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— Ho saccheggiato più città e portato agli Achei più prigionieri e bottino di qualunque altro qui, e nessuno di voi può dire che non è vero — insistette con calore. — Nonostante questo, quel grasso maiale lardoso può rubarmi le meritate ricompense e voi, tutti voi, glielo lasciate impunemente fare! Qualcuno di voi si è forse schierato in mia difesa in consiglio? Pensate che vi debba qualcosa? Perché dovrei combattere per voi quando non alzate nemmeno la voce in mio favore?

Patroclo cercò di calmarlo, ma senza molto successo. — Achille, questi uomini non sono tuoi nemici. Sono venuti qui in missione di pace. Non si addice al padrone di casa gridare in questo modo contro i suoi ospiti.

— Lo so — rispose Achille, quasi sorridendo al giovane. — Non è colpa vostra — disse a Ulisse e agli altri. — Ma scenderò all’Ade prima di aiutare di nuovo Agamennone. Non è degno di fiducia. Dovreste pensare a nominarvi un altro capo.

Ulisse parlò con accortezza, lodando il valore di Achille in battaglia, minimizzando i fallimenti e le manchevolezze di Agamennone. Aiace, brusco e diretto come un badile, disse chiaramente al principe che stava aiutando i Troiani ad assassinare gli Achei. Il vecchio Fenice fece appello al senso dell’onore del suo antico studente e gli recitò paternali da bambino.

Achille rimase imperturbabile. — Onore? — disse brusco a Fenice. — Che genere di onore mi sarebbe rimasto se mettessi di nuovo la mia lancia al servizio dell’uomo che mi ha derubato?

Ulisse disse: — Possiamo farti riavere la ragazza, se è questo che vuoi. Possiamo procurarti dozzine di ragazze.

— O di ragazzi — aggiunse Aiace. — Qualunque cosa tu voglia.

Achille si alzò in piedi, e Patroclo si affrettò a mettersi al suo fianco. Avevo ragione, era terribilmente basso, anche se ogni centimetro del suo corpo trasudava vigore. Persino l’esile Patroclo lo superava di qualche centimetro.

— Difenderò le mie navi quando Ettore invaderà l’accampamento. — disse Achille. — Finché Agamennone non verrà personalmente a scusarsi e non mi pregherà di riunirmi all’esercito, questo è tutto ciò che farò.

Ulisse si alzò, rendendosi conto che eravamo stati congedati. Fenice si mise in piedi e, dopo essersi guardato intorno, Aiace finalmente capì e si alzò anche lui.

— Cosa diranno di Achille i poeti delle future generazioni? — chiese Ulisse, scoccando la sua ultima freccia all’orgoglio del guerriero. — Che se ne stava accigliato nella sua tenda mentre i Troiani massacravano i suoi amici?

Il colpo rimbalzò su Achille senza penetrarlo. — Non diranno mai che mi sono umiliato e che ho gettato via il mio onore servendo un uomo che mi aveva mortificato.

Ci dirigemmo verso la porta, con educate e formali parole di saluto. Fenice rimase indietro e io sentii Achille invitare il suo antico mentore a restare per la notte.

Fuori, Aiace scosse la testa stancamente. — Non c’è niente che possiamo fare. Non vuole proprio darci ascolto.

Ulisse gli batté la mano sulle larghe spalle. — Abbiamo fatto del nostro meglio, amico mio. Ora dobbiamo prepararci per la battaglia di domani. Senza Achille.

Aiace sparì arrancando nel buio, seguito dai suoi uomini. Ulisse si voltò verso di me, con uno sguardo pensieroso.

— Ho un compito da affidarti — disse. — Se avrai successo potrai mettere fine alla guerra.

— E se non lo avrò?

Ulisse sorrise e mi mise una mano sulla spalla. — Nessun uomo vive in eterno, Orion.

7

Meno di un’ora dopo mi ritrovai a percorrere la rampa sulla trincea di fronte alle nostre fortificazioni, diretto verso il campo troiano. Un pezzo di tela bianca annodata sopra il mio gomito sinistro indicava che stavo operando sotto una bandiera di tregua. Un sottile rametto di salice nella mia mano sinistra era il simbolo inconfondibile del messaggero.

