— Lei ci mancherà — dice. Non capisco come questo possa essere vero, dato che per la maggior parte del tempo nemmeno mi vede.
Quando torno nel mio appartamento vedo che è già arrivata la risposta automatica della banca. Dice che il messaggio è stato ricevuto, che il manager mi risponderà quanto prima e grazie per averci contattati.
Decido di scendere e andare a piedi al piccolo forno per il pranzo: avevo visto il cartello che offriva panini su ordinazione il giorno che avevo comprato là il pane. Il negozio non è affollato, ma non mi piace la musica che la radio trasmette: è troppo forte e ritmata. Ordino un panino al prosciutto. Fa un freddo eccessivo per mangiarlo fuori, così ritorno a casa e lo mangio nella mia cucina.
Potrei chiamare Marjory. Potrei portarla a cena questa sera o domani sera o sabato sera, se lei accettasse. Conosco i suoi numeri di telefono, sia sul lavoro che a casa. Appendo intanto le girandole e le spirali nel mio appartamento dove cominciano a girare per la corrente d’aria che filtra dalle vecchie finestre. I lampi di luce colorata che si riflettono sulle pareti sono riposanti e mi aiutano a pensare.
Se la chiamo e lei viene a cena con me, perché lo farebbe? Forse perché le piaccio, forse perché si preoccupa per me e forse perché le dispiace per me. Ma io non so con certezza se lo farebbe perché le piaccio. Per avere lo stesso sentimento in direzioni opposte, io dovrei piacerle come lei piace a me. Altrimenti non si avrebbe uno schema simmetrico.
Di che cosa potremmo parlare? Delle funzioni cerebrali lei non sa più di quanto ne sappia io adesso. Non è il suo campo. Ambedue tiriamo di scherma, ma non credo che potremmo parlare di scherma tutto il tempo. E non credo che lei s’interessi allo spazio; come il signor Aldrin, sembra lei pensi che il lavoro che si fa lì sia uno spreco di denaro.
Se torno… se il trattamento funziona e io divento come gli altri uomini nel cervello come nel corpo… lei mi piacerà come mi piace adesso?
O Marjory è un altro caso della piscina con l’angelo… e io l’amo perché credo sia l’unica che posso amare?
Mi alzo e metto su la Toccata e Fuga in Re minore di Bach. La musica costruisce un complicato panorama di valli e montagne e grandi golfi di aria fresca e ventosa. Amerò ancora Bach quando tornerò, se tornerò?
Per un istante il terrore mi ghermisce in tutto l’essere e precipito nel buio, più velocemente di quanto qualsiasi luce possa raggiungermi, ma la musica si alza sotto di me, mi solleva come un’onda oceanica e io non ho più paura.
Venerdì mattina. Vorrei andare al lavoro, ma nel mio ufficio non c’è niente da fare, e non c’è niente da fare nemmeno nel mio appartamento. La conferma della banca è arrivata.
Mi chiedo se devo mettermi in contatto con gli altri, ma decido di no. Non desidero parlare con loro. Non sono abituato ad avere un giorno così, una vacanza non pianificata, e non so cosa fare. Potrei andare a vedere un film o leggere un libro, però sono troppo nervoso per questo. Potrei andare al Centro, ma non mi va neanche questo.
Lavo i piatti della colazione e li ripongo. Di colpo l’appartamento è troppo silenzioso, troppo grande e vuoto. Non so dove andrò, ma devo andare da qualche parte. Metto in tasca il portafogli e le chiavi ed esco. Esco con soli cinque minuti di ritardo rispetto ai giorni lavorativi.
Anche Danny sta scendendo le scale. Mi dice: — Ciao, Lou, come va? — tutto d’un fiato. Penso che abbia fretta e non abbia voglia di parlare. Gli dico "ciao" e niente di più.
Fuori il tempo è nuvoloso e freddo, ma in questo momento non piove. C’è vento, però non quanto ieri. Mi dirigo alla mia macchina ed entro. Non giro la chiave di avviamento, perché ancora non so dove andrò. Prendo la mappa dallo scompartimento del cruscotto e l’apro. Potrei andare al grande parco fuori città a guardare le cascate. Molta gente va a farci camminate in estate, ma credo che di giorno il parco sia aperto anche d’inverno.
