Poco dopo il pomeriggio del quarto giorno di scavi, Lukka uscì dalla grande tenda, strizzò gli occhi contro il sole inesorabile e venne verso di me. Come sempre, indipendentemente dal caldo o dal freddo, indossava la corazza di pelle e portava tutte le sue armi. Sapevo che la cotta di maglia e l’elmo di ferro erano a portata di mano. Lukka era pronto alla battaglia in ogni momento.
Io mi trovavo su una bassa altura, e esaminavo il lontano muro di Gerico. Nessun segno di attività. Nessuna sentinella in vista. La città tremolava nella foschia della calura mentre il sole mi bruciava le spalle e il collo scoperti. Mi ero liberato di tutto, a parte il gonnellino.
Avevamo lanciato qualche freccia incendiaria contro la città, quella mattina. Ogni giorno davamo una piccola dimostrazione di forza da qualche parte lungo il muro occidentale, per far credere ai difensori che stessimo cercando un punto debole. Ma nel sole di mezzogiorno non c’era in giro praticamente nessuno.
Lukka colava sudore quando mi raggiunse. Io avevo fatto in modo che il mio corpo si adeguasse al calore, dilatando i capillari e regolando la temperatura corporea. Come qualunque essere umano, avevo bisogno d’acqua per restare in vita, ma diversamente dagli altri, potevo conservarla nei tessuti per un tempo molto più lungo; essudandone solo una piccola parte.
— Devi essere mezzo cammello — disse Lukka, quando gli offrii la borraccia che portavo con me. Bevve con avidità, assetato.
— Come va il lavoro? — chiesi.
— Abbiamo raggiunto la base del muro più esterno. Ho dato agli operai qualcuna delle nostre punte di lancia di ferro per affrontare i mattoni. Sono duri come pietra.
— Quanto ci vorrà per perforarlo? Si strinse nelle spalle, facendo scricchiolare leggermente la corazza di pelle. — Difficile saperlo. Potremmo lavorare di notte.
— Fammi vedere — dissi, incamminandomi verso la tenda.
C’era più fresco, all’ombra, ma l’aria era soffocante. La polvere era spessa abbastanza da farmi starnutire. Lukka ordinò agli operai di fermarsi e di uscire dal tunnel. Io mi misi carponi e avanzai strisciando.
Il tunnel era largo a sufficienza perché due uomini potessero passarvi carponi, fianco a fianco. Lukka mi seguì un po’ indietro. Non portavamo nessuna luce, ma ogni tre metri circa gli scavatori avevano infilato una sottile canna bucata che arrivava in superficie, ottenendo aria da respirare e una piccola quantità di luce, appena sufficiente ad evitare il buio totale.
Arrivammo alla fine del tunnel abbastanza rapidamente, e ci trovammo di fronte una parete di mattoni di fango duri come la pietra. A terra giacevano due corti paletti, ognuno portava legata una punta di lancia di ferro. I mattoni erano scalfiti e parzialmente perforati.
Nella luce fioca ne presi uno e colpii la parete. Un suono sordo e risonante, e alcune scaglie di fango secco vennero giù.
— Sarà un lavoro lento — dissi.
— E rumoroso — aggiunse Lukka. — Soprattutto se lavoreremo di notte, ci sentiranno dall’interno della città.
Aveva ragione, come al solito.
Uscimmo in fretta dal tunnel come due roditori che attraversano raspando la loro tana. Il sole splendente e l’aria del giorno sembravano meravigliosi, nonostante il caldo.
— Niente lavoro notturno — dissi a Lukka. — Il tempo che potremmo guadagnare non vale il rischio di essere scoperti.
— Quando arriveremo al muro principale ci sentiranno scalpellare anche di giorno — fece notare lui.
— Dovremo pensare a qualcosa, allora.
Fu Giosuè che trovò una soluzione. Quella notte, quando gli dissi che ci stavamo avvicinando abbastanza da essere sentiti dall’interno della città, si arricciò la barba con le dita qualche minuto, poi mi guardò con un gran sorriso.
