticato di ricordare a tutti di non portar via dal campus qualunque materiale relativo al vostro lavoro. Se avete materiale del genere, riunitelo ed etichettatelo spiegando che deve andare in archivio.
— Sì, signor Aldrin — dico.
— Verrai al campus domani?
— Non credo — dico. — Non voglio cominciare un lavoro che poi lascerei incompiuto. Entro oggi avrò sgomberato tutto, qui.
— Bene. Hai ricevuto la lista dei preparativi raccomandati?
— Sì.
— Bene. Io… — Getta un’occhiata alle proprie spalle, poi entra nel mio ufficio e chiude la porta. Mi sento di colpo nervoso. — Lou… — il signor Aldrin esita, si schiarisce la gola e guarda altrove. — Lou, io… io voglio dirti che mi dispiace per quanto è avvenuto.
Non so quale risposta si aspetti. Non dico nulla.
— Io non avrei mai voluto… se le cose fossero dipese da me, nulla sarebbe cambiato…
Si sbaglia. Tutto sarebbe cambiato. Don sarebbe ugualmente andato in collera con me. Io mi sarei ugualmente innamorato di Marjory. Non so perché stia dicendo questo: lui dovrebbe sapere che le cose cambiano, sia che uno lo voglia sia che non lo voglia. Uno può giacere accanto a una piscina per mesi e anni pensando all’angelo che deve scendere, prima che qualcuno gli chieda se vuole esser guarito.
L’espressione sulla faccia di Aldrin mi ricorda come mi sono sentito tante volte. Mi rendo conto che ha paura. Lui ha spesso paura di qualcosa. Fa male aver paura per molto tempo, io lo so. Vorrei che non avesse quell’espressione, perché mi fa sentire che dovrei far qualcosa in proposito e non so cosa fare.