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Mi alzai. Mi afferrarono per le braccia e mi tennero saldamente, facendomi marciare verso la tenda del re. Non ebbi nessuna possibilità di prendere la spada, che rimase sulla mia coperta. Ma il pugnale legato alla coscia era ancora lì, sotto il gonnellino.

Menelao camminava su e giù come un leone in gabbia, quando le guardie mi portarono davanti a lui. Molti dei suoi nobili passeggiavano irrequieti davanti alla tenda, le spade al fianco, anche se non indossavano l’armatura. Menelao indossava una vecchia tunica, e aveva un mantello rosso sangue sulle spalle. Fremeva di rabbia tanto da far tremare la barba scura.

— Sei tu! — gridò quando le guardie mi portarono da lui. — Accendete i fuochi! Lo arrostirò centimetro per centimetro!

I nobili, tutti più giovani di Menelao, notai, sembravano quasi impauriti dall’ira del loro re.

— Cosa state aspettando — ringhiò. — Questo è l’uomo che ha rapito mia moglie! Pagherà il suo delitto con la più lenta agonia di morte che nessuno abbia mai patito!

— Tua moglie sta bene ed è al sicuro nella capitale egiziana — dissi io. — Se vorrai ascoltarmi per un…

Furente, fece un passo verso di me e mi colpì con un manrovescio alla bocca.

La mia collera esplose. Con una scrollata di spalle mi liberai degli uomini che mi immobilizzavano le braccia, poi li colpii alla cintura con i gomiti. Caddero boccheggiando.

Prima che avessero toccato terra, avevo tirato fuori il pugnale e, afferrando lo sconcertato Menelao per i capelli, glielo puntai alla gola.

— Un gesto da uno qualunque di voi — sibilai — e il vostro re morirà.

Si immobilizzarono tutti; i nobili, alcuni con le mani già sull’elsa della spada; le guardie, con gli occhi spalancati e la bocca aperta.

— Ora, nobile Menelao — dissi forte abbastanza che tutti potessero sentire, anche se la mia bocca era vicina al suo orecchio — discuteremo dei nostri contrasti da uomini o ci affronteremo l’un l’altro da nemici in un duello leale. Non sono un thes o uno schiavo, per essere legato e torturato per il tuo piacere. Ero un guerriero della Casa di Itaca, e ora sono il comandante di un esercito egiziano, un esercito mandato qui per distruggerti.

— Tu menti! — mugghiò Menelao dimenandosi nella mia presa. — Gli Egiziani ci hanno accolto sui loro lidi. Stanno custodendo mia moglie per me, e mi hanno invitato a navigare verso la loro capitale per reclamarla.

— Il primo ministro del re egiziano ha architettato una graziosa trappola per te e per tutti i signori achei che arrivano in questa terra — insistetti. — Ed Elena è l’esca.

— Bugie — disse Menelao. Ma mi accorsi di aver catturato l’attenzione degli altri nobili.

Allentai la presa su di lui e gettai il pugnale sulla sabbia ai suoi piedi.

— Lascia che gli dèi dimostrino chi di noi ha ragione — lo sfidai. — Scegli il tuo guerriero migliore e mettilo a confronto con me. Se mi ucciderà, significherà che sto mentendo. Se avrò la meglio io, mi farai la grazia di ascoltare quello che ho da dire, perché quello sarà stato il volere degli dèi.

Una rabbia omicida bruciava ancora negli occhi di Menelao, ma i nobili gli si strinsero intorno ansiosi.

— Perché no?

— Lascia che decidano gli dèi!

— Non hai niente da perdere, mio signore.

Fremente di rabbia, Menelao gridò: — Niente da perdere? Non capite che questo traditore, questo rapitore, sta semplicemente cercando di procurarsi una morte rapida e pulita invece dell’agonia che merita?

— Mio signore Menelao — gridai in risposta. — Sulla pianura di Ilio ti ho pregato di intercedere in favore del cantastorie Polete contro l’ira di tuo fratello. Tu hai rifiutato, e ora il vecchio è cieco. Adesso tutto è cambiato. Non sto pregando, io pretendo da te quello che mi devi: un combattimento leale. Non qualche giovane campione che affretti scioccamente la sua morte. Voglio combattere contro di te, potente guerriero. Possiamo sistemare i nostri contrasti con le lance e le spade.

