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Axxter alzò lo sguardo per vedere la posizione di Guyer perpendicolare al muro, e per incontrare gli occhi della donna, rannicchiato nella fascia, dovette piegare la testa. Guyer si girò e si incamminò verso la sua moto.

Da dietro l’Indiana, che aveva i fari puntati verso l’alto, gli disse: — Diamoci un bacio di saluto, Ny. — E aveva lo stesso sorriso indulgente di prima.

Axxter sapeva cosa voleva, il bacio era solo un pretesto. La donna l’aveva visto tempo prima, quando era del tutto nuovo sulla superficie verticale. L’aveva visto muoversi con il petto attaccato al muro, come un ragno, fissato da un mare di fili metallici. Aveva provato tenerezza per lui, gli aveva dato qualcosa… Ora voleva vedere come se la cavava. Era un piccolo test. Deglutì, cercando di sciogliere il nodo che aveva in gola e si alzò aggrappandosi alla fascia.

Non appena si alzò, sentì nelle rotule lo schiocco degli agganci dei suoi stivali fissarsi al muro. Ecco, le sue spalle erano in direzione della barriera di nuvole al di sotto. Dalla cintura partiva una corda rigida che lo aiutava a mantenere l’equilibrio: tutto lì. Non c’era niente di eccezionale. Cammina e non pensare, si disse. È tutto qui. A ogni passo le corde degli stivali si sganciavano dagli agganci per andare a fissarsi alla presa successiva. Tutto qui.

Sì, tutto lì. Axxter si trovò di fianco all’Indiana, ancora con il nodo in gola. Ma era lì. Osservò il viso sottile della donna prima di chinarsi per baciarla. Sentì il tocco delle sue sopracciglia e capì che lei aveva spostato lo sguardo. Si girò per guardare quello che aveva attirato l’attenzione di Guyer. Con una mano si attaccò al più vicino cavo di transito e ogni tendine del suo polso s’irrigidì per la stretta presa. Si teneva, senza vergogna, malgrado la paura della gravità. Poi guardò di nuovo il sorriso di Guyer. Il motore dell’Indiana tossì quando lei afferrò la manopola dell’acceleratore.

— Stammi bene, Ny. — Un battito di ciglia. — Ci vedremo ancora.

Continuò a lungo a sentire il rombo della moto, mentre Guyer era già scomparsa dalla sua vista. Per il suo infinito viaggio. Axxter ora si aggrappò al cavo con entrambe le mani. Non c’era più nessuno che potesse vederlo. Premette le guance in fiamme contro il freddo metallo, solo un po’ più duro del viso e del bacio della donna.

Poco prima di disfare il campo, aveva chiamato la Chiedi Ricevi. La Piccola Luna, nella sua orbita intorno al Cilindro, era finalmente ricomparsa: uno spicchio argenteo che compariva dal margine sinistro dell’edificio. Era più economico comunicare quando c’era a disposizione solo una fetta della superficie per la trasmissione di segnali audio; per lui era sufficiente. Passò sul suo ricetrasmettitore.

— Aggiornamento della precedente richiesta. — Nella mascella gli risuonò l’eco della sua stessa voce. — Stima dell’attuale posizione dei Violenza, una tribù militare. Scala di attendibilità ridotta del… oh… venticinque per cento. — Un vecchio trucco imparato dai liberi professionisti con più esperienza di lui. Se si dava un indice di attendibilità sulle iniziali richieste di localizzazione più alto del settantacinque per cento, o anche più, era poi possibile ottenere vantaggi sugli aggiornamenti. E poi ci si poteva facilmente avvicinare al proprio obiettivo facendo una breve ricerca fisica sul settore per raggiungere la meta desiderata. Però sapeva che il venticinque per cento significava spingersi un po’ troppo in là.

L’agenzia d’informazione scorse i dati di localizzazione già in suo possesso: avvistamenti precedenti, velocità e direzione, analisi delle strategie di attacco. I Violenza non erano così potenti, e mai lo sarebbero stati, da avere un servizio di pubbliche relazioni per pubblicizzare le loro imprese, avere punti di reclutamento e del personale fisso. Altrimenti avrebbe chiamato loro per avere le informazioni.

Col venticinque per cento di attendibilità non ci volle molto. Axxter colse, o immaginò di cogliere, un tono stranamente accondiscendente nelle coordinate che gli venivano fornite.

