— La vostra prigioniera! Dov’è? — chiese bruscamente a Chulian.
— Non l’hai vista? Quella tenebra spaventosa? — replicò Chulian con voce incerta.
Cugino Deth indietreggiò. — Non sapevo che voi preti aveste paura del buio.
Per un attimo, la sola cosa a cui Chulian riuscì a pensare fu che era stato insultato da un miserabile diacono.
— È entrata lì dentro — rispose con rabbia. — Se ti preme tanto, perché non la insegui tu stesso?
Cugino Deth si voltò verso la strada.
— Sveglia i cittadini! — urlò rivolto a qualcuno. — Fate un cordone intorno alla casa!
Poi si voltò di nuovo verso Chulian.
— Forse domani mi sarà chiesto di entrare in questo luogo per purificarlo dal male — disse. — E dal momento che la reverenza vostra si mostra così desiderosa di vedermi entrare, supplicherò che veniate nominato mio direttore spirituale, affinché possiate guidarmi.
4
Le mani lasciarono i gomiti di Jarles dopo aver stretto per un attimo la presa, quasi ad ammonirlo: — Sta fermo lì! — Sentì il bordo di una scatola o di un sedile contro i polpacci, ma non si sedette.
A poco a poco si delinearono i vaghi contorni dell’ambiente che lo circondava, simile a un notturno abilmente dipinto da un valente pittore, con rapide pennellate fosforescenti su una superficie nera sfumata di viola.
Si trovava in un’ampia stanza dal soffitto molto basso. Lo capiva dalle correnti d’aria e dall’eco dei suoi stessi passi.
A quella che sembrava una delle estremità del locale, su una bassa predella, era collocata una specie di sedia o di trono, che emanava una debole luce. Davanti al trono si trovava un piccolo tavolino, sul quale era collocato un oggetto che ricordava, nella foggia, i libri delle civiltà passate. Era enorme ed era aperto. Alcune minuscole creature, di natura non meglio specificata, stavano giocando ai piedi del trono; o per lo meno questa era l’impressione che aveva Jarles, perché percepiva un rapido moto, come di corsa, vicino al pavimento e gli giungeva all’orecchio un vago stridio accompagnato da uno strascicamento, e, una volta o due, un flebile plop, come se qualcosa dotato di una ventosa venisse staccato da una superficie liscia.
Poi, con un balzo, una delle creature salì sul trono e vi si acquattò con fare birichino: era minuta, molto magra, vagamente somigliante, come struttura fisica, a una scimmia.
Quello che accadde subito dopo gli fece correre un brivido freddo lungo la spina dorsale. Perché la creatura parlò. O per lo meno dalla direzione del trono provennero dei bisbigli, voci troppo sottili e acute e stranamente confuse per essere umane… ma nondimeno indiscutibilmente umane. Jarles riusciva a cogliere soltanto qualche parola qua e là.
— …stata questa sera Mysie?
— …dentro la sua veste… un sacerdote del Quarto Circolo… spaventato a morte.
— Jill?
— …fare una visita lontano, per riferire…
— Meg?
— …sul suo petto, mentre dormiva.
— E Micia? Ma so…
— Sì, Dickon.
Sembrava che la creatura seduta sul trono facesse le domande e le altre rispondessero, in una sorta di parodia degli esseri umani quando fanno rapporto a un capo. Con orrore, Jarles si rese conto di aver già udito in precedenza l’ultima voce che aveva parlato e cominciò a tremare.
— Chi siete? — urlò, con più baldanza di quanta non ne avesse in realtà. — Che cosa volete da me? Perché tutto questo mistero?
L’eco delle voci si spense in un silenzio cupo. Non ci fu risposta, solo l’improvviso stropiccio di una corsa frettolosa.
Jarles si sedette. Se avevano deciso di giocare a quel modo con lui, non c’era niente che potesse fare, se non evitare di lasciarsi impressionare, o almeno di farlo trapelare.
Ma quale poteva essere lo scopo del loro gioco? Per cercare di capire chi potesse averlo salvato, e poi fatto prigioniero, riesaminò mentalmente tutto quello che era accaduto dal momento in cui l’ira del Grande Dio stava per abbattersi su di luì.
