— Ma io devo andarci — insistetti.
— Per trovare il Dio che già è tra noi? Resta, e Lui ti benedirà.
— Il dio che cerco è venerato da molti popoli, in molti modi. Per alcuni è il dio del sole…
— C’è un unico vero Dio — intonò il vecchio sacerdote. — Tutti gli altri dèi sono falsi.
— Lui mi ha detto di cercarlo in Egitto — mi lasciai scappare, sull’orlo dell’esasperazione.
Il vecchio sacerdote si scostò da me barcollando. Giosuè impallidì.
— Dio parla con te?
— Questo dio l’ha fatto.
— In un sogno?
Alzai il braccio indicando la lontana riva del fiume. — Lì, vicino al fiume, qualche notte fa.
— Bestemmia! — sibilò il vecchio sacerdote tirandosi la lunga barba bianca.
Giosuè scosse la testa, con un’espressione quasi compiaciuta. — Non era il Dio di Israele che hai visto, Orion. Era un uomo, o una falsa visione.
Naturale, finché lui era così coinvolto. Ovvio. Decisi che non aveva senso discutere con loro. Se avessero saputo che il dio che veneravano era quello che mi ero ripromesso di uccidere, mi avrebbero fatto a pezzi.
— Forse — gli concessi. — Comunque, io devo andare in Egitto.
Giosuè cercò d’insistere: — È un errore, Orion. Faresti molto meglio a rimanere con noi.
— Non posso — risposi.
Giosuè tacque. Allargò appena le mani in un vago gesto di congedo. Me ne andai e mi diressi di nuovo alla mia tenda, con i pensieri in subbuglio dal momento che mi rendevo conto che Giosuè non ci avrebbe lasciato partire. Non se poteva impedircelo, almeno.
Mentre la notte avvolgeva del suo nero mantello le rovine di Gerico, gli Israeliti tornarono barcollando all’accampamento e alle loro donne, imbrattati di sangue, carichi delle ricchezze della città più antica del mondo. Erano silenziosi e cupi, mentre il ricordo delle atrocità commesse cominciava a bruciare nelle loro coscienze. Anche le donne erano silenziose, sapendo che era meglio non fare domande.
Lukka riportò indietro i suoi soldati tutti insieme, vacillante come loro sotto un fardello di sete, coperte, armature, armi, gioielli, e persino sculture d’avorio e di giada.
— Arriveremo in Egitto da uomini ricchi — mi disse fiero deponendo il bottino ai miei piedi, vicino al nostro fuoco.
Piano, gli risposi: — Se arriveremo in Egitto, sarà contro il volere di Giosuè e della sua gente.
Lukka mi fissò, il viso severo mezzo nascosto dalle ombre tremolanti del fuoco.
— Tieni insieme gli uomini, e stai pronto a partire quando ti darò l’ordine — gli dissi.
Lui rispose con un rapido cenno d’assenso e fece in modo che gli uomini cominciassero immediatamente a raccogliere il bottino e a caricarlo sui nostri carri.
Elena era più impaziente che mai di partire, e quando le dissi dei miei timori, disse: — Allora dobbiamo andarcene adesso, stanotte, mentre sono ubriachi di vittoria e dormono senza avere appostato sentinelle.
— E cosa succederà domattina, quando scopriranno che non ci siamo più? Potrebbero raggiungerci e costringerci a tornare.
— Lukka e i suoi soldati potrebbero trattenerli mentre noi fuggiamo — disse lei.
— E morire per darci qualche ora di vantaggio? — Scossi la testa. — Ce ne andremo, ma solo quando avrò convinto Giosuè a lasciarci andare.
Lei si adirò, ma si rese conto che non c’era altro modo.
Quella notte dormii senza sogni, senza Creatori. Ma il mattino seguente ero pronto ad affrontare Giosuè. Era un piano semplice, forse anche rozzo, ma speravo che avrebbe funzionato.
