— Hai portato a termine la tua missione? — chiese curioso. — Hai compiuto il tuo destino?
— Questa parte — risposi.
— Allora possiamo andarcene?
— Sì, possiamo andare, adesso. — In piedi davanti all’altare, guardai la statua di Amon. Per la prima volta notai quanto somigliasse al Creatore che io chiamavo Zeus, senza quella barbetta ordinata.
Nei giorni seguenti risalimmo il Nilo, Hetepamon ed io, diretti alla capitale. Il principe Aramset mi aspettava lì. C’erano anche Menelao ed Elena; si sarebbero riuniti prima del mio ritorno. “Almeno” pensai, “lei vivrà nelle comodità dell’Egitto. Forse riuscirà a insegnare a suo marito qualcuna delle arti della civiltà e renderà la propria vita più sopportabile.”
Anche Nekoptah ci aspettava. Non avevo nessuna idea di come Aramset si sarebbe occupato di lui. Il primo ministro non avrebbe mai ceduto il potere volontariamente, e il principe sembrava terribilmente giovane per quei giochi di politica di corte. Ero felice che Lukka comandasse la sua guardia personale.
Ma il pensiero di loro ronzava appena da qualche parte della mia mente. I miei occhi videro città e villaggi scivolare via, monumenti torreggianti lungo le rive, fattorie e frutteti coltivati da schiavi nudi. I miei veri pensieri erano rivolti ad Anya e alle parole di sfida del Radioso.
Avevo il potere di riportarla alla vita? Se sì, come avrei potuto riuscirci se nessuno degli altri Creatori sapeva come?
O lo sapevano? Sentii un’ira glaciale afferrarmi nella sua morsa spietata. Mi stavano dicendo la verità, Zeus, ed Era e gli altri? O Anya era la vittima di una lotta di potere tra di loro, quella che aveva perso nella battaglia tra i Creatori? Dicevano di non uccidersi l’un l’altro, ma il Radioso aveva causato la morte di Anya, e forse nessuno degli altri aveva voglia di aiutarmi a riportarla indietro.
Ogni notte, tentavo di mettermi in contatto con i Creatori, di raggiungere la città sotto la cupola d’oro nel lontano futuro. Ma loro mi rifiutarono. Stavo sdraiato nella mia stretta cuccetta a bordo della nave e non vedevo nient’altro che i riflessi del fiume sul basso soffitto di legno, non sentivo nulla tranne il ronzio degli insetti e l’eco lontana e passeggera di una canzone dalla spiaggia.
A Wast, fummo accolti in modo molto diverso dal giorno in cui Elena, Nefertu ed io eravamo sbarcati la prima volta. Ci aspettava il principe in persona, con una guardia d’onore e un gruppo di soldati dall’armatura luccicante, allineati sul molo di pietra da un’estremità all’altra. Migliaia di persone si accalcavano sul lungofiume, attratte dalla vista del principe Aramset, giovane e sgargiante nel suo gonnellino bordato di porpora e nel pettorale d’oro.
Vidi Lukka e i suoi uomini, con l’armatura egiziana, adesso, fieramente ritti in prima fila, vicinissimi al principe.
E non c’era segno di Nekoptah né di qualunque altro sacerdote del suo tempio.
Ci venne dato un benvenuto davvero regale. Aramset venne direttamente verso di me e mi salutò posandomi entrambe le mani sulle spalle, suscitando una tumultuosa ovazione della folla.
— Sua altezza Elena? — gli chiesi, superando il rumore delle acclamazioni.
Sorridendo mi gridò nell’orecchio: — Si è riunita felicemente a suo marito, ed ora gli permette di corteggiarla alla maniera egiziana; con doni e fiori e serenate di menestrelli la sera.
— Non dormono insieme?
— Non ancora. — Rise. — Gli sta insegnando a essere civile, e devo dire che lui sembra ansioso di imparare; almeno così può sperare di portarla a letto.
Dovetti sorridere tra me. A suo modo, Elena avrebbe educato Menelao. Però, sentii una punta di rincrescimento maggiore di quanto mi fossi aspettato.
