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— Ciao Ree. — Disse, sforzandosi di sorridere. — Sono io.

La porta si aprì. La donna si sporse in avanti, osservando l’immagine fino a quando riuscì a mettere a fuoco la bassa risoluzione. — Oh, Cristo! — Un sospiro le scosse le spalle. — Ny, cosa diavolo sei venuto a fare qui?

— Ehi, sono venuto solo per vederti. Ecco tutto. — Si accorse che aveva allargato le braccia, come un Cristo crocifisso, e che il fantasma stava sogghignando e roteando gli occhi verso Ree. — Scusami. Rimise subito il braccio dietro alla schiena. — Mi si è appiccicato addosso mentre venivo qui.

— Cos’è successo? — La voce della donna aveva un tono sofferente e la causa era la presenza di Axxter, anche se in quella forma parziale. — Cristo! Odio quando vieni qui in questo modo confuso. Sei già stato abbastanza stronzo con me prima.

Axxter sentì la voce del fantasma. — Lei non può vedermi, tacchino. Io sono sulla tua rete di reazioni sensoriali e non posso essere registrato nel reale. Hee. Hee.

— Ny, guardami. — Ree si appoggiò al vano della porta, bloccando con le sue larghe spalle l’entrata di Axxter. — Dove… sei? Dimmi solo questo, d’accordo? Dove sei adesso?

Egli dovette concentrarsi un attimo per ricordare le esatte coordinate. Il viso del fantasma lo guardava stralunato, mentre si passava la mano nei capelli. — Uhm… ti ricordi da dove ho chiamato la volta scorsa? C’è una grande uscita a circa cinquanta chilometri dalla Fiera Equatoriale di sinistra, lo sai? Comunque, sono partito da lì e ho viaggiato in direzione verticale verso il basso, poi…

— Chiudi il becco, Ny. Cristo! — I suoi capelli color bronzo sbatterono contro il vano della porta, mentre lei scuoteva la testa con gli occhi chiusi. Li riaprì per prendere dalle tasche un pacchetto di sigarette che buttò con disgusto nel corridoio: questo attraversò l’immagine di Axxter e cadde alle sue spalle. — Sei ancora là fuori, su quel maledetto muro. Ecco dove sei.

— Be’… certo. Dove avrei dovuto essere altrimenti? — Il fantasma era diventato serio e lo ascoltava con attenzione.

— Già, proprio così. Dove dovresti essere. — La voce della donna era amareggiata e la sua bocca aveva assunto una strana espressione. — Ecco qual è il tuo problema, non è vero?

— Ehi! Di’ a questa puttana dove deve andare! Distruggila! — Axxter si mise la mano sinistra sul braccio, mentre gli occhietti vispi continuavano a guardare attraverso le nocche. — Dai, Ree… lo sai…

— Maledizione se lo so. — Gli era proprio di fronte e la sua vibrante rabbia riempiva il vano della porta. Axxter sapeva bene che se la sua immagine avesse avuto una massa di tessuti, questa sarebbe stata sbalzata nel corridoio dalla pressione della rabbia di lei. — Ne abbiamo parlato l’ultima volta che ti sei presentato sotto questa forma.

Oltre alla sua voce, Axxter sentiva quella acuta del fantasma ’Fanculo! ’Fanculo! e, a mano a mano che l’infantile passione del fantasma aumentava, il suo braccio si copriva di macchie rosse. — Ree… per favore. Dai…

Poi cambiò idea. Ebbe come un lampo. Quel corpo inconsistente, che si insinuava anche nei suoi pensieri, sembrava fluttuare in modo equidistante da ogni superficie del corridoio. — Vaffanculo — disse Axxter. — E vaffanculo anche tu. — (Ah,ah,ah! Rise il fantasma). Per un attimo, tutto il corridoio e la porta dove si trovava Ree divennero inconsistenti; sentì gli stretti limiti del suo bivacco cingergli le spalle, mentre i muscoli rattrappiti pulsavano per la rabbia. Ree lo guardava a bocca a perta, mentre lui continuava a urlare. — Ho speso tutti questi soldi per venire a trovarti e tu mi butti addosso merda? Scordatelo! Tu… e tutti i tuoi dannati processi mentali orizzontali. Puoi andare a farti fottere. — (Eeee! Sììì!) Distolse lo sguardo dalla porta e un flusso di luce lo stordì attraversando i suoi vettori. Prima che la sua visione tornasse alla normalità, incominciò a camminare, e ora, il rumore dei suoi stivali era abbastanza forte da superare la soglia dell’udito. — Me ne vado, puttana. — Urlò quella frase e fu soddisfatto nel notare che tutte le porte rimanevano chiuse per la paura.