— Faremo tanto chiasso che non sentiranno mai scavare — disse. — Faremo una festa rumorosissima in onore dei Signore.
Io non ero sicuro dell’efficacia del suo piano, ma lui insistette che tutto sarebbe andato bene e mi pregò di riprendere i lavori la mattina dopo.
Mentre tornavo alla mia tenda, quella sera, e il sole calava dietro le montagne facendole diventare viola e rendendo il cielo di un fiammante rosso dorato, uno straniero mi venne incontro.
— Orion — sussurrò. — Vieni con me.
Era imbacuccato in un lunga veste grigia con sopra un mantello scuro, il cappuccio calato che gli nascondeva i tratti del viso.
Ma io sapevo chi era, e lo seguii senza parlare mentre passava fra le tende dell’accampamento israelita e si dirigeva fuori, attraverso i verdi campi, in direzione del fiume lontano.
— Siamo abbastanza distanti — dissi io alla fine. — Possiamo fermarci qui. Anche se brilli come una stella nessuno lo noterà dall’accampamento.
Lui rise, un riso basso e profondo soffocato in gola. — Non ci sono molte possibilità che io emani radiazioni sufficienti perché loro mi trovino.
Con loro, sapevo che non si riferiva agli Israeliti.
— Stai aiutando questa gente a sopraffare Gerico. Questo mi fa piacere.
— Potrò partire per l’Egitto una volta che Gerico sarà presa? — chiesi.
— Certamente. — Sembrava sorpreso della mia domanda.
— E tu resusciterai Atena?
— Proverò, Orion. Proverò. Non Posso promettere nient’altro. Ci sono delle difficoltà; enormi difficoltà. Loro stanno cercando di fermarmi.
— Lo so.
— Si sono messi in contatto con te?
— Io mi sono messo in contatto con loro. Pensano che tu sia diventato pazzo.
Rise di nuovo. Amaramente. — Io lotto da solo per sostenere il continuum, il loro continuum, in modo che possano continuare a esistere. Sono l’unica barriera contro la distruzione completa. Io proteggo la Terra e le mie creature con ogni particella della mia forza e della mia saggezza. E loro la chiamano pazzia. Folli!
— Era mi ha detto che se ti aiuto, lei e gli altri mi distruggeranno.
Nell’ombra del cappuccio non riuscivo a cogliere la sua espressione. Era la prima volta che incontravo il Radioso senza che irradiasse luce e splendore.
Dato che non rispondeva, aggiunsi: — E tu mi hai avvisato che se non ti aiuto mi distruggerai.
— E tu mi hai detto, Orion, che vuoi distruggere me. Una bella situazione.
— Puoi ridare la vita ad Atena?
— Se io non posso, non può nessun altro. Nessuno ci proverebbe nemmeno, Orion. Ci vuole un… pazzo, come me, anche solo per tentare una cosa del genere.
— Allora continuerò ad aiutarti.
— E mi riferirai esattamente quello che loro ti diranno in qualunque momento si mettano di nuovo in contatto con te.
— Se lo desideri — risposi.
— Io non desidero, Orion. Io ordino. Posso vedere i tuoi pensieri chiaramente come parole scritte in cielo con il fuoco. Non mi puoi nascondere niente.
— Allora vedi la tua stessa morte.
Rise divertito, questa volta. — Ah, Orion, credi davvero di poter sconfiggere gli dèi!
— Voi non siete dèi. Puoi ingannare nomadi ignoranti come Giosuè e il suo popolo, ma io la so più lunga.
— Certo, certo — disse con condiscendenza. — Adesso, torna dalla tua Elena e alle sue moine per farsi portare in Egitto.
Non c’era niente che non sapesse, mi resi conto. Stava lì davanti a me, e anche sotto quel travestimento potei percepire il suo sorrisino di superiorità.