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— No, suprema eminenza, ma ho visto un’altra cosa, una cosa che mi ha lasciato perplesso. Adesso gliela mostro, se è ancora lì.

Il volto del sacerdote scomparve dal video, che per un attimo rimase vuoto. Ma pochi istanti dopo Goniface vide la sua scrivania e sullo sfondo le alte stanze del suo appartamento. In primo piano, appoggiato a qualche sostegno, in modo che la sua immagine riempisse lo schermo televisivo, c’era un foglio oblungo di carta grigia, del genere usato dai comuni cittadini. In cima al foglio, Goniface riconobbe le lettere arcaiche che aveva già visto impresse nella sua mente: Knowles Satrick.

Goniface si alzò e fece cenno a Jomald di prendere il suo posto. Si sentiva molto calmo. Il fatto di recarsi nel suo appartamento per vedere che cosa ci fosse scritto sul retro del foglio gli sembrava la cosa più naturale del mondo. Più che naturale. Inevitabile. Preordinata.

Fuori dalla porta della galleria, i diaconi della sua scorta si alzarono per accompagnarlo, ma lui scosse la testa. Quello era un viaggio che doveva compiere da solo. Mentre percorreva i corridoi si rese conto di muoversi in un flusso temporale completamente diverso da quello in cui si affannavano i preti frettolosi e scuri in volto in cui si imbatteva. Un flusso temporale che andava a ritroso.

Stai ritornando, Knowles Satrick. Il cerchio sta per chiudersi. È stato un viaggio molto lungo, Knowles Satrick, ma adesso stai ritornando a casa.

Entrò nel suo appartamento. Sulla soglia di una delle stanze interne vide una donna che indossava la semplice tunica dei cittadini comuni. Nonostante l’oscurità riuscì a discernerne perfettamente i tratti del volto, come se la sua pelle emanasse un lieve bagliore. Era la strega Sharlson Naurya. E, poiché la somiglianza era inconfutabile, era anche sua sorella Geryl.

Per un attimo Goniface uscì dallo stato di trance in cui si trovava e riacquistò piena lucidità di pensiero. Ma in nome della ragione, che cosa aveva fatto? Era caduto nella trappola della Stregoneria.

La sua vecchia natura riprese il sopravvento. Abbozzò un sorriso. Dunque quello era il modo in cui la Stregoneria sperava di spaventarlo e di sconfiggerlo? Indubbiamente era riuscita a tendergli una trappola, una trappola psicologica, ma non abbastanza efficace.

Protese la mano e dalle dita guantate balenò un raggio di energia viola. Per un terribile istante, la figura non sembrò risentirne affatto. Poi la veste di tela grezza prese fuoco, il volto si annerì e, sfigurato dalle fiamme, il corpo crollò all’interno della stanza, fuori dal suo campo visivo. L’odore di carne bruciata gli riempì le narici.

Per un attimo il Sommo Gerarca assaporò il piacere di un grande trionfo personale. Era riuscito a sconfiggere il suo passato, ritornato a inghiottirlo. Aveva commesso l’ultimo omicidio, tardi forse, ma in tempo per chiudere quella partita a suo favore. Il suo passato era morto per sempre. La voce che insisteva ancora nel chiamarlo indietro non aveva più alcun ascendente su di lui.

Ma, quasi in quello stesso istante, si rese conto che quella sua vittoria non era reale. Che quella era stata la sua Neodolos: l’ultima grande vampata di un fuoco destinato a spegnersi.

Perché dalla stanza, con passo leggero, uscì Geryl, il corpo che le fiamme avevano avvolto, perfettamente integro, la tunica di tela grezza intatta.

E, dietro di lei, procedeva il più strano dei cortei. Un’anziana donna macilenta che zoppicava appoggiata a una stampella. Un sacerdote ancor più vecchio, con le guance un tempo piene, molli e cascanti. Un cittadino comune dall’aria ottusa e imbronciata un po’ più vecchio di lui. Un altro sacerdote e molti altri cittadini comuni, per lo più molto anziani.

Il cerchio si è chiuso, Knowles Satrick. È tutto finito. È quasi come se niente fosse mai accaduto.

Perché quel silenzioso corteo era composto dalle persone che lui aveva assassinato. Ma non erano come lui le ricordava, com’erano nel momento in cui erano morte; se così fosse stato, lui avrebbe subito pensato a qualche trucco astuto, e avrebbe trovato la forza di reagire.

