Le nuvole. Il grande sorriso dell’angelo scomparve per un istante; tutto quello che Axxter vedeva in quel momento erano quei grandi banchi bianchi e grigi, il lento oceano di colline e crepacci che si avvicinavano a lui ad altissima velocità.
Aveva visto degli angeli. Ricordò anche quello. File e file di angeli, in ogni direzione, nell’ombra del crepuscolo sotto la barriera delle nubi. Le membrane gonfie che avevano sulle spalle sembravano pallidi soli, attraversate dalle morbide vene blu che in quella penombra sembravano grigio cenere. Mentre cadeva a braccia aperte con il vento che gli correva sul petto e il fiato corto, intorno a lui, in qualunque direzione si girasse, non vedeva altro che angeli.
Era l’ultima cosa che ricordava. Nient’altro. Poi si accorse nuovamente di Lahft, che si sporgeva in avanti con le mani aggrappate al bordo del metallo e aspettava pazientemente.
— D’accordo — Axxter annuì. — Ho capito. Sei tu che mi hai afferrato. Mentre stavo cadendo. È esatto?
Lei distolse lo sguardo, riflettendo su quella frase. Sembrava quasi di vedere le rotelline del suo cervello muoversi velocemente.
— Afferrato — Lahft si morse le labbra, fissando nel vuoto. — Cadere… — Improvvisamente spalancò gli occhi, allarmata, e si precipitò ad afferrare il polso di Axxter, tenendolo saldo nella sua presa.
— No… no — gentilmente, Axxter si liberò la mano. — Non sto cadendo adesso. Stavo cadendo prima. Ti ricordi?
— Prima… — Per lo sforzo che faceva concentrandosi, il suo viso si rabbuiò. — Afferrare. Afferrato! — L’angelo si abbracciò, come stringendo un invisibile corpo a se stessa. — Ti ho afferrato prima!
Di nuovo quell’elastico senso del tempo che aveva l’angelo: non sarebbe mai riuscito a svilupparlo del tutto. Axxter si tolse quella corda di fortuna dal petto. — Bene… — quello spiegava un sacco di cose. L’angelo doveva trovarsi vicino all’accampamento della Folla, l’aveva visto spesso, anche se a distanza di sicurezza, quando tutta quella merda era letteralmente precipitata giù. O forse si trovava insieme a tutti i suoi amici, quei felici angeli che abitavano sotto le nuvole. Ed era stata solo la fortuna a farlo cadere sul soffice tetto del loro mondo, decisamente il miglior luogo possibile. A ogni modo, lei era là per lui; l’aveva afferrato saldamente… avrebbe tanto desiderato ricordarsi di quella parte. Malgrado fosse stanco e provato, il corpo nudo dell’angelo che lo guardava con i piedi che penzolavano vicino al suo viso, gli risvegliava strani istinti. Incorreggibile: sospirò e scosse il capo. La corda si ruppe e Axxter ne buttò via i due capi. Si girò, e le corde di sicurezza dei suoi stivali si sistemarono nella nuova posizione. Ora aveva il viso e il petto rivolti verso il muro; allentò le corde della vita in modo da potersi spostare un po’ all’indietro per essere più comodo e guardare Lahft.
— Mi hai afferrato, esatto. D’accordo… — A poco a poco tutti i pezzi stavano andando al loro posto. — Cristo, devo averti colpito con la forza di una tonnellata di mattoni.
Lei girò il capo e sorrise stupita.
— Quando ti ho colpita — e con un pugno colpì il palmo dell’altra mano per farle capire. — Quando tu mi hai afferrato. Bum! È questo che è successo? — Stava perdendo tempo, lo sapeva. C’era un sacco di roba di cui avrebbe dovuto occuparsi invece, di indagare a fondo sulla meccanica del suo salvataggio. Per esempio, avrebbe potuto cercar di capire dove diavolo si trovasse e se era ancora troppo vicino a quelli che volevano fargli la pelle. Quello doveva avere priorità assoluta. Eppure…
— Bum! — Lahft annuì saggiamente, ancora con le braccia strette intorno a sé. — Poi. La caduta… vero?
— Caduto — Egli poteva immaginarsela: il suo peso morto che trascinava con sé l’angelo che lo teneva stretto.
— Una lunga, lunga caduta. — Lei indicò le nuvole e qualunque cosa ci fosse al di sotto. — Così io divento grande — la membrana traslucida che aveva sulle spalle si espanse per dargli una dimostrazione; si sollevò un po’ dal suo sedile di metallo, mentre i gas gonfiavano la membrana. — Allora. Basta caduta — ancora il suo sorriso.