Aramset salutò Hetepamon con regale solennità, poi ci accompagnò ai nostri carri tirati da quattro magnifici stalloni bianchi. La nostra processione risalì le strade della capitale con un’andatura lenta e regolare; il principe voleva dare alla folla tempo in abbondanza per ammirarlo. “Può essere giovane” pensai “ma a quanto pare ha già capito un paio di cose sulla politica. Deve aver passato i suoi pochi anni ad osservare da vicino i meccanismi del potere.” Ero impressionato.
Raggiunto il palazzo, vidi il vecchio Nefertu in cima alla scalinata che portava all’entrata principale. Ero felice di vederlo vivo e vegeto, scampato alle macchinazioni di Nekoptah.
Scendemmo dai carri e Aramset mi si avvicinò. — Devo far sapere della presenza del gran sacerdote di Amon; è un importante personaggio, non solo un amico, Orion.
— Capisco.
— Fra tre giorni ci sarà una solenne cerimonia, per sancire la nuova alleanza tra gli Achei e il regno delle Due Terre. Presiederà mio padre, e Nekoptah sarà al suo fianco.
— Cosa sta succedendo…
— Dopo — disse il principe, con il viso raggiante. — Ho molto da raccontarti, ma dovrai aspettare più tardi.
Quindi si avvicinò a Hetepamon mentre io salivo con compostezza le scale per salutare Nefertu, rendendomi conto, mentre mi dirigevo verso di lui, che era la prospettiva di avere notizie di Elena che mi eccitava, in realtà.
Per tutto il pomeriggio e buona parte della serata Nefertu mi fece un accurato resoconto su tutto ciò che era accaduto durante la mia assenza. La notizia del nostro pacifico successo nel Paese del delta era stata naturalmente trasmessa a Nekoptah con gli specchi solari, quasi immediatamente. All’inizio, lui sembrava furioso, ma poi aveva dovuto fare buon viso a cattiva sorte. Non aveva fatto nessuna avance nei confronti di Elena, conscio che il suo ostaggio era ormai diventato il prezzo dell’alleanza con Menelao.
Mentre il sole gettava lunghe ombre sulla città, ci ritirammo nel mio appartamento, io su un soffice divano di seta dipinta, Nefertu su uno scanno di legno da cui poteva guardare la terrazza e i tetti al di là.
— Nekoptah è rimasto stranamente silenzioso e inattivo — disse il burocrate dai capelli argentei. — Per la maggior parte del tempo è rimasto chiuso nei suoi alloggi.
— Non cederà il potere senza combattere — dissi.
— Credo che lo spuntare del principe Aramset come una forza di cui tener conto l’abbia colto di sorpresa e abbia scombinato i suoi piani — disse Nefertu. — E dobbiamo ringraziare te per questo, Orion.
— Il che significa che Nekoptah ne dà la colpa a me.
Lui rise; un risolino soffocato, in realtà, fu tutto quello che si concesse.
— E sua altezza Elena? — chiesi.
Il viso di Nefertu assunse quello sguardo vuoto e privo di espressione del burocrate di professione che non desidera rivelare nulla. — Sta bene — rispose.
— Vuole vedermi?
Allontanando leggermente gli occhi da me, rispose: — Non l’ha detto.
— Vorresti dirle che io desidero vederla?
Sembrava addolorato. — Orion, sta permettendo a suo marito di ricominciare a farle la corte. Il marito che tu le hai mandato.
Mi alzai dal divano e andai verso la terrazza. Sapevo che aveva ragione. Però, volevo vedere Elena un’ultima volta.
— Portale il mio messaggio — lo pregai. — Dille che partirò per sempre, quando la cerimonia sarà finita. Mi piacerebbe vederla per un’ultima volta.
Alzandosi lentamente dalla sedia, il vecchio disse con voce piatta: — Farò come chiedi.
Se ne andò, e io rimasi sulla terrazza a guardare la sera che passava dal rosso del tramonto al viola scuro e infine al nero della notte. Le lampade brillavano per tutta la città, in gara con le stelle che riempivano il cielo.
Un servo del principe arrivò con dei pacchi e un invito a cena. I pacchi contenevano abiti nuovi: non una tunica di stile egiziano o una veste di lino bianco, ma un gonnellino di pelle e un corsetto simili a quelli che avevo indossato per tanti mesi. Risi tra me. Quel completo era tagliato splendidamente e lavorato in argento. Includeva un mantello blu notte e stivali morbidi come gli occhi di una cerva.