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Solo io mi sentivo irrequieto e insoddisfatto.

Il palazzo reale di Wast era un grande complesso di templi, zone residenziali, spaziosi cortili, caserme, magazzini per il grano e recinti per il bestiame. Intorno, c’erano gatti dappertutto. Gli Egiziani li veneravano come sacri e li lasciavano liberi di andare in giro per tutto il complesso. Pensai che dovevano essere molto utili contro i topi e gli altri animali che inevitabilmente infestavano i granai.

I nostri alloggi a palazzo erano… degni di un palazzo. Ad Elena e a me vennero date stanze adiacenti, enormi e ariose, con alti soffitti di assi di cedro e lucidi pavimenti di granito, freschi sotto i piedi nudi. Le pareti avevano freddi toni di blu e di verde, con cornici di rosso e oro brillante attorno alle porte e alle finestre. Dalla mia stanza, potevo spaziare sui tetti di tegole in direzione del fiume.

Chiunque avesse progettato la camera aveva un preciso senso della simmetria. Esattamente di fronte alla porta del corridoio, c’era la porta della terrazza. Le finestre ai lati di quest’ultima erano compensate sul muro opposto da finte finestre dipinte, esattamente della stessa forma e dimensione di quelle vere, con la “cornice” dipinta degli stessi colori.

Avevamo sei servi a nostra disposizione. Mi fecero un bagno profumato, mi rasarono, mi tagliarono i capelli, mi pettinarono e mi vestirono di fresco e leggero lino egiziano. Quando fui di nuovo solo nella mia stanza, raccolsi il pugnale dal mucchio di indumenti sporchi che avevo abbandonato ai piedi del letto e me lo legai ancora alla coscia, sotto il gonnellino immacolato. Mi sentivo quasi nudo, senza.

Quelle false finestre mi disturbavano. Mi chiesi se non nascondessero un’entrata segreta alla mia stanza, ma quando le controllai da vicino, sotto le dita sentii solo il muro.

Un servo bussò timidamente alla porta, e dopo che gli ebbi dato il permesso di entrare, mi annunciò che ai signori Nefertu e Mederuk avrebbe fatto piacere cenare con la mia signora e con me. A mia volta gli dissi di pregare Nefertu di venire nella mia stanza.

Era ora che gli dicessi la verità sul conto di Elena. Dopo tutto, lei voleva essere invitata a restare a Wast. Voleva essere trattata come la regina che era stata.

Nefertu arrivò e ci sedemmo fuori, sulla terrazza, sotto il tendone che ci riparava dal sole. Senza che lo chiedessi, un servo ci portò una caraffa di vino gelato e due coppe.

— Ho qualcosa da dirti — cominciai dopo che il servo se ne fu andato — qualcosa che ti ho tenuto nascosto sino ad ora.

Nefertu fece il solito educato sorriso e aspettò che continuassi.

— La signora che è con me era la regina di Sparta, e una principessa della caduta Troia.

— Ah — disse Nefertu — ero sicuro che non fosse una donna comune. Non solo per la sua bellezza; soprattutto il suo portamento dimostra un’educazione regale.

Versai il vino per tutti e due, e ne presi un sorso. Era eccellente, secco e frizzante, fresco e delizioso: il miglior vino che avessi assaggiato dai tempi di Troia.

— Avevo sospettato che la signora fosse un personaggio importante — continuò Nefertu. — E sono felice che tu abbia deciso di parlarmene. Effettivamente, stavo per porre a tutti e due domande piuttosto precise. Sua Grazia Nekoptah vorrà sapere tutto di voi e dei vostri viaggi prima di concedervi l’udienza con il re.

— Nekoptah?

— È il capo sacerdote della casa reale, un cugino dello stesso re. Serve il potente Merenptah come primo consigliere. — Nefertu prese un sorso di vino. Si leccò le labbra con la punta della lingua e gettò uno sguardo ai suoi soldati, come se temesse che qualcuno potesse sentirci.

Sporgendosi di più verso di me, disse a voce più bassa: — Mi è stato detto che Nekoptah non si accontenta del suo potere di consigliere: vuole quello di re.

