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Ma guardare al futuro con ottimismo sembrava piuttosto difficile. Ora sapeva che nella vita potevano esserci tragedie e mutamenti; un momento la serenità e il calore, un attimo dopo l’oscurità e il freddo. Non si poteva mai sapere quando il destino avrebbe colpito qualcuno che si amava. Non esiste nulla di eterno e immutabile. La vita è una candela nel vento. Era una dura lezione per una bambina della sua età e la fece sentire vecchia, molto vecchia.

Smise di piangere e in breve riprese il controllo di sé, perché non voleva che i Lance scoprissero che aveva pianto. Se il mondo era così duro, crudele e imprevedibile, non era certo saggio mostrare anche la più piccola debolezza.

Avvolse accuratamente gli stivali, l’ombrello e la piccola sciarpa di Sir Rospo in un foglio di carta e li ripose nel vecchio baule. Una volta sistemati anche gli altri oggetti che si trovavano nei comodini, andò a svuotare la scrivania e sul tampone di feltro trovò un foglio di carta ripiegato con un messaggio per lei, in una scrittura chiara, elegante e nitida come se fosse stata stampata.

Cara Laura,

alcune cose è destino che accadano e nessuno può evitarle, neanche il tuo Custode speciale. Sii contenta di sapere che tuo padre ti ha amata con tutto il cuore, in un modo in cui poche persone avranno mai la fortuna di essere amate. Anche se adesso pensi che non sarai mai più felice, ti sbagli. A tempo debito la felicità verrà da te. E questa non è una vuota promessa, è un fatto.

Il biglietto non era firmato, ma lei sapeva chi doveva averlo scritto: l’uomo che era al cimitero, che l’aveva osservata dall’auto, che almi prima aveva salvato lei e suo padre. Nessun altro avrebbe potuto definirsi il suo Custode speciale. Si sentì percorrere da un tremito, non perché avesse paura, ma perché la stranezza e il mistero che avvolgevano quel personaggio la riempivano di curiosità e meraviglia.

Si avvicinò alla finestra della camera e tirò la tendina trasparente, certa che l’avrebbe visto lì, fermo nella strada, che guardava il negozio. Ma lui non c’era.

Neppure l’uomo vestito di nero era lì, ma lei non si era aspettata di vederlo. Era in parte convinta che l’altro sconosciuto non avesse alcuna relazione con il suo Custode, pensava che fosse al cimitero per qualche altra ragione. Certo conosceva il suo nome… ma forse aveva sentito Cora chiamarla qualche momento prima, dalla cima della collina. Era in grado di cancellarlo dalla sua mente perché non voleva che lui fosse parte della sua vita, mentre desiderava disperatamente avere un Custode speciale.

Rilesse il messaggio.

Sebbene non comprendesse chi fosse quell’uomo biondo o perché si fosse preso tanta cura di lei, Laura si sentì rassicurata dal biglietto che le aveva lasciato. Comprendere non sempre è necessario, l’importante è credere.

5

La notte seguente, dopo che aveva sistemato gli esplosivi nel solaio dell’istituto, Stefan ritornò con la stessa valigia, sostenendo ancora una volta di soffrire d’insonnia. Prevedendo quella visita notturna, Viktor gli aveva portato metà del dolce che aveva preparato sua moglie, come promesso.

Stefan sbocconcellò il dolce mentre modellava e sistemava gli esplosivi al plastico. L’enorme sotterraneo era diviso in due stanze e al contrario del solaio veniva usato giornalmente dal personale. Avrebbe dovuto nascondere le cariche e i cavi con particolare attenzione.

La prima camera conteneva i documenti relativi alla ricerca e un paio di lunghi tavoli da lavoro. Gli schedari, alti circa due metri, erano disposti in fila lungo due pareti. Riuscì a collocare gli esplosivi in cima agli schedari, nascondendoli contro le pareti, dove neppure il più alto degli addetti avrebbe potuto vederli.

