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— Ma il suo onore… — disse Beniamino.

— Niente può rimpiazzarlo. Però lei vi ha rinunciato abbastanza facilmente, no? Ha commesso un grave errore, ma non costringetela ad accentuarlo con uno ancora più grande.

Beniamino teneva l’anello in una mano. Guardò Elena, poi si voltò verso di me. Grattandosi la testa, alla fine disse: — Porterò questo a suo padre e vedrò se sarà d’accordo con la vostra saggezza, mia signora.

— Lo sarà — gli assicurò Elena.

Beniamino uscì lentamente, perso così profondamente nei suoi pensieri da vedere a malapena dove stava andando. Gli uomini all’esterno mormoravano e borbottavano e parlottavano dirigendosi verso le tende della loro tribù.

Io sorrisi ad Elena. — Grazie. È stato un bel pensiero da parte tua, molto saggio. E molto generoso.

Lei mi rispose con un sorrisino altezzoso. — Vale la pena di pagare qualunque prezzo pur di accelerare il momento in cui potremo lasciare questo posto disgraziato.

Lukka era d’accordo. Agitando una mano per congedare i suoi soldati, mi disse: — Forse ora possiamo tornare a buttare giù quel maledetto muro.

31

La “festa rumorosissima in onore del Signore” consisteva in una banda in marcia. Giosuè riunì tutti i sacerdoti e li fece marciare intorno alle mura della città, insieme a una cassa di legno rivestita d’oro di squisita fattura portata in processione su due lunghi pali. I sacerdoti con le vesti e i turbanti più colorati erano preceduti da sette uomini che suonavano trombe di corna d’ariete e seguiti da altre trombe, tamburi e piatti.

La cassa era un oggetto di culto che Giosuè chiamava “l’arca dell’alleanza”. Non mi fu mai permesso di avvicinarmi abbastanza da vederla nei dettagli. Infatti, Beniamino insisteva che il solo toccarla avrebbe significato la morte istantanea. Mi chiesi se non fosse un qualche tipo di attrezzatura per comunicare con la dimensione in cui vivevano il Radioso e la sua specie, ma Beniamino mi disse che conteneva due tavole di pietra su cui erano scritte le leggi date a Mosè direttamente dal loro dio.

Sapevo che era meglio non discutere di religione, anche con Beniamino. I sacerdoti e la loro banda itinerante fecero effettivamente un bel po’ di baccano, e girarono intorno alle mura della città per tutto il giorno, sostituendo con uomini freschi quelli via via troppo stanchi.

Coperti dalla loro musica e dai loro canti, noi perforammo le fondamenta del muro principale. Con le punte di lancia avevamo sfondato i due muri di sostegno esterni, e poi, senza troppe difficoltà, avevamo scavato un cunicolo nei detriti millenari che costituivano la collina di Gerico. Adesso c’era abbastanza spazio perché i nostri scavatori potessero ingrandirlo in modo da farci stare un uomo in piedi. Giosuè aveva dato il via ai sacerdoti quando eravamo arrivati alla base del muro principale.

All’inizio, marciarono a una certa distanza dalla cinta muraria, e le sentinelle di guardia lanciavano loro sguardi molto sospettosi, aspettandosi un qualche tipo d’attacco a sorpresa. Ma verso sera sulle mura c’erano sempre più donne e bambini, che guardavano quella strana e colorata processione.

Per sei giorni marciarono e suonarono i loro strumenti e cantarono, mentre noi grattavamo e sfregavamo le massicce fondamenta. I cittadini di Gerico, in fila sui bastioni, agitavano le mani e gridavano prese in giro. Ogni tanto qualche bambino buttava giù qualcosa, ma niente di bellico venne indirizzato alla strana sfilata. Forse la gente della città pensava che non fosse bene prendersela con dei sacerdoti, incorrendo magari nell’ira di un dio. Forse pensavano che l’intenzione degli Israeliti fosse di farli diventare tutti matti, con quella musica e quei canti ininterrotti.

Esattamente come Elena. — Non posso più sopportare questo orribile chiasso! Mi fa dolere le orecchie!