Sentii le mie sopracciglia sollevarsi. — Un intrigo di palazzo?

Nefertu si strinse nelle spalle. — Chi può dirlo? Le vie del palazzo sono complesse; e pericolose. Stai attento, Orion.

— Ti ringrazio per il consiglio.

— Dobbiamo incontrarci con Nekoptah domattina. Desidera vedere te e la signora.

— E a proposito di Lukka e dei suoi soldati?

— Sono comodamente alloggiati nell’ala delle caserme. Un ufficiale del re li ispezionerà domani e li accetterà certamente nell’esercito.

Per qualche ragione, mi sentivo a disagio. Forse era l’avvertimento di Nefertu sugli intrighi di palazzo. — Vorrei vedere Lukka prima di andare a cena — dissi. — Per assicurarmi che lui e i suoi uomini siano trattati bene.

— Non è necessario — disse Nefertu.

— È una mia responsabilità — risposi.

Lui annuì. — Temo di averti reso sospettoso. Ma forse è un vantaggio.

— Alzandosi, concluse: — Vieni, allora. Visiteremo le caserme e vedrai che I tuoi uomini stanno bene, lì.

Lukka e i suoi erano sistemati davvero comodamente. Le caserme non avevano certo il lusso del mio appartamento reale, ma per i soldati erano quasi un paradiso: letti veri e un solido tetto sulla testa, schiavi che portavano l’acqua calda e lucidavano le armature, cibo, bevande e la prospettiva di una visita al bordello.

— Li terrò d’occhio, stanotte — mi disse Lukka con un sorriso sul viso da falco. — Domani sfileremo davanti agli ufficiali egiziani; non voglio che se ne vadano a ciondolare in giro e ti disonorino.

— Sarò con voi durante l’ispezione — gli dissi.

Nefertu stava quasi per protestare, poi lasciò perdere.

Mentre tornavamo ai nostri appartamenti, gli chiesi: — C’è qualche obiezione a che io sia presente alla parata, domani?

Lui uscì nel suo sorriso diplomatico. — Semplicemente che l’ispezione avverrà all’alba e il nostro incontro con Nekoptah sarà poco dopo.

— Dovrei essere con i miei uomini quando saranno sottoposti all’ispezione.

— Sì, suppongo che sia giusto. — Ma Nefertu non sembrava comunque troppo contento.

Quella sera cenammo nel suo appartamento, una stanza più o meno simile alla mia per grandezza e decorazioni. Ebbi l’impressione che Nefertu si considerasse fortunato ad averci incontrato: non era cosa di tutti I giorni, per un funzionario civile di una piccola città periferica, essere invitato a palazzo reale e ospitato in un simile splendore.

Elena raccontò la sua storia. Nefertu e Mederuk erano affascinati dal suo racconto della guerra tra Achei e Troiani, e lei sembrava fiera di esserne stata la causa.

Mederuk la fissò spudoratamente per tutta la cena. Era un uomo di mezza età, dalla figura un po’ appesantita e i capelli radi e grigi. Come tutti gli Egiziani aveva la pelle scura e gli occhi quasi neri. Il suo viso era dolce e rotondo, praticamente senza rughe, quasi come quello di un bambino. La vita di palazzo non aveva lasciato tracce su quel volto paffuto e insipido. Era come se, durante la notte, l’uomo cancellasse con cura i segni di qualsiasi esperienza e affrontasse ogni nuovo giorno con una fresca, rimodellata vacuità che non poteva assolutamente offendere nessuno, né lasciar trasparire i pensieri che passavano dietro quella maschera gentile.

Ma continuava a fissare Elena, e piccole gocce di sudore gli imperlavano il labbro superiore.

— Devi parlare con Nekoptah — disse, quando la donna ebbe terminato il suo racconto. La cena era finita da tempo; gli schiavi avevano tolto i piatti e adesso non c’era niente sul tavolo basso al quale sedevamo, tranne che le coppe del vino e le ciotole di melograni, fichi e datteri.

— Sì — fu d’accordo Nefertu. — Sono sicuro che suggerirà al re di invitarti a vivere qui a Wast, come ospite reale.