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Sono disteso a letto con gli occhi chiusi e penso a questa giornata. Di colpo mi trovo sospeso nello spazio, nel buio. Molto lontano occhieggiano minuscole schegge di luce multicolore. So che sono stelle, e quella nebbia luminosa è probabilmente una galassia. Comincia una musica… è ancora Chopin. Una musica lenta, pensosa, malinconica. Qualcosa in mi minore. Poi fa irruzione un’altra musica, che mi dà altre sensazioni: possiede più struttura e più forza, e si alza sotto di me come un’ondata oceanica, solo che questa ondata è fatta di luce.

I colori cambiano. So, senza analizzare la mia certezza, che sto correndo verso quelle stelle lontane, velocemente, sempre più velocemente, finché l’onda di luce mi proietta fuori e io volo a velocità ancora più vertiginosa, come una percezione oscura, verso il centro dello spazio e del tempo.

Quando mi sveglio sono più felice di quanto sia mai stato e non so perché.

La prossima visita che Tom mi fa, lo riconosco e ricordo che è stato già qui. Ho tante cose da dirgli, tante cose da chiedergli. Il Lou di prima pensa che Tom lo abbia conosciuto meglio di qualunque altra persona al mondo. Se potessi vorrei lasciare che il Lou di prima salutasse Tom, ma ormai questo non si può più fare.

— Usciremo di qui tra pochi giorni — dico. — Ho già parlato alla gerente del mio appartamento. Farà riattaccare la corrente e il resto e rimetterà tutto in ordine.

— Stai proprio bene? — chiede lui.

— Benissimo — lo rassicuro. — Grazie per essere venuto a farmi visita tante volte; mi dispiace di non averti riconosciuto da principio.

Tom sembra depresso, posso vedere che ha gli occhi pieni di lacrime e ne è imbarazzato. — Non era colpa tua, Lou.

— No, ma so che tu eri preoccupato per me — dico. Il Lou di prima poteva non averlo saputo, ma io lo so. Posso vedere che Tom è un uomo che ama profondamente i suoi amici e immagino come si è sentito quando non sono riuscito a riconoscerlo.

— Hai già deciso cosa farai? — domanda.

— Volevo chiederti cosa si deve fare per iscriversi a una scuola serale — dico. — Vorrei tornare all’università.

— Buona idea — approva lui. — Io posso certo aiutarti per l’iscrizione. Cos’hai intenzione di studiare?

— Astronomia — dico. — Oppure astrofisica. Non so quale delle due, ma certo qualcosa di simile. Mi piacerebbe andare nello spazio.

Adesso Tom sembra un po’ triste, e mi accorgo che il sorriso che mi rivolge è forzato. — Spero che tu ottenga tutto quello che vuoi — dice. Poi, come se non volesse essere invadente, aggiunge: — La scuola serale non ti lascerà molto tempo per la scherma.

— Non credo — dico. — Dovrò vedere come si metteranno le cose. Ma verrò a farti visita, se per te va bene.

Pare sollevato. — Ma certo, Lou. Non voglio perderti di vista.

— Andrà tutto bene — dico.

Lui mi guarda un po’ in tralice e poi scuote la testa. — Sai, penso proprio che ce la farai. Davvero lo penso.

Epilogo

Quasi non riesco a crederci, benché tutto ciò che ho fatto negli ultimi sette anni avesse un unico scopo, questo. Sono qui, seduto alla mia scrivania a prendere i miei appunti, e la scrivania si trova in un’astronave e l’astronave si trova nello spazio e lo spazio è pieno di luce. Il Lou di prima si stringe al cuore le serie e danza dentro di me come un bambino felice. Io fingo una maggiore austerità nella mia tuta da lavoro, però so che un sorriso mi solleva un angolo della bocca. Tutti e due udiamo la stessa musica.

