Dietro di lui, una ventina di altri sacerdoti (alcuni con l’insegna del fulmine e del serpente, che indicava la loro appartenenza al Quarto Circolo, ricamata sul petto) portavano ogni sorta di oggetti terrificanti: globi che risplendevano anche nella piena luce del giorno, tubi, barattoli e scatole di metallo dalla foggia strana, tutti riccamente decorati, tempestati di gioielli e adornati di simboli religiosi.
Gli ultimi quattro preti di questo gruppo, scuri in volto, conducevano un grande oggetto, che assomigliava alla gigantesca conchiglia di una lumaca e fluttuava con una certa qual difficoltà all’altezza delle loro spalle. I quattro sacerdoti la guidarono sulla cima di una minuscola montagnola al centro della piazza, dopodiché indietreggiarono di alcuni passi. Poi, mentre la folla li fissava a bocca aperta, uno di loro compì alcuni gesti mistici nell’aria: la conchiglia incominciò ad abbassarsi lentamente, schiacciando le pianticelle e i cespugli sotto di sé, e alla fine si fermò con l’apertura svasata puntata verso la casa stregata.
Ma il sopraggiungere della retroguardia del corteo distolse l’attenzione degli astanti da quello spettacolo. Il chiacchiericcio eccitato della folla si ridusse momentaneamente a un sussurro, mentre i cittadini delle prime file informavano quelli alle loro spalle dell’arrivo del piccolo uomo vestito di nero. Cugino Deth era piuttosto conosciuto.
Alla vista dell’oggetto che lo seguiva, molti bambini si misero a piagnucolare. Aveva l’aspetto di un’enorme scodella, molto profonda ed ermeticamente chiusa. Nondimeno, ne fuoriusciva una condensa bianca e un liquido dello stesso colore gocciolava sull’acciottolato, lasciandovi una traccia di minuscole pallottoline, che si dissolvevano nel nulla, ma che, a camminarci sopra a piedi nudi, si attaccavano alla pelle e bruciavano. I cittadini della prima fila furono investiti da una corrente d’aria ghiacciata.
Normalmente, due contenitori di acqua santa simili a quello erano collocati ai lati dell’ingresso della Cattedrale e raggelavano l’entrata. Più di un bambino ci aveva rimesso la pelle delle dita quando la curiosità, che nei piccoli è sempre fervida, lo aveva spinto a toccarne uno con la mano e ne era stato prontamente allontanato dalla madre urlante. Non c’era quindi da meravigliarsi che i sacerdoti che lo trasportavano avessero attivato al massimo il loro campo di inviolabilità!
La musica invisibile crebbe in, un maestoso esaltante, poi si interruppe bruscamente. La folla si zittì e per un attimo regnò il silenzio. Quindi, uno dei quattro giovani sacerdoti che avevano aperto la processione avanzò con grande solennità verso la casa, tenendo la verga dell’ira alta sopra il capo come una spada sguainata. Tutte le teste si girarono all’unisono e gli astanti ammutoliti lo seguirono con lo sguardo.
— Questo luogo è abitato dal demonio! — urlò all’improvviso il prete a gran voce. — È ripugnante alle narici del Grande Dio. Trema, Satanas! Fuggi, demonio! Perché, ecco, io imprimo qui il marchio della Gerarchia!
Si fermò esattamente di fronte al vecchio uscio sconnesso e dalla verga tesa uscì un fiotto di luce violenta, della medesima tonalità della sua aureola, che era quasi invisibile alla luce del sole. Lentamente, il sacerdote tracciò un cerchio di fuoco sopra l’entrata.
Quello che accadde subito dopo parve chiaro a tutti che non doveva rientrare nel programma. Perché all’improvviso, prima di aver completato il cerchio incandescente, il prete si sporse in avanti per scrutare attraverso l’orifizio irregolare dell’uscio, e quel che vide dovette sembrargli di eccezionale interesse perché vi cacciò dentro la testa. Ma improvvisamente il vano della porta si raggrinzò e, come le fauci di un felino affamato, si serrò intorno al collo del malcapitato. Il quale prese a scalciare come un ossesso, mentre la verga, che continuava a sputare luce viola, minacciava di dar fuoco all’erba.