Un’ombra cade sul finestrino. È Danny. Abbasso il vetro.
— Stai bene? — mi chiede. — Qualcosa non va?
— Oggi non vado al lavoro — rispondo. — Sto decidendo dove andare.
— Allora è tutto a posto — dice. Sono sorpreso: non sapevo che s’interessasse tanto a me. E se è così, forse vorrà sapere che sto per andarmene.
— Sto per andarmene — annuncio.
Il suo viso cambia espressione. — Ti trasferisci? A causa di quel mascalzone? Ma ormai non può più farti del male, Lou.
È interessante che sia lui che la gerente abbiano subito pensato che volessi andar via a causa di Don.
— No, non mi trasferisco — spiego. — Però starò fuori per diverse settimane. C’è un nuovo trattamento sperimentale e la mia compagnia vuole che lo provi.
Danny sembra preoccupato. — La tua compagnia… ma tu vuoi provarlo? Stanno cercando di costringerti?
— No, è una decisione mia — dico. — Ho deciso io di sottopormici.
— Be’… allora… Spero che tu abbia ricevuto buoni consigli.
— Sì — dico, ma non dico da chi.
— Quindi hai il giorno libero? O te ne vai oggi? Quando ti verrà somministrato quel trattamento?
— Oggi non devo lavorare. Ho sgomberato ieri il mio ufficio. Il trattamento viene somministrato alla clinica del campus dove lavoro, ma in un edificio differente. Comincerà lunedì. Oggi non ho nulla da fare e pensavo di andare a Harper Falls.
— Abbi cura di te, Lou. Spero che ti vada tutto bene. — Danny picchia sul tetto della macchina e si allontana.
Non capisco con chiarezza cosa lui spera che mi vada bene. La gita a Harper Falls o il trattamento? Non so nemmeno perché abbia picchiato sul tetto della macchina. So però che non m’incute più paura, un altro cambiamento che mi è capitato da solo.
Al parco pago il biglietto e mi fermo nel parcheggio. Cartelli indicano i diversi itinerari: ALLE CASCATE, 290,3 METRI. BUTTERCUP MEADOW, 1,7 KM. ITINERARIO JUNIOR 1,3 KM. L’itinerario junior e il sentiero completamente accessibile sono asfaltati, ma il sentiero per le cascate è inghiaiato. M’incammino, e le mie scarpe fanno scricchiolare i sassolini. Non c’è nessuno. Gli unici suoni sono quelli della natura.
Gli alberi ormai hanno perduto quasi tutte le foglie, che giacciono a terra fradice per la pioggia di ieri. Sotto di me posso vedere foglie rosse risplendere perfino in una giornata come questa, su aceri che sopravvivono in questa zona più fresca.
Mi sento rilassato. Agli alberi non importa se sono normale o no. Non importa nemmeno alle rocce e al lichene. Loro non fanno differenza tra un essere umano e un altro, e questo è riposante. Qui non sono obbligato a pensare a me stesso.
Mi fermo per sedermi su una roccia e lascio penzolare le gambe. Se qualcuno dicesse agli ultimi aceri che potevano cambiare e vivere felici in un clima più caldo, loro avrebbero scelto di farlo? E se poi questo avesse significato la perdita di quelle foglie trasparenti che diventano di un colore così stupendo ogni anno?
Tiro un respiro profondo e annuso le foglie bagnate, il muschio sulle rocce, i licheni, le rocce stesse, la terra… Alcuni testi dicono che gli autistici sono troppo sensibili agli odori, ma nessuno si lamenta di questa caratteristica in un gatto o in un cane.
Ascolto i fievoli rumori del bosco che si sentono perfino oggi, con le foglie umide ormai quasi tutte cadute e giacenti silenziose a terra. Alcune, poche, sono ancora sui rami e si agitano al vento. Ali si agitano, e sento il cinguettio di un uccello che non si vede. Alcuni testi dicono che gli autistici sono troppo sensibili ai rumori di fondo, ma nessuno si lamenta di questa caratteristica negli animali.
Tuttavia qui nessuno di quelli che si lamentano è presente. Io ho tutta la giornata per godermi le mie sensazioni eccessive e sregolate, caso mai non dovessi più averle tra una settimana. Spero però che godrò quelle che avrò allora, quali che siano.