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Infine il vecchio sacerdote si avvicinò e mi fissò con occhi miopi. — Sei un dio venuto a istruirci in forma umana?

Trassi un profondo respiro e mi strinsi nelle spalle. — No, vecchio. Ho sentito il dio dentro di me mentre combattevamo, ma adesso se n’è andato e io sono di nuovo un semplice mortale.

Menelao, ora a testa scoperta, mi guardò di traverso. Ma essere sconfitto da un dio non era vergognoso, e lasciò che i suoi uomini gli dicessero che aveva fatto qualcosa di molto coraggioso e meraviglioso. Però era chiaro che per me non aveva alcuna simpatia.

Mi invitò nella sua tenda, dove mi studiò in silenzio mentre i servi lo liberavano dall’armatura e alcune schiave ci portavano fichi, datteri, e denso miele speziato. Mi sedetti su uno scanno d’ebano finemente intagliato: di disegno e fattura egiziana, notai. Non poteva provenire da quel villaggio periferico.

Menelao si sedette su una sedia di corda intrecciata, con il piatto di frutta e miele in mezzo a noi. Quando i servi ci ebbero lasciati soli, gli chiesi: — Vuoi davvero indietro tua moglie?

Un residuo dell’ira precedente tornò nei suoi occhi. — Per cosa altro pensi che sia qui?

— Per uccidermi e servire quel grasso ippopotamo di nome Nekoptah.

Trasalì al nome del primo ministro.

— Lascia che ti dica quello che so — continuai. — Nekoptah ti ha promesso Elena e una parte delle ricchezze dell’Egitto, se mi uccidi. Giusto?

— Giusto — borbottò.

— Ma rifletti un attimo. Perché il primo ministro del re dovrebbe aver bisogno di un signore acheo per sbarazzarsi di un solo uomo, di un barbaro, di un vagabondo capitato in Egitto solo per caso, come scorta di un’esule di rango reale?

A dispetto di sé, Menelao sorrise.

— Non sei un comune vagabondo, Orion. Non sei così facile da uccidere.

— Ti è mai venuto in mente che Elena venga usata come esca, per attirarti verso la tua morte, te e tutti i signori achei che con te sono venuti in Egitto?

— Una trappola?

— Io non sono venuto solo. Un esercito egiziano sta aspettando ad appena un giorno di marcia da qui. In attesa di potervi prendere tutti nella loro rete.

— Mi è stato detto…

— Ti è stato detto di far sapere a tuo fratello e agli altri signori che sarebbero stati i benvenuti, qui, se avessi fatto come il primo ministro chiedeva — dissi per lui.

— Mio fratello è morto.

Sentii un lampo di sorpresa. Agamennone morto!

— È stato assassinato da sua moglie e dal suo amante. Anche la sua schiava Cassandra. Ora suo figlio cerca la vendetta contro la sua stessa madre! Tutta Argo è in tumulto. Se tornassi… — La sua voce svanì in un rantolo e lui si lasciò cadere in avanti, nascondendo il viso tra le mani. La profezia di Cassandra, le “bestemmie” che avevano procurato la cecità a Polete, trovavano riscontro. Clitennestra e il suo amante avevano ucciso il Sommo Re.

— Non abbiamo un posto dove andare — confessò Menelao con voce bassa e pesante di disperazione. — Argo è sottosopra. I barbari del nord si spingono verso Atene e poi arriveranno ad Argo. Agamennone è morto. Ulisse è disperso in mare. Gli altri signori achei che stanno arrivando per unirsi a me, lo fanno solo per disperazione. Ci è stato detto che gli Egiziani ci accoglieranno bene. E adesso tu mi dici che è tutta una trappola.

Seduto sullo scanno, guardai il re di Sparta che piangeva. Il mondo gli stava crollando addosso e lui non sapeva a che santo votarsi.

Ma io sì.

— Ti piacerebbe trasformare questa trappola in un trionfo? — gli chiesi.

