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— Sì. E sta cercando di eliminare tutti noi. E per riuscirci — aggiunse inarcando le sopracciglia — si sta servendo di te.

Io rimasi in silenzio, assimilando quelle informazioni.

— Non è così? — domandò lei.

— Sto aiutando gli Israeliti a conquistare Gerico — ammisi. — O almeno, sto cercando di…

— Questo fa parte del suo piano, ne sono sicura!

— Ma non sapevo che stesse tentando di… — ricordai le parole che lei aveva usato — … eliminarvi.

— Adesso lo sai!

— Questo significa che vuole uccidervi?

Ringhiò, quasi. — Lo farebbe, se potesse. Ma non avrà mai una simile possibilità. Lo distruggeremo; e distruggeremo anche te, se continuerai ad aiutarlo in qualunque modo.

— Ma…

Puntandomi addosso un dito accusatore minacciò. — Non esiste un terreno neutrale, Orion. O smetti di aiutarlo, o sarai nostro nemico. Capisci?

— Capisco — risposi.

— Allora considera attentamente le conseguenze delle tue azioni.

— Quella che chiamano Atena — dissi. — Lui mi ha promesso di…

— Non ci si può fidare delle sue promesse. Questo lo sai.

— Voglio resuscitarla, riportarla alla vita — dissi.

— E lui ti ha offerto la vita di Atena in cambio della tua obbedienza? — Era scosse la testa. — Lascia la tua dea morta a noi, Orion. È una di noi, non è per quelli come te.

— Può essere riportata in vita?

— Questo non…

— Può essere riportata in vita?

I suoi occhi si spalancarono, che fosse per rabbia, per paura o per qualcos’altro, non potrei dirlo. Trasse un profondo respiro, poi, infine, rispose con calma: — Una cosa del genere è… possibile. Anche se appena al minimo delle possibilità. Ma tu non devi neanche sognarlo!

— Io lo sogno. Non sogno altro.

— Orion, povero verme, se anche lei fosse riportata in vita, non vorrebbe avere più niente a che fare con te. È una di noi, così irraggiungibile per te che…

— Io l’amo — dissi. — Questo è il vantaggio che ho su voi tutti. Io posso amare. E anche lei. Ma voi no. Né tu, né il Radioso, né nessuno degli altri dèi. Ma lei può, e mi ha amato. Ed è morta per questo.

— Sei senza speranza — disse Era brusca. Mi volse le spalle in un vortice di vesti dorate e scomparve nella nebbia luccicante.

Io rimasi solo per alcuni istanti, poi mi ricordai perché ero lì. Per trovare Ahriman. Quello che gli Achei chiamavano Poseidone, il portatore di terremoti.

Chiudendo gli occhi, visualizzai la sua figura scura e massiccia, il suo volto grigio e pesante, i suoi occhi brucianti. Lo chiamai mentalmente, dicendomi che se non avesse risposto al mio richiamo avrei dovuto cercarlo e trovarlo.

Ricordai, vagamente, una foresta di alberi giganti dove vivevano Ahriman e la sua specie, in un continuum che esisteva da qualche parte, in qualche tempo. Esisteva ancora? Potevo trovarlo?

Un’ombra scura passò sopra di me. La percepii anche se tenevo gli occhi chiusi. Li riaprii e mi ritrovai in una foresta buia e minacciosa: nemmeno una goccia di luce penetrava attraverso la volta di foglie quasi nere che mi sovrastava. Enormi tronchi mi circondavano come grigie colonne che si innalzavano verso l’infinito. Il terreno fra i tronchi era coperto di erba tagliata, piatta e livellata come un parco.

— Perché sei qui?

Dal buio, prese forma una figura ancora più buia: Ahriman, forte e massiccio, vestito del colore della foresta. Ma i suoi occhi brillavano come carboni ardenti.

— Per trovarti — risposi.

Mi si avvicinò di più. Nel suo sussurro aspro e faticoso, chiese: — E perché mi cerchi?

— Ho bisogno del tuo aiuto.

Mi fissò. Era come un vulcano sul punto di eruttare. — Non farò crollare le mura di Gerico per te, Orion. Non aiuterò il tuo pazzo Radioso nei suoi piani selvaggi.

