Guardò il suo terminale su cui comparve una scritta illuminata.
SÌ?
— Datemi degli OloGiorni.
SEI VITTIMA DI IGNOBILI PASSIONI.
— Cristo! Fallo e basta, d’accordo? — ’Fanculo chi ha programmato questa roba… Scuotendo la testa, Axxter si appoggiò alla parete del muro. La ricetrasmittente rifletté un segnale dello splendore metallico della Piccola Luna proprio sui livelli alti.
Al centro dell’immagine comparve il disegno animato dell’agenzia che rendeva possibile disincarnarsi. In un angolo, il Consorzio della Piccola Luna gli indicava il costo del servizio; le tariffe erano un po’ meno care di quelle del Sindacato delle Comunicazioni… e di questo Axxter fu molto soddisfatto. Dall’orologio sorridente provenne una voce di donna del tutto fuori luogo. — Cosa posso fare per te? — L’orologio gli rivolse un’allegra strizzatina d’occhio.
— Umm… — Lo sguardo maniaco dell’orologio lo innervosì, quasi quanto la voce della donna. Sanno sempre quello che vuoi; altrimenti non li avresti chiamati. Passioni ignobili. — Io credo di aver bisogno… di circa un’ora. Sì, va bene.
— La seconda ora costa meno. Praticamente se ne paga soltanto un decimo.
Ci scommetto. Axxter scosse la testa e quel cenno fu inteso come un no. Ascoltare quei consigli era il modo migliore per prosciugare il proprio conto in banca. — Solo un’ora, per favore.
La voce s’irrigidì, considerandolo un taccagno. — Quindi suppongo tu non voglia il massimo livello sensoriale.
Scosse di nuovo la testa. — Solo il minimo… orientamento gravitazionale, ottica, auricolare a banda media… lo sai, no?
— Bene. Come l’ultima volta. — La persona che c’era dietro all’orologio aveva controllato il suo numero. — Se è così che ti piace…
…chissà che gusto ci proverà. Axxter ignorò la presa in giro. — Sì, è così che mi piace.
— Linea protetta?
Sapeva già la risposta che la voce si aspettava. — No. Linea normale. — Al diavolo; non aveva avuto nessun problema l’ultima volta. Perché mai gli spiriti avrebbero dovuto essere interessati ai suoi andirivieni lungo le linee di comunicazione nell’edificio? Quando la voce glielo chiese, fornì la posizione del settore orizzontale che desiderava.
Un altro ammiccamento programmato da parte dell’orologio quando il suo ordine partì.
— Trasmissione pronta. — (Nella testa gli risuonò la voce annoiata che diceva, Eccoti, amico. E divertiti, Diamond Jim.) — Dicci quando sei pronto anche tu. La tua ora comincia dal punto in cui ti trovi in questo momento.
L’ultima frase era un altro sarcastico commento alla sua tirchieria. Axxter lo ignorò, cercando di trovare una posizione comoda nella cintura del bivacco, in modo che dopo un’ora non si sarebbe risvegliato con le gambe intorpidite e il mal di schiena. Arrotolò una maglietta e se la mise sotto la testa come cuscino. Guardò in alto; al di là della figura dell’orologio, la Piccola Luna risplendeva argentea. Gettò una rapida occhiata di traverso alla sagoma della zona distrutta. Al diavolo… era troppo tardi per preoccuparsene. — Adesso — disse all’orologio.