— Questi dovrebbero farti passare al di là delle sentinelle troiane senza farti tagliare la gola — mi aveva detto Ulisse. Non sorrideva mentre diceva quelle parole, e io non trovai le sue rassicurazioni molto tranquillizzanti.

— Raggiungi il principe Ettore e parla solo con lui — mi aveva ordinato. — Digli che Agamennone gli offre una soluzione a questa guerra: se i Troiani restituiranno Elena al suo consorte legittimo, gli Achei se ne torneranno nelle loro terre, soddisfatti.

— Non è già stata fatta, quest’offerta? — avevo domandato.

Ulisse aveva sorriso alla mia ingenuità. — Certo. Ma sempre con la pretesa di un enorme riscatto, più tutta la fortuna che Elena ha portato con sé. E sempre mentre si combatteva sotto le mura di Troia. Priamo e i suoi figli non avrebbero mai creduto che noi avremmo tolto l’assedio senza irrompere nella città e saccheggiarla. Ma ora che è Ettore ad assediare noi, forse crederanno che siamo pronti ad andarcene, e che abbiamo solo bisogno di un compromesso per salvare la faccia per metterci a fare i bagagli.

— La restituzione di Elena non è niente di più che un compromesso per salvare la faccia? — avevo chiesto senza riflettere.

Uno sguardo curioso. — È solo una donna, Orion. Pensi che Menelao se ne sia stato in clausura, da quando la cagna è fuggita con Alessandro?

L’avevo sbirciato di sottecchi, così colpito dal suo atteggiamento da non sapere cosa rispondere. Mi domandavo però se Ulisse la pensasse allo stesso modo su sua moglie, che lo aspettava a Itaca.

Ulisse mi aveva fatto ripetere le istruzioni e poi, soddisfatto, mi aveva condotto sulla cima del bastione, non lontano da dove mi ero guadagnato la gloria la mattina prima. Nella luce argentata della luna si era alzata la nebbia, trasformando la pianura in una distesa di vapore che tremolava, alzandosi e riabbassandosi lentamente come un respiro. Qua e là si poteva cogliere il bagliore dei fuochi troiani, come deboli stelle lontane nella nebbia che avvolgeva ogni cosa.

— Ricorda — aveva ripetuto Ulisse — devi parlare con il principe Ettore e nessun altro.

Scesi lungo il pendio del bastione, sino alle ombre color inchiostro della trincea, e infine mi diressi verso l’accampamento troiano tra i meandri di nebbia che si spostavano lentamente, guidato dai fuochi che palpitavano e brillavano attraverso la nebbia. La bruma era fredda sulla mia pelle, come il tocco della morte.

Scrutando nella foschia resa argentea dalla luna, vidi un fuoco più grande, più luminoso degli altri. “È lì che deve essere la tenda di Ettore” pensai. Mi diressi da quella parte, teso per la paura che una sentinella mi desse l’altolà da un momento all’altro. Almeno speravo che mi si desse l’altolà e non di venire semplicemente trafitto nel buio senza nessuna domanda. I miei sensi erano più che vigili; sapevo che avrei potuto sentire il rumore di una daga che veniva sguainata dal fodero, o vedere un’ombra avvicinarsi furtivamente alle mie spalle. Ma non sentivo e non vedevo niente. Era come se la nebbia avesse avvolto l’intero campo, attutito ogni suono, mummificato ogni uomo tranne me.

Il fuoco sembrava crescere, come se qualcuno lo stesse alimentando per trasformarlo da un fuoco da campo morente in un grande segnale di benvenuto. Ma non tremolava più come un fuoco. Era un luminoso bagliore continuo, che diventava ogni momento più brillante. Presto fu tanto luminoso che dovetti portarmi il braccio sulla fronte per ripararmi gli occhi dalla sua bruciante intensità. Non sentivo provenirne nessun calore, ma il suo splendore esercitava una qualche strana forza su di me. Mi sentii come compresso da quel bagliore accecante, forzato a mettermi in ginocchio davanti alla sua dorata, insostenibile radiosità.

Poi sentii la risata di un uomo, e seppi subito chi era.

— In piedi, Orion! — disse il Radioso. — O ti piace strisciare come un verme?