Da parte sua, Menelao fece una splendida figura, con la sua armatura di filigrana d’oro sfolgorante come il sole stesso, la barba scura e i capelli ricci luccicanti d’olio. Altri quattordici signori achei venivano dietro di lui. Con le armature sfavillanti e gli elmi piumati, le barbe scure e le braccia segnate di cicatrici, apparivano selvaggi e feroci vicino ai raffinati Egiziani.
La nave rigurgitava di uomini: il seguito del principe, soldati, dignitari delle città costiere, funzionali governativi. Quasi tutti indossavano lunghe vesti ed erano nudi sino alla vita, tranne che per i medaglioni della loro carica. Sapevo che alcuni di loro erano spie di Nekoptah, ma lasciai che riferissero al loro grasso padrone che il principe della corona aveva risolto il problema dei Popoli del Mare senza spargimento di sangue. Il mio solo rimpianto era di non poter vedere la faccia truccata del primo ministro contorcersi d’ira alla notizia.
Gli scribi ufficiali sedevano ai piedi del principe, prendendo nota di ogni parola che veniva detta. Alcuni disegnatori, appollaiati da tutte le parti, immortalavano quel momento con schizzi febbrili su fogli di papiro. Molte altre navi si stringevano in cerchio intorno a noi, anch’esse piene di gente decisa a presenziare a quell’importantissimo evento. Anche la spiaggia era affollata, di uomini, donne e persino bambini provenienti da molte città. Lukka era in piedi dietro il trono del principe, con le labbra serrate per evitare di sorridere. Gli piaceva stare più in alto di Menelao.
Io mi trovavo di lato rispetto all’assemblea, e ascoltavo il re di Sparta che recitava fedelmente il copione che avevo scritto per lui. Gli altri signori achei, appena arrivati dalle loro inquiete terre con le mogli e le famiglie, continuavano a muoversi a disagio nel caldo del sole che si alzava. La conversazione tra il principe egiziano e lo spodestato sovrano acheo occupò la maggior parte di un lungo mattino. In breve, Menelao prometteva che tutti gli Achei sarebbero stati fedeli al principe Aramset e, attraverso di lui, al re Merenptah. A sua volta, Aramset promise agli Achei terra e case; in nome del re, naturalmente. La loro terra sarebbe stata lungo le coste, e gli Achei avrebbero dovuto proteggerla dalle incursioni nemiche. I Popoli del Mare erano stati assorbiti dal Regno delle Due Terre. I ladri si erano trasformati in poliziotti.
— Pensi che davvero proteggeranno le coste? — mi chiese Aramset mentre i servi gli toglievano gli abiti da cerimonia.
Eravamo nella sua cabina piccola, bassa e soffocante nel caldo di mezzogiorno. Sentivo il sudore che mi colava giù per la mascella e le gambe. Invece, il giovane principe sembrava a suo agio in quel forno soffocante.
— Dandogli terra e case — risposi riprendendo un argomento di cui si era già discusso mille volte — eliminiamo la ragione d’essere delle loro razzie. Non hanno altro posto dove andare, e temono i barbari che li invadono da nord.
— Penso che mio padre sarà contento di me.
Sapevo che stava esprimendo una speranza, più che una certezza.
— Nekoptah invece no.
Lui rise mentre gli ultimi indumenti gli cadevano di dosso lasciandolo con il solo perizoma attorno ai fianchi.
— Mi occuperò io di Nekoptah — disse allegramente. — Ho il mio esercito personale, adesso.
I servi addetti alla vestizione se ne andarono e ne arrivarono altri portando acqua gelata e ciotole di frutta.
— Preferisci del vino, Orion?
— No, l’acqua andrà bene.
Aramset prese un piccolo melone e un coltello. Mentre cominciava a farlo a fette, chiese: — E tu, amico mio? Mi preoccupi.
— Io?
Mi guardò. — Sei disposto a rinunciare alla bella signora?
— È la moglie legittima di Menelao.
Aramset sorrise. — L’ho vista, sai. Io non la lascerei andare. Non volontariamente.
Sentendomi a disagio, preferii tacere. Come potevo spiegargli dei Creatori e della dea che speravo di riportare in vita? Come potevo spiegargli dell’infelicità che cresceva dentro di me, della riluttanza a perdere quella donna che aveva condiviso la mia vita per tanti mesi, che mi aveva offerto il suo amore? Il silenzio fu il mio rifugio.
