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Andiamo bene, caro ragazzo. Cominciò a riflettere per trovare un soluzione, ma lo sforzo gli confondeva le idee.

Quello di cui aveva bisogno era un posto in cui il sigillo fosse già stato rotto, un’entrata per la zona conosciuta in cui il cunicolo — sempre ammettendo che esistesse — terminasse all’aria aperta.

Dove il sigillo fosse già stato rotto… Un pessimo ricordo, un ricordo di cose orribili si fece largo nella sua mente e si insinuò in quel suo pensiero analitico.

Il settore bruciato.

La sua piccola scoperta gli tornava in mente. Un luogo dove aveva giurato di non tornare mai più; vederlo una sola volta era già più che sufficiente per il resto della vita: avrebbe voluto dimenticare per sempre ogni pulsione sensoriale provata, ogni scricchiolio di ossa sotto i piedi, ogni profumo di carne bruciata.

Eppure lì non avrebbe avuto il problema di rompere il sigillo tra il mondo orizzontale illuminato e quello oscuro che esisteva nel cuore del Cilindro. Doveva provare. Rintracciò le coordinate del settore bruciato nel suo archivio, poi le confrontò con la mappa che aveva davanti agli occhi. Combaciavano: un piccolo cerchio rosso segnava un’entrata in quel punto.

— Eccoci qua… — Annuì, ma non era convinto che quella scoperta dovesse farlo molto felice. Se era vero che dei cunicoli correvano attraverso l’edificio, allora l’estremità di quello che gli interessava era inevitabilmente aperta. Sarebbe stato più comodo se quell’uscita si fosse trovata più vicina all’incrocio delle due linee che aveva tracciato sulla mappa. Avrebbe impiegato giorni ad arrivare all’entrata del tunnel che si trovava nella zona della sera.

Supponendo, ovviamente, che il tunnel fosse aperto anche in quella zona. Supponendo, inoltre, che davvero il cunicolo passasse per il centro dell’edificio senza strane deviazioni. E supponendo qualche altro milione di particolari.

Aveva il vantaggio di dover comunque affrontare quell’avventura, visto che non aveva altra scelta. Non aveva il problema di prendere la decisione sbagliata. In qualche modo, pensò Axxter, gli uomini morti hanno la vita più facile.

In mattinata — mattinata dall’altra parte, perché dove si trovava lui la luce era ancora piuttosto fioca — sarebbe partito verso il luogo in cui, secondo i suoi calcoli, avrebbe dovuto aprirsi il tunnel. Nel frattempo doveva passare la notte.

Sei un pazzo. Sapendo già quello che avrebbe fatto. Con dei soldi sul suo conto e una linea telefonica a disposizione, sapeva sempre quello che avrebbe fatto. Si sporse per infilare il dito nella presa, innestò il contatto e chiamò gli OloGiorni.

Non pensava che lei lo stesse aspettando. Non lo faceva mai.

Allungò un dito dell’immagine in cui stava camminando; il sensore al lato della porta avvertì la presenza di calore e fece suonare il campanello all’interno dell’appartamento. Il sensore, almeno quello, lo viveva come un essere umano.

Forse lei non era in casa… ogni volta che si avvicinava alla donna sperava la stessa cosa. Anche se non riusciva a immaginare dove altro potesse essere. Dopo il lavoro, si rifugiava sempre nella sua piccola casa spettrale. Esattamente come tutti quelli che vivevano nei livelli orizzontali.

La porta si aprì. Axxter sollevò la mano della propria immagine. — Ciao. Ho pensato di fare un giro. E passare a salutarti.

Ree lo fissò. C’era un disturbo sulla linea: l’immagine di lui che la donna percepiva non combaciava con la percezione sensoriale di sé che Axxter aveva. Di conseguenza a lui sembrò che lo sguardo di Ree fosse puntato sul retro del suo cranio.

— Che diavolo vuoi?

L’uomo fece far spallucce alla propria immagine. — Ehi, solo per quello che ti ho detto. Volevo vederti. Ecco tutto. Voglio dire, non ho nemmeno sensazioni tattili! — Diede un colpo allo stipite della porta, mentre l’immagine delle sue dita scompariva dietro al pannello. — Non può essere che io sia qui solo per… per gironzolare o qualcos’altro?