La folla rimase con il fiato sospeso e qua e là si levarono grida di terrore, inframmezzate da qualche risata isterica. Gli altri giovani sacerdoti si precipitarono a soccorrere il loro compagno; uno di loro afferrò la verga caduta, che si spense all’istante. Gli altri lo presero per le gambe e incominciarono a spingere e a tirare con forza, finché visto che ogni tentativo risultava vano, decisero di scardinare l’uscio; il muro cedette un po’, come se fosse fatto di una sostanza semi-elastica, ma quello fu tutto.
Poi, d’un tratto, la porta si dilatò di propria spontanea volontà e i quattro giovanotti ruzzolarono all’indietro, finendo a gambe all’aria in mezzo alle erbacce fumanti. Il prete che era rimasto intrappolato si alzò di scatto e, prima che gli altri potessero impedirglielo, si fiondò all’interno della casa. La porta si serrò alle sue spalle.
La casa incominciò a tremare.
I suoi muri afflosciati si irrigidirono, si gonfiarono e furono squassati da un movimento ondulatorio. Le finestre si restrinsero fino a scomparire. Un muro si allungò visibilmente, un altro si contrasse. Altre parti della casa si deformarono in modo ancor più straordinario.
All’improvviso, una delle finestre del piano superiore si dilatò e il prete schizzò fuori come un proiettile, come se la casa lo avesse assaggiato e poi, non avendolo trovato di proprio gusto, lo avesse sputato fuori. A metà tragitto, il sacerdote attivò il suo campo di inviolabilità, cosicché il suo atterraggio fu più lento e morbido. Rimbalzò gentilmente per terra.
Questa volta le risate della folla non furono dettate soltanto dall’isteria.
La casa si acquietò.
I sacerdoti che sorvegliavano gli strumenti cominciarono a consultarsi freneticamente. Due di loro si precipitarono verso Cugino Deth. Quelli che controllavano il grande tubo arrotolato sulla collinetta gli rivolsero uno sguardo interrogativo.
Ma fra tutti gli esorcisti, nessuno si sentiva più inutile e confuso di Fratello Chulian. Perché gli dovevano sempre capitare cose simili? Eletto a quella posizione di apparente autorità per un malvagio capriccio di Deth, era quello che meno di tutti sapeva che cosa stesse accadendo. Se solo la sera prima avesse tenuto a freno la lingua e non avesse insultato quel piccolo diacono pestifero!
I quattro giovani sacerdoti risolsero di allontanarsi dalla casa e si fermarono accanto a lui. L’emozione aveva fatto dimenticare loro qualsiasi dignità di comportamento e stavano discutendo animatamente. Quello che era stato lanciato fuori dalla finestra veniva interrogato dagli altri tre.
— Chi non sarebbe stato tentato di dare una sbirciatina all’interno? — protestò con veemenza. — Due piedi nudi che correvano, è questo che ho visto vi dico. Soltanto due minuscoli piedi nudi, senza un corpo, senza niente. E quando si sono allontanati a passo di danza, dovevo pur vedere dove stavano andando! Poi, quando sono rimasto intrappolato nella porta, da non so dove sono arrivati dei piccoli cittadini comuni, che hanno cominciato a fare le più ingiuriose osservazioni sulla mia testa. Come se fosse un trofeo impagliato e appeso al muro! Anche a voi sarebbero saltati i nervi. Volevo punirli. È per questo che sono corso dentro.
— E come hai fatto a saltare dalla finestra?
— È stata la casa, vi dico! Non c’erano cittadini da nessuna parte. A un tratto ha cominciato a sollevarsi e a tremare tutta. Il pavimento si è alzato sotto i miei piedi e mi ha scagliato contro un muro. Il muro mi ha mandato a rimbalzare contro un altro muro. Poi mi ha raggiunto un’altra volta il pavimento. Prima che potessi accorgermi di essere arrivato al piano di sopra ho ricevuto un ultimo colpo e, pochi istanti prima di finire spiaccicato contro la parete, ci si è aperta in mezzo una finestra e sono volato fuori. Non ci ho potuto fare niente!
Chulian non voleva ascoltare. Era tutto troppo strano e inquietante. Che cosa spingeva la Gerarchia a fare cose simili? E poi i cittadini comuni avevano riso! I diaconi sparsi in mezzo alla folla li avevano prontamente zittiti, ma loro avevano riso.