I primi ricordi erano confusi per la grande paura e lo stupore che aveva provato. La sensazione di essere stato circondato da qualcosa di solido, semi-trasparente e striato di nero. Una luce blu accecante, un frastuono infernale di grida, crepitii e risa. Poi qualcosa l’aveva trascinato in alto, sconquassandolo tutto, e quindi di nuovo in basso, verso un buco nero che si era spalancato come un enorme forno.
Quindi, una breve attesa, nella più assoluta oscurità. Poi le mani. Mani che si eclissavano quando lui cercava di afferrarle. Mani che lo avevano guidato per un tratto indefinito e poi lo avevano lasciato in quella che, dopo una cauta esplorazione, aveva scoperto essere una piccola cella. Una lunga attesa. E poi di nuovo le mani, che lo avevano portato lì.
Aguzzò a lungo la vista in direzione del profilo evanescente della predella e del trono, fino a quando riuscì a distinguere altre sagome, ancora più vaghe di quelle delle piccole creature che si erano dileguate, così vaghe che ogni volta che cercava di metterle a fuoco svanivano. Sagome più grandi di figure sedute fra lui e la tenebra sfumata di viola della parete di fondo, anche se non frapposte fra lui e il trono.
All’improvviso, la sua attenzione fu attratta da una fugace macchia di luminescenza in una delle silhouette, nel punto in cui dovevano trovarsi i denti. Poi brevi tracce giallognole nell’aria, come se qualcuno stesse agitando una mano ricoperta da una sostanza fosforescente.
Jarles osservò le proprie mani: ogni unghia risplendeva di un colore giallastro. Evidentemente la stanza era immersa in una luce ultravioletta. Forse gli altri indossavano appositi occhiali convertitori.
— L’Uomo Nero è stato trattenuto, Sorelle.
Jarles trasalì con orrore. Non perché quella voce, una voce di donna, era il primo suono innegabilmente umano che udiva. Non perché quelle parole erano misteriose e gravide di oscure allusioni. Ma perché era diabolicamente simile a una delle voci subumane che aveva sentito poco prima. Come se quella fosse la voce che l’altra più flebile di prima aveva cercato di imitare.
— Dickon è qui. L’Uomo Nero non può essere lontano.
Un’altra voce di donna e, ancora, l’agghiacciante sensazione di averla già udita.
La prima donna: — Che cosa hai fatto questa sera, Sorella?
La seconda donna: — Ho mandato Mysie a molestare un sacerdote del Quarto Circolo, che Satanas possa tormentarlo per l’eternità! Si è intrufolata sotto la sua veste e l’ha spaventato a morte, se è vero quel che mi ha raccontato. Dice sempre un sacco di bugie quando la sua mente è lontana dalla mia! In ogni caso, quando è tornata era affamata. Mi avrebbe salassato fino a ridurmi a un cencio se glielo avessi permesso. Quella piccola ingorda!
All’improvviso, Jarles trovò il bandolo di quella intricata matassa.
La Stregoneria della Civiltà dell’Alba.
Quello doveva essere un convegno di streghe, una riunione in cui tutte le fattucchiere si ritrovavano a riferire il loro operato. L’Uomo Nero doveva essere il loro capo. E quelle piccole creature che, a quanto sembrava, si nutrivano del loro sangue, i demoni al loro servizio.
Ma se lui stesso aveva detto ai comuni cittadini, ed era il primo a crederci, che non esisteva nessuna Stregoneria, se non nella forma degradata e innocua mantenuta dalla Gerarchia per i propri fini!
Anche quella sembrava abbastanza degradata, visti quei minuscoli esseri bestiali, fantasmi di un’evoluzione regressiva. Ma era davvero innocua? Non aveva avuto quell’impressione.
Si voltò di nuovo verso la predella, con l’intenzione di rivolgere altre domande alla tenebra e cercare di ottenere una risposta.
Ma adesso il trono non era più vuoto. Vi era seduta una sagoma d’uomo, nera come la morte.