Collegò i fili dietro gli schedari, anche se fu costretto a praticare un piccolo buco nella parete divisoria per far arrivare il filo di detonazione nell’altra camera. Il buco si trovava in una posizione che non avrebbe destato l’attenzione di nessuno e i cavi erano visibili solo per un paio di centimetri su entrambi i lati della parete divisoria.

La seconda stanza veniva usata come magazzino per le forniture dell’ufficio e del laboratorio e anche per ospitare tutti gli animali che avevano fatto da cavia ed erano sopravvissuti nei primi esperimenti all’istituto: numerosi criceti, qualche topolino bianco, due cani e una scimmia rinchiusa in una grande gabbia con tre sbarre su cui poteva dondolarsi. Sebbene gli animali non servissero più, venivano tenuti sotto osservazione nel caso manifestassero problemi clinici imprevisti che potevano essere collegati alle loro singolari avventure.

Stefan sistemò le potenti cariche al plastico nelle cavità che si trovavano dietro le forniture ammassate e portò tutti i cavi verso la griglia del condotto di aerazione lungo il quale aveva lasciato cadere, la notte prima, i cavi del solaio. Mentre lavorava, si accorse che gli animali osservavano con un’intensità insolita, come se sapessero che avevano meno di ventiquattr’ore da vivere. Si sentì arrossire per la vergogna, un turbamento che invece non aveva provato quando aveva pensato alla morte degli uomini che lavoravano nell’istituto.

Forse perché gli animali erano innocenti, mentre gli uomini no.

Alle quattro del mattino aveva finito. Prima di lasciare l’istituto si diresse verso il laboratorio al pianterreno e rimase a fissare per un minuto il tunnel.

Il tunnel.

I segnali dei quadranti, degli indicatori e dei grafici nella macchina del tunnel si coloravano di arancione, giallo o verde.

La «cosa» era di forma cilindrica, lunga circa quattro metri e con un diametro di tre, appena visibile nella fioca luce; l’involucro esterno in acciaio inossidabile rifletteva debolmente i segnali luminosi che lampeggiavano nella macchina che occupava tre delle pareti della stanza.

Aveva usato il tunnel migliaia di volte, ma continuava ad averne soggezione, non tanto perché fosse un’incredibile conquista scientifica, ma perché il suo potenziale distruttivo era illimitato. Non era il tunnel per l’inferno, ma nelle mani degli uomini sbagliati avrebbe anche potuto diventarlo. Ed era veramente nelle mani di uomini sbagliati.

Dopo aver ringraziato Viktor per il dolce, fece ritorno al suo appartamento.

Per la seconda notte consecutiva infuriava la tempesta. La pioggia scrosciava con violenza. L’acqua scendeva schiumante dalle grondaie, per riversarsi nei tombini, colava dai tetti e formava grandi pozzanghere nelle strade e poiché la città era immersa nell’oscurità le pozze e i rivoli sembravano scure macchie d’olio. Si aggiravano solo alcuni militari coperti da scuri impermeabili.

Stefan prese la via diretta per tornare a casa, superando senza difficoltà i posti di blocco che conosceva. I suoi documenti erano in ordine, anche il lasciapassare che gli consentiva di circolare nelle ore notturne era regolare e inoltre non stava più trasportando esplosivi.

Arrivato a casa, puntò la sveglia e si addormentò quasi subito. Aveva un disperato bisogno di dormire perché lo attendeva una giornata difficile: due viaggi pericolosi e parecchi morti. Se non fosse stato più che all’erta, avrebbe potuto trovarsi sulla pericolosa traiettoria di una pallottola.

Sognò di Laura e ciò gli parve un buon presagio.

2

La fiamma perenne

1

Come l’amaranto che viene trascinato lungo i deserti della California dalla furia del vento, così Laura Shane visse dai dodici ai diciassette anni, arrestandosi brevemente qua e là nei momenti di calma; poi, a una nuova folata di vento, veniva strappata e cominciava nuovamente a vorticare.