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Parlammo per ore, in quell’angolo ombroso del cortile. Seppi che la parola Faraone, come diceva Nefertu, più che il sovrano designava essenzialmente il governo, la casa del re, la sua amministrazione. Erano anni che l’Egitto veniva attaccato da quelli che lui chiamava i Popoli del Mare, guerrieri non meglio identificati del continente europeo e delle isole egee che sporadicamente razziavano le città del delta e della costa. Considerava Agamennone e i suoi Achei alla stregua dei Popoli del Mare: barbari. Vedeva la caduta di Troia come un colpo inferto alla civiltà, e io ero d’accordo con lui, anche se non gli dissi come avevo sfidato il Radioso per dare il mio contributo a quella distruzione. Come non gli dissi che la donna che viaggiava con me era la regina Elena di Sparta, né che il suo legittimo marito, Menelao, la stava cercando. Parlai solo delle guerre che avevo visto, e del desiderio che la mia banda entrasse al servizio del suo re.

— L’esercito ha sempre bisogno di uomini — disse Nefertu. Il vino era finito da tempo, delle olive non era rimasto altro che un mucchio di semi e il tramonto del sole disegnava lunghe ombre nel cortile. Il vento era cambiato: mosche provenienti dalle stalle ronzavano intorno a noi fastidiosamente. Ma Nefertu non chiamò nessuno schiavo a sventolare un ventaglio per scacciarle.

— Gli stranieri sono accettati nell’esercito? — chiesi.

Il suo piccolo sorriso ironico tornò. — L’esercito è composto quasi solo da stranieri. La maggior parte dei figli delle Due Terre ha perso la sete di glorie militari molto tempo fa.

— Allora gli Ittiti sarebbero accettati?

— Accettati? Sarebbero i benvenuti, soprattutto se hanno le conoscenze di ingegneria di cui parli.

Mi disse di aspettare alla locanda finché non fosse riuscito a mettersi in contatto con Wast, la capitale, molto più a sud. Mi aspettavo di rimanere a Talphanes per molte settimane, invece il giorno dopo Nefertu tornò alla locanda e mi disse che il generale del re voleva vedere gli uomini dell’esercito ittita.

— È qui a Talphanes? — chiesi.

— No, è nella capitale, alla grande corte di Merenptah. A Wast.

Sbattei gli occhi per la sorpresa. — Allora, come hai fatto a mandare un messaggio.

Nefertu rise, un sorriso gentile, davvero divertito. — Orion, più di tutti gli altri dèi noi veneriamo Amon, lo stesso sole glorioso. Lui rende rapidi messaggi per tutta la lunghezza e la larghezza della nostra terra, su specchi che catturano la sua luce.

Un telegrafo solare. Risi anch’io. Che cosa ovvia, scontata. I messaggi potevano andare su e giù per il Nilo quasi alla velocità della luce.

— Devi portare i tuoi uomini a Wast — disse Nefertu. — E io vi accompagnerò. Sarà la mia prima visita alla capitale dopo molti anni. Devo ringraziarti per questa opportunità, Orion.

Io accettai i suoi ringraziamenti inchinando leggermente la testa.

Elena era felicissima di andare nella capitale.

— Non abbiamo nessuna garanzia di vedere il re — l’avvisai. Mi zittì con un vago gesto della mano. — Quando si renderà conto che la regina di Sparta e principessa di Troia è nella sua città, certo pretenderà di vedermi.

Io ribattei: — Quando si renderà conto che Menelao può fare razzie sulle sue coste nel tentativo di trovarti, potrà anche pretendere che tu sia restituita a Sparta.

Lei tacque, accigliata.

Quella notte però, mentre stavamo sdraiati sul morbido letto di piume della locanda, Elena si voltò verso di me e chiese: — Cosa succederà quando mi consegnerai al re egiziano?

Io le sorrisi nelle ombre della luna e le accarezzai i capelli dorati. — Senza dubbio, s’innamorerà follemente di te. O, quanto meno, ti darà in sposa a uno dei suoi figli.

Ma lei non era in vena di scherzare.

— Non pensi seriamente che mi manderebbe di nuovo da Menelao, vero?

