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«Non piacevi alla tua famiglia?» chiese Ruth.

«Hai usato il piano Ackerson?» domandò Thelma.

«No, li ho uccisi tutti nel sonno.»

«Certo che è una bella trovata», commentò Thelma.

Rebecca Bogner, la nuova ragazza, aveva undici anni. Tra lei e le Ackerson non correva buon sangue. Ascoltando Laura e le gemelle, Rebecca cominciò a dire: «Ma siete strambe, troppo strambe» e poi: «Accidenti quanto mistero», con una tale aria di superiorità e disprezzo che avvelenò l’atmosfera con un’efficacia pari a un’esplosione nucleare. Laura e le gemelle uscirono e andarono a rifugiarsi in un angolo del cortile, dove poter scambiarsi le notizie di cinque settimane, senza i commenti di Rebecca.

Era già ottobre e le giornate erano ancora calde, anche se verso le cinque del pomeriggio l’aria cominciava a diventare più frizzante. Infilarono le giacche e si sedettero sui rami più bassi di un grande albero tropicale, ormai abbandonato dai bambini più piccoli che erano già andati a prepararsi per la cena.

Non erano trascorsi cinque minuti che Willy Sheener fece la sua apparizione con una sega elettrica. Si mise a potare un’eugenia a pochi passi da loro, ma la sua attenzione era focalizzata su Laura.

A cena, l’Anguilla era come al solito dietro il bancone del self-service e distribuiva latte e fette di torta alle ciliegie. Aveva serbato la più grande per Laura.

Il lunedì mattina iniziò a frequentare una nuova scuola dove gli altri bambini avevano già avuto quattro settimane a disposizione per conoscersi e fare amicizia. Ruth e Thelma seguivano alcuni dei suoi corsi e ciò rese più facile l’adattamento, ma questa situazione non fece che rammentarle quanto instabile fosse la condizione di un’orfana.

Il martedì pomeriggio, tornando da scuola, la signora Bowmaine la fermò all’entrata. «Laura, posso vederti nel mio ufficio?»

La signora Bowmaine indossava un vestito a motivi floreali rosso porpora, che faceva a pugni con le tende e la tappezzeria del suo ufficio, dove invece i motivi floreali erano rosa pastello e color albicocca. Laura prese posto su una sedia a fiori rosa.

La signora Bowmaine era alla scrivania e intendeva sistemare in fretta la faccenda di Laura per poi passare ad altri impegni. La signora Bowmaine era uno di quei tipi sempre indaffarati, con mille cose da fare.

«Eloise Fischer è andata via oggi», le comunicò la signora Bowmaine.

«Chi si prenderà cura di lei?» chiese Laura. «So che le sarebbe piaciuto andare da sua nonna.»

«E infatti è proprio così. Andrà da sua nonna.»

Laura fu contenta per Eloise e in cuor suo sperò che quella bambina lentigginosa, con le treccine, la futura contabile, potesse trovare qualcosa in cui credere al di là dei freddi numeri.

«Ora non hai compagne», disse la signora Bowmaine. «E non c’è un letto libero altrove, quindi non potrai spostarti con…»

«Posso dare un suggerimento?»

La signora Bowmaine ebbe un fremito d’impazienza e consultò l’orologio.

Laura disse in fretta e furia: «Ruth e Thelma sono le mie migliori amiche e le loro compagne sono Tammy Hinsen e Rebecca Bogner. Ma io credo che Tammy e Rebecca non vadano tanto d’accordo con Ruth e Thelma, quindi…»

«Noi vogliamo che voi impariate a convivere anche con persone diverse da voi. Stare insieme a delle bambine con cui andate già d’accordo non è costruttivo per il vostro carattere. Resta comunque il problema che fino a domani non posso provvedere a nuove sistemazioni; oggi sono troppo occupata. Quindi voglio sapere se posso fidarmi a lasciarti sola questa notte nella tua camera.»

«Fidarsi di me?» chiese Laura un po’ confusa.

«Dimmi la verità, signorina. Posso fidarmi a lasciarti da sola stanotte?»

Laura non riusciva a immaginare che tipo di problema potesse esserci a lasciare solo un bambino per una notte. Forse si aspettava che Laura si barricasse nella stanza tanto da dover costringere la polizia a far saltare la porta.