Scrollando le spalle, Aramset disse: — Se non vuoi parlare di donne, cosa mi dici a proposito della ricompensa?
— Ricompensa, Vostra Altezza?
— Mi hai reso un grande servizio. Hai reso al mio popolo un grande servizio. Che ricompensa vuoi? Dillo e sarà tua.
Ci pensai appena per un istante. — Permettetemi di entrare nella grande piramide di Khufu.
Per un momento Aramset non disse nulla. Poi, increspando leggermente le labbra, rispose: — Potrebbe essere difficile. In realtà è la provincia del gran sacerdote di Amon…
— Hetepamon — dissi.
— Lo conosci?
— Nekoptah mi ha detto il suo nome. Dovevo riportarlo a Wast con me, se fossi sopravvissuto alla trappola con Menelao.
D’impulso, Aramset balzò in piedi e corse alla cassapanca sul lato opposto della cabina. Sollevò il coperchio e rovistò tra mucchi di abiti finché non trovò un piccolo medaglione d’oro attaccato a una lunga catena.
— Qui c’è l’occhio di Amon — mi disse. Vidi un emblema inciso nell’oro. — Me l’ha dato mio padre prima di… diventare devoto a Ptah.
Prima di diventare dipendente dalle droghe che Nekoptah gli somministrava, tradussi tra me.
— Mostralo a Hetepamon — disse il principe — e lo riconoscerà come proveniente dal re. Non potrà rifiutarti nulla, allora.
La nostra armata spiegò le vele e cominciò a risalire il Nilo due giorni dopo. All’esercito che gli Egiziani avevano riunito, si erano aggiunti adesso Menelao e un contingente di guerrieri achei scelti, legati da giuramento ad Aramset. La forza principale dei greci rimase sulla costa, con gli amministratori egiziani che li aiutavano a insediarsi nelle città che avrebbero protetto da allora in poi. Il principe si diresse di nuovo alla capitale, con la sua vittoria pacifica sui Popoli del Mare.
Io andavo su e giù per il ponte, o mi afferravo alle murate come se avessi potuto così far soffiare il vento più forte e far muovere la nave più in fretta, con la sola forza di volontà. Di giorno, sforzavo gli occhi per cogliere il primo bagliore della punta luccicante della grande piramide di Khufu.
Di notte, tentavo di raggiungere l’interno dell’antica tomba trasferendovi il mio corpo. Inutilmente. Il Radioso aveva schermato la piramide troppo bene. Il solo sforzo mentale non poteva penetrare la sua fortezza. La mia unica speranza era che il Sommo Sacerdote di Amon potesse portarmi fisicamente al di là di una porta o di un passaggio, nella gigantesca costruzione.
“Questa sarebbe l’ironia finale” pensai, mentre me ne stavo sdraiato nella mia cuccetta coperto dal sudore dell’inutile fatica, notte dopo notte. “Il Radioso può impedire ai suoi compagni Creatori di penetrare nella sua fortezza, ma può impedire di entrarvi fisicamente a due comuni esseri umani?”
Arrivò infine il giorno in cui oltrepassammo la periferia di Menefer, e la lucente immensità della grande piramide sorse davanti ai nostri occhi.
Convocai Lukka nella mia cabina e gli dissi: — Qualunque cosa accada nella capitale, proteggi il principe. È il tuo padrone, adesso. Forse non mi rivedrai più.
I suoi occhi duri si addolcirono. — Mio signore Orion, non ho mai pensato a un mio superiore come a… a un amico. — Gli mancò la voce.
Gli diedi una pacca sulla spalla. — Lukka, bisogna essere in due per creare un’amicizia. E un uomo con il cuore forte e fedele come il tuo è un tesoro raro. Mi piacerebbe avere un pegno, un ricordo da darti.
Sorrise tristemente. — Ho molti tuoi ricordi, mio signore. Ci hai innalzato dalla polvere all’oro. Nessuno di noi ti dimenticherà mai.
Un ragazzo dell’equipaggio infilò la testa dalla porta aperta della cabina e mi disse che una barca era pronta a portarmi in città. Fui felice dell’interruzione, e anche Lukka. Altrimenti avremmo potuto cadere l’uno nelle braccia dell’altro e metterci a piangere come bambini.