Riconobbi lo Zeus dalla barba corta, ed Era vicino a lui. Gli altri due erano maschi; li avevo già visti. Uno era magro e muscoloso, alto come Zeus. Aveva il volto sottile, con un lungo mento a punta e corti capelli nerissimi che finivano sulla fronte alta con una “V” che coincideva perfettamente con l’angolo del mento. Sfoderava un sorriso ironico; gli occhi erano maligni. Pensai a lui come a Ermes, il messaggero degli dèi, il protettore dei ladri. L’altro era corpulento, grosso di spalle e di braccia, con capelli rossi fittamente ricciuti e gli occhi fulvi di un leone. Ares, il dio della guerra. Ovviamente.
Portavano tutti abiti identici di luccicante stoffa metallica, quasi delle uniformi. La sola differenza erano i colori: Zeus era vestito d’oro, Era di rosso rame, Ermes d’argento e Ares di bronzo.
— Continui ad aiutare il nostro folle Apollo — disse Zeus. Era una semplice affermazione, come quella di un cancelliere di tribunale che legge i capi d’accusa.
Io risposi: — Continuo a fare quello che devo per riportare alla vita quella di nome Atena.
— Sei stato avvisato, Orion — disse Era, gli occhi scuri che lampeggiavano.
Feci in modo di sorriderle. — Mi distruggeresti, dea? Metteresti fine alla mia vita, finalmente? Sarebbe un sollievo.
— Potresti impiegare molto a morire — disse quasi facendo le fusa.
— No! — intervenne bruscamente Zeus. — Non siamo qui per minacciare o punire. Il nostro scopo è trovare Apollo e fermare i suoi piani pazzeschi prima che ci distrugga tutti.
— E questa creatura — disse il bruno Ermes — sa dove trovarlo.
— Non sono il suo guardiano.
— Certamente gliene servirebbe uno — disse Ares, ridendo della sua stessa battuta.
— Possiamo aprire il tuo cervello, Orion, e tirarne fuori tutti i ricordi — disse Era.
— Sono certo che lo possiate. E molti li trovereste dolorosi.
Zeus agitò una mano con impazienza. — Dici di non sapere dove sia il Radioso.
— Sì, è la verità.
— Ma puoi trovarlo per noi?
— In modo che possiate distruggerlo?
— Quello che ne facciamo non è affare tuo, Orion — disse Era. — Considerando come ti ha trattato, penso che dovresti essere contento di vederlo fuori combattimento.
— Potete riportare Atena alla vita? — chiesi.
Il suo sguardo vacillò, allontanandosi da me. Gli altri sembravano a disagio, persino Zeus.
— Non siamo qui per parlare di lei — disse brusco il rosso. — È Apollo che cerchiamo.
Prima che potessi rendermi conto delle conseguenze, promisi: — Posso condurvi da lui. Dopo che avrà riportato Atena alla vita.
— Nessuno può farlo — si lasciò sfuggire Era, annoiata.
Zeus e gli altri le lanciarono un’occhiata.
Io dissi: — Dopo che non sarà riuscito a resuscitarla, allora.
Con un sorriso malizioso, Ermes chiese: — Come facciamo a sapere che possiamo fidarci di te?
Io mi strinsi nelle spalle. — A quanto pare potete trovarmi quando volete. Se vi convincerete che non tengo fede alla mia parola, d’accordo, farete di me quello che vorrete. Se Atena non può essere riportata alla vita, non sono poi così interessato a continuare a vivere.
Una reale solidarietà sembrò riempire gli occhi di Zeus. Ma Era sogghignò, scettica. — E cosa mi dici del tuo attuale amore, la bella Elena?
— Mi ama come l’amo io — risposi. — Finché ci saremo utili l’un l’altro, e non oltre.
Zeus si passò una mano nella barba. — Ci consegnerai Apollo quando ti sarai reso conto che non può resuscitare Atena?
— Sì.
— Non possiamo fidarci della parola di una creatura — disse Era. — Questa è follia! Più aspettiamo, più il pericolo…
— Stai calma — disse Zeus. Parlò gentilmente, ma Era si fermò a metà frase. Volgendo di nuovo gli occhi grigi verso di me, Zeus disse: — Io mi fido davvero di te, Orion. Il destino del continuum dipende dalla tua parola. Se ci mentirai, segnerai non solo la tua distruzione, non solo la nostra distruzione, ma la fine del continuum, la rovina totale dell’intero spazio-tempo nel quale tutti esistiamo.
