Mi sembrava corretto. Doveva essere corretto. Tutto il mio piano dipendeva da quello.
— Ma come sai che quelle sono le navi di Menelao? — chiese Lukka sempre pratico. — Le navi sono disarmate, senza vele né alberi. Potrebbero essere di qualche altro re o principotto acheo.
Ero d’accordo con lui. — È per questo che stanotte entrerò nell’accampamento. Per vedere se Menelao c’è davvero.
40
Se Lukka aveva obiezioni sul mio piano, le tenne per sé. Tornammo al nostro campo vicino al canale e consumammo un pasto frugale mentre il sole tramontava. Poi tornammo al villaggio.
Gli abitanti sembravano convivere senza grossi attriti con i barbari invasori. Avevano poca scelta, naturalmente, ma mentre mi facevo strada nel buio, non avvertii nessuna delle tensioni che caratterizzano una comunità occupata da stranieri ostili. Nessuna delle case di mattoni di fango sembrava bruciata. Niente soldati, da nessuna parte. Pareva che la gente si fosse ritirata per un normale riposo notturno, senza preoccupazioni per le proprie figlie e le proprie vite.
Nessun segno che si fosse combattuta una battaglia, nemmeno una scaramuccia. Sembrava piuttosto che gli Achei si fossero accordati per un’occupazione a lungo termine, senza violenza o razzie. Come se avessero avuto in mente qualcosa di più duraturo.
“Bene” pensai. Esattamente come me.
Mi avviai per le strade piene d’ombre del villaggio, che si intrecciavano e si srotolavano sotto la fredda luce della luna crescente. Il vento era tiepido adesso, e soffiava dall’entroterra, facendo sospirare le palme e gli alberi da frutta. Da qualche parte abbaiò un cane. Non sentii né grida né lamenti, né urla di terrore. Era un borgo silenzioso, quieto, tranquillo; solo, con qualche centinaio di guerrieri armati fino ai denti accampati sulla spiaggia.
I loro fuochi da campo stavano morendo in poche braci davanti a ciascuna nave. Una fila di carri riposava sul lato opposto del campo, vicino al rozzo steccato del recinto dei cavalli. Alcuni uomini dormivano per terra, avvolti nelle coperte, ma per la maggior parte erano dentro le tende o nelle baracche traballanti che avevano costruito. Un terzetto di sentinelle oziava vicino all’unico fuoco ancora acceso. Sembravano rilassati, come se il turno di guardia fosse una questione puramente formale, più che un fattore di sicurezza.
Andai direttamente verso di loro. Uno mi individuò mentre mi avvicinavo e disse qualcosa ai compagni. Non erano allarmati. Lentamente, raccolsero le lunghe lance e si misero in piedi.
— Chi sei e cosa vuoi? — mi gridò il capo.
Mi avvicinai abbastanza perché mi riconoscessero alla luce del fuoco. — Sono Orion, della Casa di Itaca.
Questo li sorprese.
— Itaca? Ulisse è qui? Le ultime notizie lo davano disperso in mare.
Abbassarono le lance quando giunsi a portata di braccio. — L’ultima volta che ho visto Ulisse è stato sulla spiaggia di Ilio — dissi. — Ho viaggiato per terra, da allora.
Uno di loro cominciò a ricordare.
— Tu sei quello che aveva per schiavo il cantastorie.
— Il blasfemo che Agamennone ha accecato.
Un’ira antica risorse dentro di me.
— Sì — risposi. — Quello che Agamennone ha accecato. Il Sommo Re è qui?
Si guardarono l’un l’altro a disagio. — No, questo è l’accampamento di Menelao.
— Non ci sono altri signori achei con lui?
— Non ancora. Ma arriveranno presto. Menelao è folle di rabbia da quando sua moglie è fuggita anche dopo la caduta di Troia. Giura che non lascerà questa terra finché non gli verrà restituita.
— Se fossi in te, Orion — disse il terzo — correrei più lontano possibile. Menelao è convinto che sia stato tu a portargliela via.
Ignorai l’avvertimento. — Come fa a sapere che lei è in Egitto?
