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La cosa che si notava di più era che voltarsi e tentare la fuga era molto più pericoloso che affrontare il nemico e combattere. Vidi un auriga far fare marcia indietro alla sua pariglia per sfuggire a due carri che convergevano su di lui. Qualcuno tirò una lancia che lo colpì tra le scapole. I suoi cavalli si misero a correre all’impazzata, e mentre il guerriero rimasto sul carro tentava di afferrare le redini dalle mani senza vita del suo compagno per riprendere il controllo dei cavalli, un altro lanciere si avvicinò e lo uccise con un colpo alla schiena.

I soldati che si allontanavano a piedi dal teatro del combattimento venivano colpiti sulla schiena dalle frecce o abbattuti dai guerrieri sui carri che brandivano le spade come falci.

Stava diventando difficile vedere, perché la polvere era sempre più fitta. Ma intesi uno squillo di tromba e il boato di molti uomini che gridavano insieme. Poi il tuono degli zoccoli dei cavalli fece tremare il terreno.

Tra la polvere avanzavano tre dozzine di carri, diretti esattamente verso il luogo dove eravamo noi, in cima ai cumuli di terra delle fortificazioni.

— Il principe Ettore! — disse Polete, con un tono di riverente timore. — Guarda come si apre la strada fra gli Achei!

Ettore doveva aver riorganizzato le sue forze o averle tenute lontane dalla confusione iniziale. Comunque fosse, adesso le stava dirigendo come truppe d’assalto fra le truppe nemiche, massacrando a destra e a sinistra. La sua lancia lunga e massiccia era macchiata di sangue sino a metà dei suoi quattro metri di lunghezza. La portava con la disinvoltura con cui avrebbe tenuto una bacchetta, trafiggendo sia nobili in armatura sia fanti dal farsetto di pelle, procedendo senza rallentare verso le fortificazioni che proteggevano la spiaggia, l’accampamento, le navi.

Per alcuni minuti gli Achei risposero all’attacco, ma quando il carro di Ettore riuscì a oltrepassare la fila disordinata dei loro carri e si diresse verso la porta del bastione, la resistenza achea andò in frantumi. Nobili e plebei, carri e fanteria, tutti corsero, gridando, a cercare salvezza nelle fortificazioni di terra.

Ettore e i suoi sfogarono la loro furia sanguinosa sui nemici terrorizzati. Con lance, spade e frecce uccisero, uccisero e uccisero. Gli Achei correvano verso di noi zoppicando, inciampando, sanguinando. Le grida e i lamenti riempivano l’aria.

Un carro acheo si precipitò verso l’entrata sobbalzando e sferragliando, passando al di là e persino sopra i fanti in fuga. Riconobbi la corazza del guerriero dalle larghe spalle: Agamennone, il Sommo Re.

Non sembrava così splendido, in quel momento. Il suo elmo piumato era coperto di polvere. Una freccia gli sporgeva dalla spalla destra e il sangue gli striava il braccio.

— Siamo rovinati! — gridava con una voce acuta come quella di una ragazza. — Rovinati!

4

Gli Achei correvano a cercare salvezza nelle fortificazioni, con i carri troiani che incalzavano da vicino e seguiti dalla fanteria che brandiva spade e asce. Qua e là un soldato a piedi si fermava per un attimo per lanciare un sasso contro i nemici in ritirata o per inginocchiarsi e scoccare una freccia.

Una mi rasentò sibilando. Mi voltai e vidi che Polete ed io eravamo soli sulla cima del bastione. Gli altri thetes, persino il capomastro, erano scesi nell’accampamento.

Una rumorosa contesa si stava svolgendo vicino alla porta. Era un affare di legno sgangherato, fatto di assi prelevate da alcune delle navi. Non era una vera porta, con i cardini, ma semplicemente una barricata di legno che andava sollevata e incuneata nell’apertura della fortificazione.

Alcuni uomini stavano freneticamente cercando di metterla a posto, mentre altri tentavano di trattenerli finché il resto dei compagni in fuga non fosse riuscito a entrare. Vidi che Ettore e i suoi carri avrebbero raggiunto l’ingresso in un minuto e anche meno. Una volta superata la porta, lo sapevo, i Troiani avrebbero massacrato tutti nell’accampamento.