— Lascerai che il Radioso porti a termine i suoi piani a Gerico? — Ares aveva gli occhi spalancati per l’incredulità. — Alimenterai la sua follia?
— Mi fiderò di Orion — rispose Zeus. — Per adesso.
Gli altri tre cominciarono a parlare contemporaneamente, ma io non sentii mai cosa dissero. Zeus mi fece un cenno con la testa, poi mosse leggermente la mano destra.
E improvvisamente mi ritrovai nel buio completo del tunnel, alla base del muro principale di Gerico.
Rimasi lì tremante per diversi minuti. La fine si avvicinava, lo sapevo. Potevano non essere capaci di scovare il Radioso, ma certamente sapevano scovare me. Nell’istante in cui le nostre strade si fossero incrociate, gli sarebbero saltati addosso e l’avrebbero condannato, ucciso, prima che io avessi la minima possibilità di resuscitare la dea che avevo amato.
Mi costrinsi a calmarmi. L’amara iniquità della situazione faceva quasi ridere. Io volevo distruggere il Radioso. Loro volevano distruggere il Radioso. Ma io dovevo proteggerlo finché non avesse fatto il suo tentativo di riportare alla vita Atena. Dubitavo che potesse farlo. E più ci pensavo, più disperavo della sua capacità di restituirmela.
Eppure, era abbastanza intelligente, e abbastanza potente, da eludere il loro controllo. Non riuscivano a trovarlo, pur sapendo che doveva essere dalle parti di Gerico. Avevano paura di lui, paura per le loro vite. Forse lui era davvero il più potente tra loro. E mentre loro cercavano di scovarlo e di distruggerlo, lui stava progettando di distruggerli a sua volta. Mi trovavo al centro di un’autentica lotta Olimpica.
Un leggero suono mi fece trasalire. Un rumore stridente, piagnucoloso. Le trombe di corno! Sbattendo gli occhi, mi resi conto che una sottile lama di luce penetrava fino a me. Era mattina. Giosuè aveva cominciato la sua parata. Per Gerico stava arrivando il colpo di grazia.
Picchiai sulla pietra focaia e accesi la torcia, poi la misi sul mucchio di sterpaglia contro il muro. Secchi come il deserto nella stagione calda, i rami presero fuoco istantaneamente. Mi allontanai dal calore improvviso, e mi resi conto che avrei fatto meglio a uscire il più rapidamente possibile.
Mi chinai per entrare nella parte più bassa del tunnel e fuggii come un ragno dalle zampe storte, con il calore dietro di me che sembrava volesse raggiungermi. Mi chiesi se il fuoco avrebbe attaccato anche le travi che sostenevano il cunicolo intrappolandomi nel crollo. Stavo strisciando sul ventre, adesso, molto più lentamente di quanto volessi. Ricordai confusamente altre vite, altre morti: nella furia bollente di un vulcano in eruzione, nel vortice fiammeggiante di un reattore nucleare.
Il fumo mi faceva tossire. Chiusi gli occhi; tanto non avrei potuto vedere molto in quel buio profondo. Avanzai strisciando, incalzato dal calore alle mie spalle e richiamato da un accenno d’aria fresca di fronte.
Improvvisamente, sentii due forti mani che mi afferravano per i polsi e mi trascinavano sul terreno scabroso. Aprii gli occhi e vidi Lukka, che tirando, sbuffando, imprecando mi portava alla luce del sole e al sicuro.
Ci alzammo in piedi, circondati dai soldati hatti. Erano armati di tutto punto, adesso, con gli scudi e le armature pronti per la battaglia.
— Funziona? — chiesi a Lukka. Lui sorrise gravemente. — Vieni a vedere da te.
Uscimmo insieme dalla tenda e guardammo in direzione della città. Spirali di fumo si stavano alzando dalla base del muro. Stavano passando da un grigio biancastro a un colore più scuro e minaccioso. Il fumo si fece più denso.
— I tronchi devono aver preso — disse Lukka.