— Le tue intenzioni hanno poca importanza — disse Nekoptah. — I bisogni di un re sono sovrani.
Ignorandolo, continuai. — Sono venuto qui come scorta della regina di Sparta, sua altezza Elena…
— Scorta? — Il sacerdote fece un sorrisino allusivo. — O consorte?
Sentii il sangue bollirmi dentro. Ma mi dominai, e chiusi i capillari che avrebbero fatto diventare rosso il mio viso.
Piano, dissi: — Così qualcuno ci stava davvero spiando nelle nostre stanze.
Nekoptah gettò indietro la testa e rise. — Orion, pensi che il primo ministro del re ammetterebbe degli stranieri a palazzo senza tenerli d’occhio? Ogni tuo respiro è stato osservato; mi è stato fatto rapporto persino sul pugnale che porti sotto il gonnellino.
Annuii, sapendo che c’erano uomini armati dietro la porta alle spalle del sacerdote, pronti a difendere il loro padrone o a ucciderci al suo più piccolo cenno. Solo una cosa Nekoptah non sapeva, perché non mi aveva mai visto in azione: potevo tagliargli la gola prima che le guardie riuscissero ad aprire la porta. E potevo ucciderne tre o quattro, anche, se avessi dovuto.
— Lo porto da così tanto tempo, ormai, che mi sembra una parte del mio corpo — dissi umilmente. — Mi spiace che sia stato motivo di offesa.
Nekoptah agitò una mano carnosa, e gli anelli brillarono nella luce del sole. — Il sacerdote capo del potente Ptah non ha paura di un pugnale — disse con grandiosità.
Nefertu strisciò i piedi nervosamente, come se desiderasse essere da tutt’altra parte.
— Come stavo dicendo — ripresi — sono venuto qui come scorta di sua altezza Elena, regina di Sparta, principessa della caduta Troia. Desidera risiedere nel Regno delle Due Terre. Ha abbastanza ricchezze da non essere un peso per lo stato…
Nekoptah agitò la mano grassa con impazienza, in un movimento abbastanza vigoroso da far tremolare le sue guance colossali come onde in un lago.
— Risparmiami la noiosa recitazione di fatti che conosco già — disse spazientito.
Di nuovo lottai per non mostrare la mia rabbia.
Puntando un dito tozzo verso di me, Nekoptah disse: — Questo è ciò che il re desidera tu faccia, Orion: porterai i tuoi uomini lungo il fiume, verso il delta, cercherai questi barbari razziatori e li distruggerai. Questo è il prezzo perché la tua regina di Sparta venga accolta nella nostra città.
Uccidere il marito di Elena in cambio della sua sicurezza nella capitale d’Egitto. Ci pensai un attimo, poi chiesi: — E chi proteggerà la signora mentre io sono via?
— Sarà sotto la protezione dell’onniveggente Ptah, Architetto dell’Universo, signore del Cielo e delle Stelle.
— E il rappresentante del potente Ptah qui tra i mortali sei proprio tu, giusto?
Nekoptah abbassò il mento in segno di assenso.
— Alla signora verrà permesso di incontrare il re? Vivrà in questa casa, protetta dai tuoi servitori?
— Vivrà nella mia casa — rispose il sacerdote — protetta da me. Certo non avrai paura della mie intenzioni nei confronti della tua… regina?
— Ho promesso di consegnarla al re d’Egitto — insistetti — non al primo ministro del re.
Di nuovo Nefertu trattenne il respiro, come se si aspettasse un’esplosione. Ma Nekoptah si limitò a dire con calma: — Non ti fidi di me, Orion?
Io risposi. — Tu desideri che io guidi le truppe contro gli Achei invasori della tua terra. Io desidero che la mia signora incontri il re e sia sotto la sua protezione.
— Parli come se fossi in condizioni di contrattare. Non lo sei. Farai come ti è stato detto. Se compiacerai il re, la tua richiesta sarà esaudita.
— Se compiacerò il re — dissi — sarà perché il primo ministro del re gli dirà di essere compiaciuto.
Un largo sorriso soddisfatto si diffuse sul viso truccato di Nekoptah. — Precisamente, Orion. Ci capiamo a vicenda.