L’avevo in pugno. Si allontanò di un passo ricordando le mie prodezze a Troia. Ma non aveva modo per evitare di affrontarmi; aveva detto a tutti che voleva uccidermi. Ora doveva farlo, e da solo, o permettere che i suoi seguaci lo considerassero un codardo.

L’intero accampamento formò un cerchio sbilenco intorno a noi, mentre i servi di Menelao lo aiutavano ad armarsi. Avremmo combattuto a piedi. Una delle guardie mi portò la mia spada; me la misi a tracolla e ne sentii il peso rassicurante sul fianco. Tre nobili, malvolentieri, mi fecero scegliere tra numerose lance. Ne presi una che era più corta ma più pesante delle altre.

Menelao emerse da un capannello di servi e di nobili, coperto di bronzo dalla testa ai piedi, con uno scudo enorme a figura intera. Nella mano destra reggeva un’unica lunga lancia, ma notai che i suoi uomini ne avevano deposto a terra numerose altre, a qualche passo dietro di lui.

Io non avevo né scudo né armatura. Non li volli. Speravo di avere la meglio su Menelao senza doverlo uccidere, per dimostrare a lui e agli altri Achei che gli dèi erano tanto dalla mia parte che nessun uomo mi si sarebbe potuto opporre. Per riuscirci, dovevo evitare di rimanere infilzato dalla lancia di Menelao, naturalmente.

Potevo sentire l’eccitazione degli Achei attorno a noi. Non c’era niente di meglio di un combattimento prima di colazione per stimolare la digestione.

Un vecchio in una tunica lacera uscì dalla folla e si mise di mezzo. Aveva una lunga barba grigio sporco.

— Nel nome dell’eterno Zeus e di tutti gli dèi potenti del sommo Olimpo — cominciò con forte voce da annunciatore — prego che questo combattimento sia grato agli dèi, e che essi mandino la vittoria a chi la merita. — Si allontanò in fretta e Menelao si portò il pesante scudo davanti al corpo. Con i copri- guance dell’elmo abbassati, tutto quello che potevo vedere di lui erano gli occhi furenti.

Feci un piccolo passo a destra, allontanandomi dal suo braccio armato di lancia e tenendo la mia con la destra.

Menelao vibrò la sua arma contro di me. Poi, senza un attimo di esitazione, si buttò indietro per prenderne un’altra.

I miei sensi si fecero più rapidi, come succede sempre in battaglia, e il mondo intorno a me rallentò nei languidi movimenti di un sogno. Osservai la lancia venirmi addosso, feci un passo di lato, e lasciai che l’asta cadesse senza danni nella sabbia vicino ai miei piedi. Gli Achei emisero un “ohh” di stupore.

Menelao aveva già afferrato un’altra lancia. Si piantò sui talloni e lanciò anche quella. Di nuovo, l’evitai. Con la terza, però, il re partì alla carica, con un lacerante grido di guerra.

Parai la sua lancia con la mia e feci cozzare l’impugnatura contro lo scudo massiccio con un colpo sordo, abbastanza violentemente da farlo barcollare. Lui vacillò, ritrovò l’equilibrio e si gettò verso di me. Invece di parare, questa volta mi abbassai e gli infilai la lancia tra le ginocchia. Menelao cadde a gambe all’aria ed io fui su di lui immediatamente, con le cosce che gli immobilizzavano le braccia al terreno, la spada puntata alla gola, tra i copri- guance dell’elmo e il colletto della corazza.

Mi fissò. I suoi occhi non brillavano più di odio; erano spalancati di paura e stupore.

Seduto sull’armatura di bronzo che gli proteggeva il torace, alzai la spada verso il cielo e proclamai a voce più alta possibile: — Gli dèi hanno parlato! Nessuno può sconfiggere chi è ispirato dalla volontà dell’onnipotente Zeus!

Mi alzai e misi in piedi Menelao. Gli Achei si strinsero intorno a noi, accettando il verdetto divino.

— Solo un dio può aver combattuto così!

— Nessun mortale può affrontare un dio e vincere.

Si affollarono intorno a Menelao e lo rassicurarono che nessun eroe a memoria d’uomo aveva mai combattuto contro un dio ed era sopravvissuto per raccontarlo, tuttavia si tennero a distanza prudenziale dal mio braccio e mi guardarono con aperto timore reverenziale.