Anche se pensavo che fosse possibile, risposi: — No, certo che non lo farebbe. Come potrebbe? Tu vai da lui per avere la sua protezione. Non può dire di no a una regina. Per questa gente gli Achei sono potenziali nemici: non ti obbligheranno a tornare a Sparta.

Elena si appoggiò al cuscino. Fissando il soffitto, chiese: — E tu, Orion, rimarrai con me?

Speravo quasi di potere. — No — dissi dolcemente, così piano che riuscii a malapena a sentire la mia stessa voce. — Non posso.

— Dove andrai?

— A trovare la mia dea — sussurrai.

— Mi hai detto che è morta.

— Cercherò di resuscitarla, di riportarla alla vita.

— Andrai nell’Ade per cercarla? — la voce di Elena suonava allarmata, spaventata. Si voltò dalla mia parte e mi strinse le spalle nude. — Orion, non devi correre un rischio simile! Orfeo stesso…

La feci tacere posandole un dito sulle labbra. — Non aver paura. Sono già morto molte volte, e tornato nel mondo dei vivi. Se esiste davvero un Ade, devo ancora vederlo.

Lei mi fissò come se vedesse un fantasma o, peggio, un bestemmiatore.

— Elena — dissi — il tuo destino è qui, in Egitto. Il mio è altrove, in un regno dove vivono quelli che tu chiami dèi. Non sono dèi, non nel senso che credi tu. Sono molto potenti, ma non sono né immortali né molto interessati a noi umani. Uno di loro ha ucciso la donna che amo. Io cercherò di riportarla alla vita. Cercherò di vendicarmi del suo assassino. Questo è il mio destino.

— Allora ami lei, e non me?

Questo mi sorprese. Per un momento, non riuscii a rispondere. Infine le presi il mento con la mano e dissi: — Solo una dea può trattenermi dall’amarti, Elena.

— Ma io ti amo, Orion. Sei il solo uomo a cui mi sia data volontariamente. Io ti amo! Non voglio perderti!

Un’onda di tristezza si diffuse dentro di me, e pensai a quanto piacevolmente avrei potuto vivere in quella terra senza tempo con quella donna incomparabilmente bella.

Ma dissi: — I nostri destini prendono direzioni diverse, Elena. Mi piacerebbe che fosse altrimenti, ma nessuno può andare contro il suo fato.

Non piangeva. Eppure la sua voce era colma di lacrime mentre diceva: — Il destino di Elena è di essere desiderata da tutti gli uomini tranne che dall’unico che lei ama.

Chiusi gli occhi e mi sforzai di cancellare quelle parole. Perché non potevo amare quella donna così bella? Perché non potevo essere un uomo comune, e vivere i miei anni in una sola vita, amando ed essendo amato, invece di dover combattere contro le forze del continuum? Sapevo la risposta. Non ero libero: quantunque lottassi, ero sempre la creatura del Radioso, il suo Cacciatore, mandato lì per compiere il suo lavoro. Potevo ribellarmi a lui, ma anche in quel modo la mia vita era legata al suo capriccio.

E poi vidi la donna dagli occhi grigi che amavo davvero, e mi resi conto che nemmeno Elena poteva sfidarla. Ricordai i nostri brevi momenti insieme, e la mia mente si riempì di angoscia e di dolore. Il mio destino era legato per sempre al suo, attraverso tutti gli universi, attraverso tutti i tempi. Se non poteva essermi restituita, allora la vita non significava niente per me, e non volevo altro che una morte definitiva.

35

Il mattino seguente, ci mettemmo in viaggio sul fiume diretti a Wast, la capitale. Io mi sentivo svuotato, psicologicamente e fisicamente. La lunga marcia attraverso il Sinai aveva chiesto il suo prezzo al mio corpo, ed ora gli occhi tristi di Elena e i fantasmi della depressione stavano assalendo il mio spirito.

Ma quando la nostra larga nave si staccò dalla banchina e la sua vela si fu riempita di vento, ci trovammo tra i suoni, i colori e gli odori di una terra nuova e affascinante che ci stregò la mente. Se Lukka era sorpreso di tutte quelle città senza mura, noi eravamo costantemente stupiti e deliziati di quello che vedevamo dell’Egitto dalla nostra imbarcazione sul Nilo.