Camminando non sentiva affatto freddo. Il vento dell’esterno non penetrava più nei suoi abiti. La sua pelle non provava più né caldo né freddo, come tutte le altre volte in cui era uscito dal proprio corpo, ed egli suppose che per accorgersi di qualsiasi variazione di temperatura avrebbe dovuto toccare il ghiaccio o il fuoco. A una risoluzione così bassa non riusciva nemmeno a sentire l’impatto dei suoi stivali o il rumore dei passi sul familiare pavimento dei corridoi. Ecco, era tornato indietro all’orizzontale; fuori, da qualche parte sul muro scuro e verticale del Cilindro, il suo corpo vuoto ondeggiava nella cintura del bivacco. Aspettando che lui concludesse il suo piccolo affare. Axxter — o l’immagine che gli OloGiorni gli avevano dato — osservava i numeri su ogni porta a cui passava davanti. Gli stimoli ottici non erano male, la visione era solo un po’ sfuocata lateralmente. Almeno mi hanno portato sul livello giusto. Sarò lì in un paio di minuti; chissà cosa dirà lei. La stessa cosa dell’ultima volta — o meglio continuerà il discorso; si ricordò in quel momento che era tornato al suo corpo reale prima che scadesse il tempo, distrutto dalla frusta della sua lingua. Forse quella volta sarebbe stato diverso; Cristo, spero sia così. I numeri sulle porte scorrevano in ordine crescente verso quello che stava cercando. Lei non è sempre così. Grazie a Dio.
— Tu, stupida merda.
— Cristo, è anche orribile. Guardalo.
Quelle voci e la roca risata che seguì risuonarono nelle sue orecchie, tanto da spaventarlo. Il corridoio oscillò fino a quando i suoi sistemi ottici non si assestarono di nuovo. Allora vide le due facce ghignanti; i contorni del viso erano più affilati delle pareti lucenti che avevano alle spalle.
Avevano l’aspetto di bambini depravati. Come se — e il cuore di Axxter fece un balzo di fronte a quello sguardo diffidente — come se fossero stati iniziati prematuramente a tutti i vizi adulti. E le loro facce infantili non erano mai cresciute, avevano mantenuto la stessa espressione infantile, stupida, ma scaltra.
— Buuuu! — Una delle due facce si avvicinò a lui fluttuando, con un ghigno sempre più largo. Il torace incavato e le braccia magre gettavano una strana ombra filiforme. — Dove stai andando? Cosa stai facendo?
Merda. Axxter vibrò un colpo in direzione della faccia. Avrei dovuto chiedere una linea protetta. Ho chiesto troppo alla mia fortuna… solo perché non avevo incontrato fantasmi la scorsa volta… — Colpiscilo. Con il dorso della mano colpì quel sorriso idiota. — Vattene da qui.
— Ohh!… Non vuoi giocare? — La faccia del fantasma, con il naso da pugile coperto da bolle simili a quelle della lebbra, si era sovrapposta alla mano di Axxter. E aveva avvolto la lingua umida intorno al suo polso. — Forza, gioca con noi!
— Gesù! — Non riusciva a scrollare la faccia dalla sua immagine. Continuava a muovere il braccio avanti e indietro, facendole roteare gli occhi. — Vai a farti fottere lontano da me!
— Tu, stronzo. Stronzo, stronzo, stronzo. — L’altro fantasma, di nuovo un viso contro il muro, incrociò il suo sguardo e sogghignò. — Dai, andiamocene. Non è divertente. — L’immagine vibrò mentre fasce di nulla attraversarono le sue grasse guance.
— No. — Quel sorriso si appiccicò al polso di Axxter. — Non ho ancora finito. — Poi lo guardò divertito: — Gioca. Gioca, gioca gioca.
Sul muro del corridoio non c’era più niente: l’altro fantasma era andato a cercare divertimenti da qualche altra parte dell’edificio. Axxter riprese a camminare. — Non ho intenzione di giocare con te. Ti ignorerò. — È tutto quello che posso fare, rischio di mandare tutto all’aria. E ho anche già pagato.
— Yaah, leccapiedi! — Il fantasma gli lasciò libera la mano e scivolò verso l’alto. Si avvolse intorno al suo avambraccio e si sostituì a una parte dell’immagine di Axxter. Spalancò la grande bocca, mostrandogli il suo braccio pieno di denti scintillanti. Potrei tornarmene indietro, fuori sul muro… fu colto da un presentimento sul resto di quella sua visita.
— Eeeeee! — La faccia del fantasma stridette quando alzò il braccio verso la porta. Axter lo abbassò velocemente e bussò con l’altra mano.
Forse non è in casa… e allora qual è lo scopo, deficiente? Sei proprio un cretino. Eppure non smetteva di sperare. Il suo cuore fece un balzo quando sentì dei passi avvicinarsi dall’altra parte della porta.