Tutta la giornata fu dedicata a cerimonie di ringraziamento e di espiazione, e i sacerdoti cantarono inni di lode al loro dio con melodie che suonavano in qualche modo tristi e malinconiche. Il popolo di Israele si adornò degli indumenti più fini, di cui molti saccheggiati a Gerico, e si unì ai canti, tribù per tribù. Mi accorsi che se anche le parole degli inni erano dirette al dio invisibile, gli occhi di tutti fissavano Giosuè. Lui era in piedi di fronte al suo popolo, drappeggiato in una veste multicolore, e accettava silenziosamente quell’omaggio.
Al calar del sole, gli Israeliti erano di nuovo riuniti nelle loro unità tribali e familiari, ognuna raccolta intorno al suo fuoco, e i canti erano meno solenni, più allegri: canzoni di casa, canzoni della gente comune. Si cominciò a ballare, qua e là, uomini e donne in gruppi separati, e ridevano e giravano intorno ai fuochi mentre battevano i piedi sul terreno polveroso.
Beniamino mandò un ragazzo per invitarmi alla tenda della sua famiglia, ma io declinai educatamente l’invito, dal momento che non includeva Elena. Uomini e donne d’Israele non solo mangiavano ma anche ballavano separati. Naturalmente.
Aspettavo una convocazione da parte di Giosuè e, neanche a dirlo, avevamo appena finito la cena quando un giovane con una corazza di bronzo appena rubata mi si avvicinò e mi disse che Giosuè desiderava scambiare qualche parola con me.
Dissi ad Elena e a Lukka di tenersi pronti a partire, poi seguii l’Israelita alla tenda del suo capo.
La tenda era stracolma delle spoglie di Gerico: belle casse di cipresso intarsiate d’osso, d’avorio, piene sino all’orlo di fini indumenti, mucchi di drappi e coperte, tavoli che si curvavano sotto il peso di piatti e calici dorati, daghe dai complicati intagli, spade e armature, oggetti di smalto, terrecotte e brocche per il vino, cumuli di gioielli e sculture.
Memorizzai tutto con un solo rapido sguardo, poi guardai Giosuè. Sedeva su una pila di cuscini all’estremità della tenda con indosso splendide vesti, in tutto simile a un sovrano orientale. Con un gesto della mano congedò le tre ragazze che lo servivano, che mi oltrepassarono correndo, scalze, lasciandoci soli.
— Prendi quello che vuoi — disse lui indicando con grandiosità il bottino. — Qualunque cosa tu voglia, è tua. E prendi qualche gioiello per la tua bella compagna.
Ignorai quei tesori e andai direttamente verso di lui, e mi sedetti sui tappeti ai suoi piedi.
— Giosuè, non ho bisogno di niente, né lo voglio. Voglio che tu mantenga la tua promessa e ci lasci andare in pace, ora che vi abbiamo aiutato a conquistare Gerico.
Non c’era vino in vista. Le sue mani erano vuote, gli occhi limpidi. Ma sembrava quasi ubriaco. Forse di vittoria. Forse della visione di conquiste future.
— Dio ti ha messo nelle mie mani, Orion — disse. — Gli dispiacerebbe se ti lasciassi andare.
— Parli con il tuo dio, adesso?
Nei suoi occhi passò un lampo d’ira. Ma rispose abbastanza gentilmente: — Il nostro prossimo obiettivo saranno gli Amalekiti. Ci premono addosso e devono essere distrutti completamente.
— No — dissi io.
— Tu e i tuoi guerrieri ittiti valete troppo per lasciarvi andare — disse Giosuè. — Non mentre ci sono così tanti nemici intorno a noi.
— Dobbiamo partire.
Sollevò una mano conciliante. — Quando avremo pacificato la regione. Quando i Figli di Israele potranno vivere qui al sicuro, senza essere minacciati dai loro vicini. Allora potrete partire.
— Potrebbero volerci parecchi anni — dissi.
Lui si strinse nelle spalle. — È nelle mani di Dio, non nelle mie.
Io riuscii a sorridergli. — Giosuè, certamente tu, più di chiunque altro, puoi capire il desiderio di un uomo di essere libero. Io non intendo essere schiavo, né tuo né del tuo dio.
— Schiavo? — Indicò di nuovo il bottino. — Uno schiavo viene ricompensato così splendidamente?
— Un uomo che non è libero di andare dove vuole è uno schiavo, non importa quanti gingilli il suo padrone gli offre.