Menelao levò gli occhi pieni di lacrime verso di me ed io cominciai a spiegargli il mio piano. Avrebbe comportato restituirgli Elena, e nel profondo del mio essere mi odiavo per questo. Era una donna viva, vitale, calda e vibrante, e io la stavo barattando come un bene qualsiasi, come una merce di scambio. L’ira che mi sentivo dentro la diressi contro il Radioso. “È opera sua” mi dissi. “Le sue manipolazioni hanno confuso tutte le nostre vite; io sto solo cercando di rimettere le cose a posto.” Ma sapevo che quello che facevo lo facevo per me stesso, per ostacolare il Radioso, per farlo avvicinare di un passo al momento in cui avrei potuto distruggere lui e riportare Atena alla vita. Odio e amore si confondevano dentro di me, mescolati in un crogiolo incandescente che ribolliva nella mia testa, troppo potente perché potessi resisterle. Avrei potuto barattare ben più di una regina innamorata, saccheggiare città e cancellare intere nazioni pur di ottenere quello che volevo: la vita per Atena e la morte di Apollo.

Così continuai, e spiegai a Menelao come riconquistare la moglie e guadagnarsi un posto sicuro nel Regno delle Due Terre.

Il piano di Nekoptah era molto buono. Praticamente infallibile. Aveva pensato quasi a tutto. Bastava solo ritorcerlo contro di lui.

41

Nei giorni seguenti mi mossi come una macchina, parlando e agendo automaticamente, rifiutandomi di pensare in modo da soffocare i richiami della mia coscienza. Mangiavo, dormivo, non sognavo, e portavo i miei piani sempre più vicini al successo, giorno dopo giorno.

Provavo un’amara soddisfazione nel depistare i perfidi progetti di Nekoptah contro lui stesso. Il grassone si era lasciato prendere la mano, come succede prima o poi a tutti i cospiratori. Mandando il principe Aramset in quella spedizione, aveva pensato di eliminare l’unico concorrente al trono d’Egitto. Ma era proprio Aramset la chiave del mio contrattacco. Seguii il piano di Nekoptah alla lettera, tranne che per un dettaglio: Menelao e gli altri Achei avrebbero giurato fedeltà al futuro sovrano, e non al primo ministro. Ma solo la vendetta finale, il trionfo contro il Radioso, mi avrebbe dato piacere. E vedevo sempre più vicino quel momento, il momento ultimo in cui l’avrei distrutto completamente.

Che buffo, mi dicevo. Ero entrato in quel mondo come un thes, inferiore anche a uno schiavo. Ero diventato guerriero, poi comandante militare, poi guardiano e amante di una regina. Ora mi preparavo a creare un re, e a decidere chi avrebbe governato il Paese più ricco e più potente della terra. Io, Orion, avrei strappato il potere dalle dita ingioiellate dell’infido Nekoptah e l’avrei rimesso al suo posto: nelle mani del principe della corona.

Sulle prime Aramset mi ascoltò con freddezza, quando condussi Menelao alla nave, ormeggiata a un giorno di marcia dalla costa. Ma quando vide chiaro nel mio disegno, quando si rese conto che gli stavo offrendo non solo una soluzione al problema dei Popoli del Mare ma anche un modo per eliminare Nekoptah, accolse rapidamente le mie idee, e anche con calore. Le spie del Sommo Sacerdote infestavano ancora l’esercito e il seguito del principe, ma con Lukka e i suoi Ittiti a proteggerlo, Aramset era abbastanza al sicuro. E il vecchio, burbero generale Raseti era fedele al principe, nonostante il suo borbottare. La stragrande maggioranza dell’esercito l’avrebbe seguito, se fosse nata una crisi. Gli emissari di Nekoptah erano pochi di numero e impotenti contro la lealtà dell’esercito. Il primo ministro doveva usare furtività e astuzia per raggiungere i suoi scopi; le sue armi erano la menzogna e l’assassinio, non soldati che combattevano faccia a faccia alla luce del sole.

Aramset ricevette il re di Sparta con solenne dignità. Niente risatine o nervosismo giovanile. Sedeva su un trono improvvisato sul ponte di poppa della nave reale, sotto una tenda a strisce di colore brillante, con vesti sfarzose e la strana doppia corona delle Due Terre, il volto atteggiato a un’espressione rigidamente impassibile, come le statue di suo nonno.