Lei sospirò debolmente. — Credimi; non otterresti niente comunque. — Si appoggiò al muro con le braccia incrociate. — Allora, adesso sei qui e mi hai visto… tutto qui? Sei soddisfatto?

— Be’, c’è qualcosa che volevo dirti…

— Dire a me? Sarò io a dirti un paio di cose. Non amo affatto che un idiota, che tutti conoscono bene per un idiota, venga a bussare alla mia porta. Non ho bisogno che i vicini pensino che il più cretino di tutti, sia fuori che dentro l’edificio, abbia qualcosa a che fare con me…

— Io non…? — Axxter chinò la testa dell’immagine, stupito.

— Voglio dire… io e te… noi non…

Gli occhi della donna, già piccoli, diventarono due fessure tra le sue rughe. — Non dopo l’ultima cazzata. Non sei responsabile, ti accontenti di vivacchiare là fuori sul muro e lavorare come… come uno stupido incisore di tatuaggi — bene. Sei tu a dover scegliere. Ma non hai alcun diritto di mettermi in imbarazzo con questa storia.

— È proprio di questo che volevo parlarti. Quello che sono venuto a dirti è… che ho intenzione di smetterla. — La sua immagine aveva fatto un passo indietro, allontanandosi dalle parole raggelanti della donna; le avvertiva anche senza alcuno stimolo sensoriale. — Davvero. Non ti sto prendendo in giro. Ci ho pensato a lungo. E ho preso la mia decisione. Appena tornerò indietro, voglio dire nel mio corpo reale, ho intenzione di tornare all’orizzontale. Di smettere di girovagare sul verticale. Avrò un sacco di soldi e potrò comprarmi qualche commissione, qualche piacevole lavoro esecutivo. E poi… io e te… sai, potremmo parlarne.

Lei scosse il capo. — Ny, non ti credo. Hai sempre raccontato un sacco di balle.

Axxter stava per dire qualcosa, fare qualche promessa, quando un’altra voce lanciò un urlo tanto acuto da far vibrare le reazioni ottiche della sua immagine: gli sembrò che il corridoio e la porta aperta si muovessero.

— Ehi! Chi cazzo sei! — Era una voce femminile, ma non era quella di Ree, che aveva la bocca chiusa.

— Vattene da qui, altrimenti ti colpirò così forte da non farti nemmeno capire cosa stia succedendo!

Ora vide la donna che lo stava fissando con gli occhi spalancati e un’espressione di disgusto sulle labbra.

— Mi hai sentito? — La voce divenne ancora più forte. — Tu, piccola merda! Aspetta ancora un po’.

Poi, di colpo, non si trovò più davanti all’appartamento della sua fidanzata, sul livello orizzontale. D’improvviso, il collegamento con gli OloGiorni era svanito. Axxter si trovava ancora appeso nella notte, nella zona sconosciuta.

— Ti prenderò a calci nel culo così forte che…

Tolse il dito dalla presa e quella voce scomparve. Lasciando solo il silenzio.

Che diavolo era? Qualche interferenza sulla linea. Aveva già incontrato fantasmi sulla linea — erano il rischio maggiore nell’essere troppo tirchi e non scegliere comunicazioni protette — ma mai nessuno aveva mostrato quella minacciosa ostilità. Di solito si limitavano a dare fastidio con il loro costante desiderio di giocare e coinvolgere gli altri nei loro giochi di fantasmi.

Rinfilò il dito nella presa; un esperimento. Con risultati immediati.

— Eccoti qui, testa di cazzo. Non avevo ancora finito con te. — La voce era più bassa. — Sei in grossi guai con me, adesso.

— Ehi, aspetta un attimo. — Quell’attacco stava diventando fastidioso. — Chi diavolo sei? Qual è il problema?

— Scoprirai ben presto qual è il problema, amico. E sai benissimo chi sono. E sai anche che questa linea fa parte della mia rete di comunicazioni. Tu sei uno di quei guastatori, non è vero? Potrei scommetterci.

— Chi? Di cosa stai parlando?

La parola GUASTATORI si compose davanti ai suoi occhi, una lettera rossa dietro l’altra, poi scomparve.