— Niente più caduta… bene. E poi? Ci siamo spostati?
— Spostati — lei annuì. — Io grande, e il vento… — e con una mano spinse l’altra, per fargli capire — spostava, spostava. Un lungo viaggio. Alla fine, qui.
Lahft non sarebbe stata di grande aiuto per stabilire la sua posizione. Lo spazio era probabilmente un concetto tanto confuso quanto lo era quello di tempo. Non faceva alcuna differenza nell’aria. Era possibile che si fossero spostati per interi settori di muro, un angelo con la membrana gonfiata al massimo e il suo carico incosciente; fino a quando qualche raffica li aveva spinti verso il muro dell’edificio, abbastanza vicino per aggrapparvisi. Le sue corde si erano agganciate, attirate dalla vicinanza dell’acciaio, e lei aveva intrecciato quella fune di fortuna usando qualunque cosa avesse trovato nelle vicinanze. Poi aveva aspettato.
Axxter guardò dalla parte opposta, spingendosi indietro contro la tensione delle corde. Un muro tetro, senza futuro fu tutto ciò che vide. Decise che doveva assolutamente trovare una presa per la comunicazione. Doveva essercene una da qualche parte. Così avrebbe potuto chiamare la sua banca… doveva farlo prima di qualunque altra cosa. Probabilmente il suo conto era stato prosciugato dalla multa per aver tagliato il cavo di transito. Forse era già in rosso in quel momento; e avrebbe dovuto lavorare ancora per anni per saldare il debito. Però, se il Dipartimento dei Lavori Pubblici gli avesse lasciato qualcosina, avrebbe potuto cominciare a cercare ciò che aveva bisogno di sapere. Per esempio dove si trovava e quanta gente lo stava cercando. La Chiedi Ricevi… avrebbe potuto chiedere una linea protetta e fare una chiamata anonima all’agenzia: quando la Folla Devastante avesse trovato le sue tracce, lui sarebbe già stato lontano. Se aveva il denaro per pagare l’informazione. Axxter si morse le labbra, lasciando che i suoi pensieri turbinassero senza freni. Devo trovare una presa per fare la chiamata; è la prima cosa…
Si fermò, qualcosa aveva di colpo interrotto i suoi pensieri. La luce intorno a lui era diventata rossa e stava avvolgendo il muro dell’edificio. Senza capirne il motivo, ne fu molto stupito. Se non per il fatto che durante il giorno, quando era rinvenuto e si era trovato lì appeso, tutto era luminoso e brillante. La luce rossa diventava sempre più scura; lo notava dal dorso delle proprie mani. Era come se il tempo avesse deciso di scorrere all’indietro; anche per lui era diventato ininfluente e arbitrario come per gli angeli. L’alba arrivava dopo la luce del giorno invece che viceversa…
Sapeva che Lahft lo stava guardando, stupita del suo smarrimento. Lo fissava, mentre lui fissava il cielo, verso le nuvole lontane. Là, dove vedeva qualcosa che non aveva mai visto.
Le nuvole erano tutte dorate e rosse e mentre lui le guardava diventavano sempre più scure, addirittura nere.
Il sole stava tramontando, scomparendo sotto la barriera di nubi.
Axxter continuò a fissare il sole, che divenne prima uno spicchio, poi un puntino rosso. Non aveva mai visto il tramonto prima. Nessuno l’aveva mai visto.
Ebbe parecchio tempo per pensarci. Tutta una lunga e fredda notte, aspettando con ansia la poca luce grigia che proveniva dalla zona del giorno del Cilindro, quella dove sorgeva il sole.
Da solo; a Lhaft doveva essere venuta fame, oppure si era solo annoiata e se n’era andata. Axxter era certo che l’avrebbe vista ancora. Nella culla verticale formata dalle corde, era molto vicino al muro; rabbrividiva al vento freddo della notte e rifletteva.
Si trovava sull’altra parte del Cilindro. La parte oscura… almeno quello era molto chiaro. Dove nessuno — nessuno di cui lui avesse mai sentito parlare — era mai stato. La sua solita fortuna… un mondo interamente nuovo si apriva davanti a lui in tutte le direzioni ed egli vi era atterrato con nient’altro se non i suoi vestiti. Tutto intero, perlomeno; questo doveva ammetterlo. Il dolore che gli procuravano i lividi era diminuito e gli sembrava che il sangue avesse ricominciato a scorrere normalmente. Gli restava solo una forte fitta al fianco, dove si era toccato con un dito, ma si era ripromesso di non farlo mai più.