Era notte, e i soli rumori fuori dalla nostra tenda erano il ronzio degli insetti e la voce lontana di una madre che cantava una dolce ninnananna al suo bambino.

— Se davvero vai a far visita agli dèi — disse Elena — perché non chiedi loro di far cadere le mura per te?

Sorrisi. — L’ho fatto. E mi hanno risposto di arrangiarmi da solo.

A dispetto di se stessa, anche lei sorrise. — Gli dèi non sono sempre gentili con noi, vero?

— Domani finirà tutto — le dissi. — Abbiamo finito di scavare. Adesso tocca al fuoco.

Lasciai Elena sola nella nostra tenda e uscii nel buio per controllare i preparativi per l’assalto del giorno dopo. Tutti gli uomini che già avevano lavorato tanto duramente allo scavo stavano raccogliendo sterpi nei campi, li trascinavano nel tunnel e li ammucchiavano alla base delle fondamenta del muro principale.

Come mi ero aspettato, i mattoni di fango erano contornati da robusti tronchi distanziati di qualche metro. Alcuni erano molto vecchi, secchi, infiammabili. Una volta che avessero preso fuoco, l’intera sezione di muro sarebbe crollata. O almeno speravo.

Per tutta la lunga notte, gli operai continuarono la loro opera incendiaria. Lukka e due dei suoi uomini migliori erano laggiù, a supervisionare il lavoro e ad aprire le prese d’aria lungo la base del muro, in modo che il fuoco non soffocasse.

Finalmente terminarono. Lukka uscì dal tunnel quando il primo cenno di grigio cominciò a illuminare il cielo dietro le montagne al di là del Giordano.

Io entrai per l’ispezione finale, strisciando sulla pancia nella prima parte del tunnel, sentendomi come un lombrico, cieco e chiuso da tutti i lati. Dopo quella che mi sembrò un’ora, la galleria divenne più alta, potei mettermi carponi e, alla fine, alzarmi in piedi e camminare come un uomo.

Portavo con me una torcia, e pezzi di selce e ferro per provocare la scintilla che l’avrebbe accesa. Ma non prima che fosse giorno pieno, e che i sacerdoti di Giosuè avessero ricominciato la loro sfilata intorno alle mura. Volevamo trattenere l’attenzione dei difensori di Gerico sul rumoroso corteo il più a lungo possibile, in modo che il fuoco prendesse bene e non ci fosse modo di domarlo prima che il muro franasse. Sentivo anche che Giosuè dava un certo valore alla coreografia, facendo sì che il crollo delle mura sembrasse provocato dalla musica dei sacerdoti.

Era pienamente consapevole del valore della manipolazione delle opinioni della gente. Paragonava di continuo il loro passaggio del fiume Giordano con quello di Mosè attraverso il Mar Rosso. E non si stancava di ripetere che la gente di Canaan doveva rendersi conto che il Dio di Israele era più potente dei loro dèi, che lui considerava falsi e inesistenti.

Avevo portato con me anche una piccola candela e l’accesi quando raggiunsi l’estremità del tunnel. Gli sterpi sembravano pronti a bruciare: ce n’era un bel mucchio contro e sotto le fondamenta del muro, abbastanza per dar fuoco ai tronchi. Potevo sentire l’odore dell’aria della notte, leggermente umida, che penetrava dai buchi che Lukka aveva fatto aprire. Poteva bastare a dare al fuoco l’ossigeno di cui aveva bisogno. Tutto era pronto, pensai.

Spensi la candela, ma la luce non scomparve. Al contrario, invece, aumentò e si diffuse tutt’intorno finché mi resi conto che ero stato risucchiato ancora una volta nella dimensione dei Creatori.

Ne vidi quattro davanti a me, nell’informe bagliore che usavano per tenere nascosto il loro mondo ai miei occhi. Però, se mi concentravo, riuscivo a cogliere alle loro spalle le deboli tracce di strane forme. Macchine? Strumenti? Sembravano all’interno di una grande stanza, più che all’aperto. Un laboratorio? Un centro di controllo?