Il capo del trio si strinse nelle spalle. — A quanto ho sentito, ha ricevuto un messaggio da qualche potente e importante egiziano che gli diceva che Sua Altezza era qui. In qualche palazzo da qualche parte.
— Questo è quello che dicono — fu d’accordo una delle altre guardie.
La storia che Nefertu mi aveva inconsapevolmente rivelato era precisa in modo sbalorditivo. Nekoptah doveva aver mandato un corriere a Menelao appena Nefertu gli aveva fatto rapporto sulla presenza della regina di Sparta in Egitto, mesi prima. Naturalmente Nefertu si era reso conto che Elena era un personaggio importante della nobiltà achea, e alla fine me lo aveva detto. E Nekoptah, da quell’astuto farabutto che era, si era immediatamente adoperato per usarla come esca, per portare al suo servizio Menelao e gli altri guerrieri dei Popoli del Mare.
Dissi: — Accompagnatemi da Menelao. Ho notizie interessanti per lui.
— Il re dorme. Aspetta sino a domattina. Non avere tanta fretta di farti uccidere.
Io riflettei. Dovevo insistere perché lo svegliassero? Mi stavano offrendo la possibilità di sfuggire alla sua ira. Dovevo tornare da Lukka, al nostro accampamento, e ritornare la mattina dopo? Decisi di aspettare lì sulla spiaggia e di dormire per qualche ora. La collera di Menelao mi sembrava cosa da poco.
Le guardie mi guardarono di traverso, ma mi procurarono una coperta e mi lasciarono dormire. Mi sdraiai sulla spiaggia e chiusi gli occhi.
Per ritrovarmi in una stanza strana, circondato da macchine piene di luci intermittenti e da schermi percorsi da linee curve colorate che pulsavano dappertutto. Il soffitto brillava di una fredda luce che non creava ombre.
Mi voltai e vidi il Creatore dai lineamenti affilati che io chiamavo Ermes. Come sempre, era vestito di un’uniforme di metallo argenteo, dal collo agli stivali. Abbassò una volta il mento in segno di saluto.
Senza preamboli, chiese: — L’hai già trovato?
— No — mentii, sperando che non potesse leggere nella mia mente.
Inarcò un sopracciglio. — Davvero? Con tutto il tempo che sei stato in Egitto, non hai idea di dove si nasconda?
— Non l’ho visto. Non so dove sia.
Con un leggero sorriso, Ermes disse: — Allora te lo dirò io. Guarda dentro la grande piramide. I nostri sensori rivelano un consumo di potenza concentrato in quella struttura. Ne avrà fatto la sua fortezza.
— Oppure — controbattei — ve lo sta facendo credere, mentre in realtà è da qualche altra parte o in qualche altro tempo.
Gli occhi di Ermes si strinsero. — Sì… è abbastanza intelligente da tenderci un tranello. Per questo è vitale che tu entri nella piramide e controlli se è davvero lì.
— Sto tentando di farlo.
— E?
— Sto tentando — ripetei. — Ci sono delle complicazioni.
— Orion — disse come a sottolineare la sua pazienza verso di me — non ci resta molto tempo. Dobbiamo trovarlo prima che faccia a pezzi l’intero continuum. È diventato pazzo ed è capace di distruggerci tutti.
“E allora?” pensai. — Forse gli universi starebbero molto meglio con tutti noi fuori dai piedi.
— Non capisci? — insistette Ermes. — Il tempo stringe! È questione di giorni!
— Sto facendo del mio meglio — risposi. — Ho cercato di entrare nella grande piramide, ma non ha funzionato. Ora devo andarci fisicamente, e per farlo ho bisogno della cooperazione del re, o magari di quella del sommo sacerdote di Amon.
Ermes fece un profondo sospiro di impazienza. — Fai quello che devi, Orion, ma per amore del continuum fallo in fretta!
Io annuii, e mi ritrovai a strizzare gli occhi alle prime luci dell’alba nel cielo nuvoloso della spiaggia egiziana.
Intorno a me c’era una dozzina di uomini armati, e uno di loro mi stava premendo l’impugnatura della lancia tra le costole.
— In piedi, Orion. Il mio signore Menelao vuole arrostire la tua carcassa per colazione.