— Così si fa, asso! — Esclamò allegramente il fantasma.

— Taci — Axxter digrignò i denti. O almeno ci provò; la sua immagine non trasmetteva alcuna pressione al cranio.

Mentre Axxter continuava a camminare, la faccia del fantasma formò una specie di arco. — Gliel’hai detto davvero! È stato grande! — I suoi occhi sprizzavano gioia e ammirazione.

— Davvero… grande. — Mai più. Axxter scosse il capo della sua immagine. Promettitelo solennemente… mai più questa merda.

— Io posso fartela avere! Posso farti avere quella rossa, e a buon prezzo! — Sul braccio di Axxter, quella faccia era sempre più rossa ed eccitata. — Forza… io e te insieme… sarà grandioso!

— Maledizione! Vattene! — Cercò di graffiare la faccia con le unghie dell’altra mano, ma provò un dolore lancinante al braccio.

— Non sei divertente. — La faccia, imbronciata ora, scivolò via e si allontanò nello spazio. Axxter udì la sua voce: — Tu puzzi… e sei tutto sfuocato e…

Finalmente era solo, con i suoi pensieri e la rabbia che gli rodeva lo stomaco. O qualsiasi cosa ci fosse al suo posto quando si trovava in quella situazione di inconsistenza; niente, probabilmente. Niente di niente. Qui o là, dove si trovava il suo corpo, non faceva differenza.

Alzò lo sguardo e vide la sua immagine.

Uno specchio, pensò all’inizio. Proprio nel mezzo del corridoio. Ma capì che si trattava di qualcosa di diverso; sembrava qualcosa fatto di vetro molto fine e disegnava la sua immagine a bassa risoluzione molto più a fuoco di quanto fosse in realtà e con i contorni ben nitidi. Mentre la guardava, quell’immagine girò la testa, mostrandogli un profilo a tre quarti. Sorrideva; il centro dei suoi occhi era scuro e al di là non c’era nulla.

Ny… L’immagine nello specchio sollevò la mano verso di lui.

Udì l’eco di quella parola nelle orecchie. Il corridoio venne invaso da un’ondata di freddo e lui ebbe paura. — D’accordo! OloGiorni! — Alzò la faccia verso il soffitto e gridò, consapevole del fatto che la mano dell’immagine nello specchio stava per toccargli il petto. Quella strana consapevolezza lo colpì più di quanto avrebbe potuto fare un’immagine solida che cercasse di penetrare il suo essere inconsistente, strappandogli le fibre luminose che aveva al posto del cuore in quel momento. — Concludete la mia visita!

Non andartene…

— Mi sentite? — Nella sua voce c’era una nota di panico.

Il corridoio scomparve. Nella cintura sistemata sul muro, egli guardò alle sue spalle il sorridente orologio dell’agenzia che si trovava al centro del suo schermo. Si sollevò, tentando di rilassare ogni vertebra. Udì la voce di una donna, diversa da quella di prima. — Speriamo che ti sia divertito e di poter ancora esserti utili per qualsiasi tua esigenza ricreativa. Ricorda: la lontananza può rendere il tuo cuore desideroso di affetto, ma con gli OloGiorni…

— Finiscila — Axxter si fregò gli occhi; il tempo speso a camminare nella sua immagine incorporea gli aveva fatto venire il mal di testa. Proprio come l’ultima volta e quella prima ancora.

Con rigidità la voce disse: — Desideri altro?

Guardò la tariffa registrata al lato dello schermo e più in là notò la Piccola Luna, distante dall’edificio, che trasmetteva i segnali alla sua ricetrasmittente. Era lontano da quell’immagine spettrale nello specchio — qualsiasi dannata cosa fosse stata; un’altra interferenza di merda di quei dannati fantasmi, suppose. Ma decisamente più spettrale, anche se fuori, nel suo bivacco, la paura era scomparsa. Ma non la rabbia, quella restava: un macigno piantato nel petto.