Come Geryl, erano tutti come sarebbero stati se non fossero morti, ma come se fossero sopravvissuti e fossero invecchiati normalmente fino a quel giorno. Quelli non erano fantasmi evanescenti, ma spettri reali di un inferno concreto, l’inferno di un altro flusso temporale che l’aveva risucchiato nel suo gorgo. Lui non aveva ucciso nessuno, le sue azioni erano state cancellate. Oppure lui li aveva uccisi davvero, ma loro avevano continuato a vivere… altrove.

Asmodeo aveva ragione. Dietro l’apparato scientifico della Stregoneria si celava qualcos’altro. E quel qualcos’altro era orribile.

Le figure del corteo si disposero in circolo attorno a lui, che si era messo dietro la scrivania, e lo fissarono con freddezza, ma senza odio.

Goniface notò che i contorni della stanza erano mutati: le masse d’ombra erano diverse…

Un ultimo, disperato barlume di scetticismo: forse le persone che lui vedeva erano soltanto proiezioni telesolidografiche realizzate con diabolica astuzia. Con uno sforzo che sapeva non sarebbe stato più in grado di ripetere, protese alla cieca una mano e toccò la creatura che gli era più vicina… Geryl.

Le sue dita incontrarono una carne piena, viva.

Allora l’Inferno si chiuse intorno a lui, con il fragore metallico della porta di un carcere.

Non provò tanto terrore o colpa, benché in un certo senso fosse afflitto dall’espressione più alta di entrambi i sentimenti, quanto piuttosto un senso generale di fatale predestinazione, la resa totale della sua volontà, perché si trovava al cospetto di forze che vanificavano tutte le conquiste della volontà.

Il teleschermo di fronte a lui si illuminò. Gli ci volle qualche istante per riconoscere il volto di Fratello Jomald e qualche altro istante per ricordare chi fosse. Ma anche dopo, per Goniface fu come guardare un’immagine che assomigliava a qualcuno che aveva conosciuto tanto, tanto tempo prima, in un’altra vita.

— Eminenza. Eravamo tutti preoccupati per la vostra incolumità. Nessuno sapeva dove eravate andato. Potete ritornare subito al Centro di Telecomunicazione? C’è un’emergenza.

— No, resterò dove sono — rispose Goniface quasi con un moto di impazienza. Che creatura futile e chiacchierona era quel fantasma! — Fammi le domande che devi.

— Molto bene, eminenza. A Neodolos la situazione è di nuovo critica. Non è stata la piena vittoria che sembrava all’inizio. Dopo i primi successi i sacerdoti non sono più riusciti a conseguirne altri. La Centrale Energetica rischia di cadere nuovamente in mano al nemico. Nel frattempo, anche Mesodelfi e Neotepoli sono state invase. Visto quanto è accaduto a Neodolos, dobbiamo ordinare il contrattacco anche in quei Santuari?

Con grande fatica, Goniface si concentrò sui problemi di quell’evanescente flusso temporale in cui la Gerarchia stava morendo. Ma gli sembravano lontani come se appartenessero a un altro universo.

Sollevò lo sguardo sul cerchio di vecchi volti che lo attorniavano. Nessuno parlò, ma scossero tutti insieme la testa. In particolare, Goniface notò il tremulo cenno di diniego di sua madre, sparuta creatura che gli anni avevano reso tanto fragile. Lo conosceva così bene.

Avevano ragione. La Gerarchia stava agonizzando in quell’altro flusso temporale, dal quale anche lui era svanito. Ed era meglio che la sua fine fosse rapida.

— Sospendi il contrattacco. — Quelle parole scaturirono senza alcuna fatica dalle sue labbra. — Annulla tutte le operazioni… fino a domani.

Ma per quel flusso temporale morente non ci sarebbe stato nessun domani.

Seguì quella che a Goniface sembrò un’inutile e noiosa discussione con lo spettro di Fratello Jomald. Ma Goniface insistette, perché sentiva che la scomparsa della Gerarchia era una conseguenza necessaria ed essenziale della sua stessa scomparsa. Anche per la Gerarchia doveva chiudersi il cerchio. Anch’essa doveva ritornare alle proprie origini.