— Non è per lui — dissi.

— Questo non fa differenza. Io desidero solo proteggere il mio popolo nel nostro continuum. Non prenderò parte al bisticcio dei sedicenti Creatori. Non hanno creato né me né la mia razza. Non gli devo niente.

— Il Radioso mi ha promesso che avrebbe riportato Atena alla vita se l’avessi aiutato — dissi, ignorando le sue parole. — Mi aspetta nella grande piramide in Egitto.

— Ti aspetta lì per distruggerti, una volta che avrai cessato di essergli utile.

— No — dissi. — Sarò io a distruggerlo, in qualche modo.

— E cosa ne sarà della tua dea morta, allora?

Non trovai una risposta.

Lentamente, Ahriman dondolò la testa massiccia. — Orion, se vuoi un terremoto, devi fartelo da solo.

Stavo per chiedergli cosa volesse dire, ma la foresta e la figura minacciosa del mio vecchio nemico cominciarono ad affievolirsi, e io mi ritrovai seduto nel buio della mia tenda, sul pagliericcio vicino ad Elena.

Anche lei era seduta, con gli occhi spalancati per il terrore.

— Non c’eri più — sussurrò con voce soffocata. — Non c’eri e poi sei apparso vicino a me.

Le misi un braccio intorno alle spalle nude e cercai di calmarla. — Va tutto bene…

— È magia! Stregoneria! — Aveva la pelle fredda, e tremava.

Stringendola con entrambe le braccia, dissi: — Elena, molto tempo fa ti ho detto di essere il servitore di un dio. Era la verità. Qualche volta devo andare dagli dèi, parlare con loro, chiedere aiuto.

Sollevò lo sguardo su di me. Anche nelle ombre che precedevano l’alba, potei vedere la paura e la meraviglia sul suo viso. — Vai davvero sull’Olimpo?

— Non so il nome di quel posto, ma, sì, vado nella casa degli dèi.

Elena sprofondò nel silenzio, come se non ci fossero parole per esprimere lo shock che provava.

— Non sono dèi — le dissi — non nel senso che intendi tu. Certamente non nel senso in cui credono Giosuè e la sua gente. Non gli interessa nulla di noi, tranne quando vogliono usarci per i loro piani. Non sono nemmeno immortali. La dea che una volta amavo è morta, uccisa da uno della sua specie.

— Amavi una dea?

— Amavo una donna del gruppo che voi chiamate dèi e dee — risposi. — Adesso è morta, e io cerco la vendetta contro colui che l’ha uccisa.

— Cerchi la vendetta contro un dio?

— Cerco vendetta contro un pazzo che ha ucciso il mio amore.

Elena scosse la bella testa. — Questo è un sogno. Deve essere un sogno. Eppure… i sogni stessi vengono mandati dagli dèi.

— Non è un sogno, Elena.

— Cercherò di capirne il significato — disse ignorando le mie parole. — Gli dèi ci hanno mandato un messaggio, e io cercherò di capirne il significato.

Era il suo modo di adattarsi a quello che le avevo detto. Decisi di non discutere. Sdraiato sul pagliericcio, la tenni stretta finché non si addormentò di nuovo. La mia mente si concentrò su Ahriman e su quello che mi aveva detto: “Orion, se vuoi un terremoto, devi fartelo da solo”.

Pensai di aver capito cosa intendeva. Con un sorriso, mi rimisi a dormire.

29

— Un tunnel sotto il muro? — Lukka sembrava più divertito che scettico.

Ci trovavamo di fronte al lato occidentale delle mura di Gerico, dove cominciavano a salire. C’erano due muri di sostegno più piccoli alla base della collina, il più alto a terrazza, ma nessuna trincea li difendeva.

— È possibile? — chiesi.

Si sfregò la barba. La collina su cui sorgeva Gerico era costituita da detriti di precedenti insediamenti. Generazioni incalcolabili di costruzioni fatte di mattoni di fango erano crollate con il passare dei secoli a causa del tempo, delle piogge, del fuoco e delle guerre.