— Bene — disse come se si rivolgesse alla Norton, visto che non c’era nessun altro sul muro. Spense la ricetrasmittente e la sistemò nel sidecar. Gli stivali si sganciarono dal terreno mentre saliva in moto e la cintura di sicurezza gli avvolgeva la vita. Ebbe un attimo di vertigine appena afferrò il manubrio e guardò in giù, lungo le mura verticali dell’edificio. — È ora di andare.

Non si fermò fino a quando l’ombra della moto sul Cilindro non fu tanto lunga da non poterla più vedere interamente. Ore di viaggio: il sole era dritto sopra di lui e il suo contorno era coperto dalla cima del Cilindro. Gli restava ancora un po’ di luce prima che il sole raggiungesse lo zenit e le tenebre scendessero sulla zona del giorno. Qualsiasi cosa fosse esistita nella zona della sera, ora sarebbe stata avvolta dalla luce. Axxter si alzò sui pedali, cercando di sciogliere i crampi che aveva alle gambe, mentre la sforzo gli faceva vibrare entrambe le cosce. La barriera di nuvole sembrava più lontana che mai.

Mi è andata bene, si disse. Il cavo di transito su cui si muoveva la moto era solido ed era giunto fino a lì. E andava anche oltre: il cavo, più spesso dove si agganciavano le ruote, proseguiva a ragnatela, scomparendo tra le nuvole. Ancora qualche chilometro — egli si guardò in giro cercando di calcolare la propria posizione — e avrebbe potuto dirigersi verso sinistra, staccandosi da quel cavo. Proseguire lateralmente, attraverso i cavi verticali, era sempre più lento. Il gruppo dei Violenza avrebbe dovuto trovarsi piuttosto vicino; forse non li avrebbe raggiunti prima di notte, ma senza dubbio entro il giorno dopo.

Si sedette di nuovo sul sellino e diede gas. Era soddisfatto di quel giorno di viaggio, quasi giunto al termine; gli angeli si erano dimostrati di buon auspicio, oltre ad avergli procurato del denaro. Erano stati, in qualche modo, una rappresentazione di libertà. Era per quello che si diventava liberi professionisti. Per quello e per morire di fame. Schiacciò il pedale della frizione e ripartì, acquistando velocità lungo le pareti del muro.

C’erano ombre sull’edificio. Poi li vide, mezzo chilometro a destra della sua stessa ombra lunga. La luce stava diminuendo; lanciò uno sguardo alle sue spalle, al sole ormai coperto per tre quarti dalla cima del Cilindro. Si sarebbe avvicinato a qualunque cosa proiettasse quelle ombre, prima che la notte fosse calata del tutto.

I battiti del suo cuore divennero più veloci, mentre la sua mano girava la manopola dell’acceleratore della Norton ed egli vide i margini dentellati di qualcosa di metallico che si alzava dalla superficie del muro. Dentro vi albergava una solida oscurità, appena visibile passando vicino ai segmenti rovinati del muro.

Non sarà uno spettacolo piacevole, Axxter. Gira e… torna indietro. La frase gli risuonò in testa, mentre fermava la moto ai margini di quella zona distrutta. Una parte di muro, contorta e annerita, si protendeva verso il cielo e la parte più esposta era all’altezza della sua testa. Appariva così tremenda da potersi ingoiare qualsiasi angelo osasse sorvolarla.

Allontanati di qui. Quelle Zone di Guerra, eco freddo e abbandonato dell’antica violenza che aveva distrutto l’edificio, lo spaventavano ogni volta. Non sapeva che ce ne fosse una anche lì; su alcune di quelle zone desolate non c’era niente negli archivi, solo punti interrogativi e richieste di rimborso alla Chiedi Ricevi per mancata informazione. Qualcuno le aveva visitate; i luoghi di antiche battaglie vicini alle zone più popolate dei settori orizzontali attiravano un certo numero di turisti. Qualcuno visitava ogni cosa. Axxter sentì il vento fischiare vicino a quella sporgenza che si slanciava verso il cielo e rabbrividì. Udì una nota debolissima, che avrebbe potuto emettere un uccello affamato. Scarse possibilità di fare una buona dormita lì intorno, che conciliasse un buon negoziato d’affari. Ora di andarsene. Vai ad accamparti da qualche altra parte, molto lontano da qui.