Io accettai silenziosamente la sconfitta. Per il momento. — A sua altezza Elena sarà permesso di vedere il re, come lei desidera?
Con un sorriso ancora più largo, Nekoptah rispose: — Certamente. La sua Reale Maestà attende di cenare con la regina di Sparta proprio stasera. Anche tu puoi essere invitato; se siamo in perfetto accordo.
Per il bene di Elena, chinai leggermente la testa. — Sì — risposi.
— Bene! — La sua voce non poteva rimbombare, era troppo acuta. Ma rimbalzò ugualmente sulle pareti di pietra.
Gettai uno sguardo a Nefertu con la coda dell’occhio. Sembrava immensamente sollevato.
— Potete andare — disse Nekoptah. — Un messaggero ti porterà l’invito a cena, Orion.
Cominciammo a voltarci verso la porta.
Ma il sommo sacerdote aveva dell’altro da dire. — Ancora una cosa. Un piccolo dettaglio. Sulla via del ritorno, dopo la distruzione degli invasori, devi fermarti a Menefer e portarmi il sommo sacerdote di Amon.
Nefertu impallidì. La sua voce tremò. — Il sommo sacerdote di Amon?
Quasi giovialmente, Nekoptah rispose. — Proprio lui. Portalo qui. Da me. — Il suo sorriso era rimasto fisso sulle labbra carnose, ma entrambe le mani si erano strette a pugno.
Io chiesi: — Come saprà che ti rappresento?
Lui rispose ridendo: — Non avrà nessun dubbio in merito, non temere. Ma per convincere i soldati del tempio che fanno la guardia alla sua carcassa senza valore… — si sfilò un anello d’oro massiccio dal pollice sinistro. C’era incastonata una corniola rosso sangue con incisa una miniatura di Ptah. — Ecco. Questo convincerà chiunque ne dubiti che agisci per mio conto.
L’anello era pesante e caldo nella mia mano. Nefertu lo fissò come se fosse la sentenza di morte di qualcuno.
38
Evidentemente, Nefertu era ancora scioccato dal nostro incontro con il primo ministro. Rimase in silenzio mentre venivamo scortati al mio appartamento, molto al di là del complesso di templi e palazzi che costituivano la reggia.
Anch’io rimasi in silenzio, cercando di far combaciare i pezzi del rompicapo. Che mi piacesse o no, mi trovavo implicato in una qualche cospirazione; Nekoptah mi stava usando per i suoi scopi, e dubitavo che coincidessero con i migliori interessi del Regno delle Due Terre.
Uno sguardo a Nefertu mi disse che non mi avrebbe fornito alcuna spiegazione. Aveva il viso del colore della cenere mentre camminavamo tra le guardie dall’armatura dorata, lungo i corridoi e i cortili circondati di colonne, con i gatti che si muovevano furtivamente tra le ombre. Le mani gli tremavano, la sua bocca era una linea sottile, con le labbra strette così forte da essere bianche.
Raggiungemmo il mio appartamento e l’invitai ad entrare.
Scosse la testa. — Temo che ci siano altri affari di cui devo occuparmi.
— Solo per un momento — dissi. — C’è qualcosa che devo mostrarti. Per favore.
Congedò le guardie ed entrò nella mia stanza, gli occhi impauriti ma curiosi.
Sapevo che eravamo osservati. Da qualche parte c’era uno spioncino abilmente nascosto, e qualcuno al servizio del sommo sacerdote di Ptah stava seguendo ogni nostro gesto. Condussi Nefertu a due sedie di corda intrecciata sulla terrazza, davanti al cortile e alle palme fruscianti.
Dovevo sapere cosa sapeva. Non me l’avrebbe detto volontariamente, questo lo capivo, quindi dovevo scrutare nella sua mente, che lui volesse o no. Forse, sotto la superficie del suo rigido autocontrollo, una parte di lui cercava un alleato contro qualunque cosa lo spaventasse.
Il pover’uomo sedeva proprio in punta alla sedia, la schiena dritta come un fuso, le mani strette sulle ginocchia. Avvicinai la mia sedia e gli posai una mano sulla spalla magra. Potevo sentire la tensione dei nervi del collo.