— Resta qui — dissi a Polete, e senza controllare se mi avesse obbedito, mi riparai tra i paletti piantati in cima al bastione, dirigendomi verso l’uscita.

Con la coda dell’occhio vidi una lancia leggera volare sibilando verso di me. I miei sensi sembravano acuiti, più all’erta. Il mondo intorno a me si muoveva lentamente mentre il mio corpo passava improvvisamente all’ipervelocità. Il giavellotto arrivò fluttuando pigramente nell’aria, flettendosi leggermente mentre avanzava. Io feci un salto indietro e quello si conficcò nel terreno ai miei piedi, tremolando. Lo tirai con forza e corsi verso la porta.

Il carro di Ettore stava già salendo la rampa che attraversava la trincea di fronte al bastione. Non c’era tempo per nien’altro, così saltai giù, proprio di fronte ai cavalli di Ettore che arrivavano alla carica. Urlai e sollevai entrambe le braccia, e i cavalli spaventati indietreggiarono nitrendo.

Per un istante il mondo si fermò, immobile come una pittura su un vaso. Alle mie spalle gli Achei stavano tentando di sollevare la barricata che avrebbe tenuto i Troiani fuori dal campo. Davanti a me, la pariglia di Ettore si impennò con gli zoccoli non ferrati delle zampe anteriori che si agitavano a pochi centimetri dalla mia faccia. Io stavo leggermente chinato, tenendo il leggero giavellotto con entrambe le mani, all’altezza del torace, pronto a muovermi in qualunque direzione.

I cavalli si allontanarono da me, con gli occhi sbarrati e bianchi di paura, facendo quasi scivolare il carro di lato giù dalla rampa di terra battuta. Vidi che Ettore era ancora in piedi, con una mano sulla sponda del carro e l’altra sollevata sopra la testa, brandiva una lancia mostruosamente lunga e grondante di sangue.

Mirò al mio petto.

Guardai Ettore, Principe di Troia, negli occhi. Erano occhi castani, calmi e profondi. Nessuna rabbia, nessuna sete di battaglia. Era un soldato freddo e calcolatore, un pensatore tra l’orda di bruti madidi di adrenalina. Notai che al braccio sinistro portava un piccolo scudo rotondo fissato con cinghie, invece del pesante modello a figura intera che usava la maggior parte degli altri nobili. Sopra, c’era dipinto un airone in volo, quasi in uno stile che sarebbe stato definito giapponese nei millenni a venire.

Fece l’atto di scagliare la lancia. Io feci un passo di lato, lasciai cadere il giavellotto che avevo in mano e afferrai l’asta di frassino che Ettore ancora impugnava, sollevando l’uomo al di sopra della sponda del carro. Poi gli strappai la lancia e la calai sulla testa dell’auriga, mandandolo a sbattere contro il lato opposto del carro.

I cavalli si fecero prendere dal panico e inciamparono l’uno nell’altro sulla rampa stretta. Uno cominciò a scivolare lungo il bordo scosceso della trincea. Nitrendo di paura, tutti indietreggiarono e si voltarono, calpestando il povero auriga mentre si lanciavano giù dalla rampa verso la lontana città, trascinandosi dietro il carro vuoto.

Ettore si mise in piedi a fatica e si diresse verso di me sfoderando la spada. Io parai con la lancia, tenendola come un’asta da combattimento, e lo colpii alle caviglie facendolo cadere di nuovo.

In quel momento altri Troiani stavano salendo la rampa a piedi, dal momento che i loro carri erano ormai inutili e visto che i cavalli terrorizzati di Ettore avevano fatto disperdere gli altri.

Diedi uno sguardo dietro di me. La barricata era sollevata, adesso, e gli arcieri achei stavano tirando attraverso le fessure tra le assi. Altri erano in cima al bastione e scagliavano sassi e lance. Ettore sollevò lo scudo per proteggersi e indietreggiò. Alcune frecce troiane arrivarono nella mia direzione, ma io le schivai facilmente.