Il codice d’identificazione della mia tessera personale riporta i miei titoli accademici, il mio gruppo sanguigno, il mio nullaosta di segretezza… ma non fa alcuna menzione del fatto che ho passato quasi quarant’anni della mia vita bollato come persona disabile, come autistico. Qualcuno lo sa, naturalmente; il clamore pubblicitario che esplose quando la compagnia fece un tentativo (fallito) di commercializzare un trattamento per il controllo dell’attenzione dei lavoratori portò a tutti noi più notorietà di quanta ne volessimo. Bailey in particolare fu per i media il boccone più appetitoso. Io non avevo saputo quale cattivo esito avesse avuto per lui il trattamento finché non consultai gli archivi dei notiziari. Non ci hanno mai più permesso di rivederlo.

Mi manca Bailey. Non era giusto ciò che gli avvenne, e spesso me ne sentivo colpevole, anche se davvero non era affatto colpa mia. Mi mancano Linda e Chuy: speravo che accettassero di sottoporsi al trattamento quando avessero constatato come aveva guarito me; ma Linda non ha deciso di farlo se non l’anno scorso, dopo che io ho conseguito il dottorato. Chuy non ha mai voluto. L’ultima volta che l’ho visto mi ha ripetuto che è sempre contento di restare com’è. Mi mancano Tom e Lucia e Marjory e gli altri miei amici del circolo di scherma, che mi aiutarono tanto nei primi anni della mia guarigione. So che il Lou di prima amava Marjory, ma dentro di me non si mosse nulla la prima volta che la guardai dopo l’uscita dalla clinica. Dovevo scegliere, e… come il Lou di prima… scelsi di andare avanti, di rischiare il successo, di trovare nuovi amici, di essere quello che sono adesso.

Là fuori c’è il buio: il buio del quale ancora non sappiamo nulla. È sempre lì che aspetta, e in questo senso arriva sempre prima della luce. Il Lou di prima soffriva per il fatto che la velocità del buio fosse maggiore di quella della luce. Adesso invece io ne sono felice, perché ciò significa che correndo dietro alla luce non arriverò mai alla fine.

Adesso sono io a porre le domande.

Ringraziamenti

Tra le persone che più mi sono state d’aiuto nelle ricerche per questo libro ci sono bambini e adulti autistici e le loro famiglie, che per anni hanno comunicato con me, di persona o per iscritto o mediante Internet. Durante il periodo di gestazione del libro ho preso le dovute distanze dalla maggior parte di queste fonti (togliendo il mio nome dalle liste di posta elettronica e di news group eccetera) allo scopo di salvaguardare la loro privacy. Siccome la mia memoria è tutt’altro che buona, non è probabile che elementi atti a identificare quelle persone siano tornati a emergere dopo anni di mancati contatti. Una di loro, però, ha voluto rimanere in rapporto con me mediante e-mail; sarò sempre in debito con lei per la generosità che ha dimostrato nel discutere problemi relativi all’invalidità, all’inclusione e alla percezione di persone non autistiche. Essa tuttavia non ha (ancora) letto il mio libro, quindi non è responsabile di alcuna sua parte.

Tra le persone che hanno scritto opere su questo argomento, devo la massima riconoscenza a Oliver Sacks, i cui numerosi testi di neurologia portano l’impronta non solo del sapere ma anche della carità, e a Temple Grandin, la cui conoscenza di prima mano del fenomeno autistico mi è stata preziosa, oltre a essermi specialmente accessibile dato il mio interessamento di una vita al comportamento animale. I lettori che volessero procurarsi maggiori notizie sull’autismo possono consultare la bibliografia che compare nel mio sito Web.

J. Ferris Duhon, avvocato di grande esperienza per quanto riguarda la legislazione sul lavoro, mi ha aiutato a immaginare un ambiente legale ed economico in cui vengono stabiliti determinati principi per l’impiego di persone classificate come handicappate; tutte le altre eventuali implausibilità legali sono da addebitare a me, non a lui. J.B., J.H., J.K. e K.S. mi hanno fornito una visione dall’interno della struttura societaria e delle politiche di grandi multinazionali e di enti di ricerca; per ovvie ragioni hanno preferito quindi mantenere l’anonimato. David Watson è stato il mio consulente per la scherma, le associazioni che si dedicano a rievocazioni storiche e il protocollo dei tornei. Ripeto ancora che ogni inesattezza nei campi suddetti è da addebitare a me e non agli esperti del cui aiuto mi sono giovata.