Laura si sentì confusa e offesa. «Certo, non ci sono problemi. Non sono una bambina. Andrà tutto bene.»

«Be’… d’accordo. Dormirai da sola stanotte, ma domani sistemeremo la faccenda.»

Dopo aver lasciato l’ufficio della signora Bowmaine e avere imboccato i grigi corridoi, salendo le scale verso il terzo piano, Laura improvvisamente pensò: l’Anguilla! Sheener avrebbe sicuramente saputo che avrebbe trascorso la notte da sola. Lui sapeva tutto ciò che accadeva al McIlroy e aveva le chiavi, quindi poteva ritornare durante la notte. La sua camera era vicina alle scale dell’ala nord, perciò poteva penetrare nella sua stanza e sopraffarla in pochi secondi. L’avrebbe bastonata o drogata, infilata in un sacco di tela, l’avrebbe portata via e rinchiusa in una cantina e nessuno avrebbe più saputo nulla di lei.

Arrivata sul pianerottolo del secondo piano cambiò direzione, scese i gradini a due a due e ritornò di corsa verso l’ufficio della signora Bowmaine, ma quando girò l’angolo poco ci mancò che si scontrasse proprio con l’Anguilla. Aveva uno spazzolone e un carrello su cui erano sistemati lo strizzatoio e un secchio d’acqua profumata di pino.

Le rivolse un largo sorriso. Forse era solo la sua immaginazione, ma Laura fu certa che lui sapesse già che avrebbe trascorso la notte da sola.

Gli sarebbe passata davanti e sarebbe andata dalla signora Bowmaine a chiederle di cambiare stanza per quella notte. Non avrebbe mosso accuse contro Sheener, altrimenti avrebbe fatto la fine di Denny Jenkins: screditata agli occhi del personale, tormentata lentamente e inesorabilmente dai suoi nemici; ma avrebbe trovato una scusa plausibile per quel suo repentino ripensamento.

Considerò anche la possibilità di scagliarsi contro di lui, spingergli la testa dentro il secchio, dargli un calcio nel sedere e dirgli che lei era più cattiva di lui e che avrebbe fatto meglio a starle alla larga. Ma era diverso dai Teagel. Mike, Flora e Hazel erano gretti, petulanti, ignoranti, ma relativamente sani di mente. L’Anguilla invece era malato e non c’era modo di sapere come avrebbe reagito se l’avesse steso.

Alla sua esitazione, egli rispose con un ghigno deforme.

Un rossore colorì le pallide guance e Laura, immaginando che potesse essere una vampata di desiderio, ne fu disgustata.

Si allontanò, ma non osò correre finché non risalì le scale e fu uscita dalla sua visuale. Poi si precipitò nella stanza delle Ackerson e raccontò tutto.

«Dormirai qui stanotte», propose Ruth.

«Certo», convenne Thelma, «starai nella tua stanza finché non sarà finito il controllo della sera, poi verrai qui.»

Dal suo angolo dove, seduta sul letto, stava facendo i suoi compiti di matematica, Rebecca obiettò: «Abbiamo solo quattro letti».

«Dormirò sul pavimento», replicò Laura.

«Ma questo è contro le regole», ribattè Rebecca.

Thelma le mostrò il pugno e la guardò con aria minacciosa.

«Okay, va bene», si arrese Rebecca. «Non ho mai detto di non volere che lei rimanesse qui. Sottolineavo solo il fatto che era contro le regole.»

Laura si aspettava che Tammy protestasse, invece la ragazza rimase supina sul letto, sopra le coperte a guardare fisso il soffitto, apparentemente persa nei suoi pensieri ed estranea ai loro progetti.

Nella sala da pranzo, davanti a un piatto di carne di maiale immangiabile con contorno di purè colloso e pisellini verdi duri come legno e sotto l’occhio vigile dell’Anguilla, Thelma attaccò: «Sai perché la signora Bowmaine voleva sapere se poteva fidarsi di lasciarti da sola?… Ha paura che tenti il suicidio».

Laura era incredula.

«Dei bambini l’hanno fatto», le spiegò Ruth con tono di triste. «Ecco perché ci mettono almeno in due, anche in stanze molto piccole. Stare soli per molto tempo… pare che faccia scattare l’impulso.»