Выбрать главу

Una serie ininterrotta di lampi creò uno strano effetto ottico, il prato e la strada di fronte cominciarono a sussultare ripetutamente, come se quella scena facesse parte di un film proiettato da una cinepresa difettosa. I colori svanirono, rimasero solo il biancore accecante, un cielo senza stelle, la neve scintillante e le scure ombre terrificanti.

Mentre assisteva atterrito a quell’agghiacciante manifestazione delle forze celesti, un altro fulmine squarciò il cielo. Ma questa volta si abbattè su un lampione poco distante. Markwell lanciò un urlo. La notte si fece incandescente e la boccia di vetro andò in mille pezzi. Markwell si sentì scoppiare la testa; il pavimento della veranda sussultò. Nell’aria fredda si diffuse immediatamente un odore di ozono e di ferro rovente.

Presto non fu che silenzio, immobilità e oscurità.

Markwell aveva involontariamente ingoiato la sua caramella di menta.

Lungo la via, i vicini attoniti cominciarono a fare capolino qua e là. O forse avevano assistito a tutta la scena, ma lui li vedeva solo ora. Alcuni avanzarono a fatica nella neve per osservare da vicino il lampione colpito. Si chiamarono l’un l’altro e chiamarono anche Markwell, ma lui non rispose.

Quello spettacolo terrificante non lo aveva certo reso sobrio. Temendo che i vicini si accorgessero del suo stato di ubriachezza, fece dietrofront e rientrò in casa.

Del resto non aveva tempo da perdere; una donna stava per partorire e aveva bisogno della sua assistenza.

Cercò di riprendere il controllo di sé, prese una sciarpa di lana dall’armadio e se l’avvolse attorno al collo incrociandone le estremità sul petto. Le mani gli tremavano e le dita erano leggermente rigide, ma riuscì lo stesso ad allacciarsi il cappotto. Lottando contro il capogiro si infilò un paio di calosce.

Fu sconvolto dall’idea che quel fulmine spaventoso avesse un significato speciale per lui. Un segno, una premonizione. Sciocchezze. Era solo il whisky a ottenebrargli la mente. Ma quella sensazione l’accompagnò mentre si avviava verso il box, sollevava la saracinesca e usciva con l’auto sul vialetto, facendo scricchiolare la neve sotto le catene.

Mentre stava per scendere e andare a chiudere il box, qualcuno picchiò forte sul suo finestrino. Sbigottito, Markwell si voltò e vide un uomo, leggermente piegato, che lo fissava attraverso il vetro.

Lo sconosciuto doveva avere circa trentacinque anni e un volto dai lineamenti decisi e regolari. Sebbene il finestrino fosse leggermente appannato, la sua figura gli parve impressionante. Indossava un giaccone da marinaio con il bavero alzato. In quell’aria gelida le sue narici fumavano e quando parlò le parole uscirono avvolte da un velo di nebbia. «Il dottor Markwell?»

Markwell tirò giù il vetro. «Sì?»

«Il dottor Paul Markwell?»

«Sì, sì. Le ho già risposto. Scusi, ma non sono di turno stanotte. Devo recarmi subito da una paziente all’ospedale.»

Lo sconosciuto aveva occhi di un azzurro particolare che a Markwell ricordarono un chiaro cielo invernale riflesso nel sottilissimo ghiaccio di un laghetto appena gelato. Erano singolari, quasi affascinanti, ma seppe all’istante che erano anche gli occhi di un uomo pericoloso.

Prima che Markwell potesse inserire la marcia e raggiungere la strada, dove avrebbe potuto trovare aiuto, l’uomo gli spianò contro una pistola attraverso il finestrino aperto. «Non muoverti, stupido.»

Quando sentì la fredda canna della pistola sulla gola, il medico si rese improvvisamente conto di aver paura di morire. Da tempo pensava di poter affrontare la morte senza timore. Ma invece di esserne contento, fu assalito dal rimorso. Desiderare vivere gli sembrava quasi un tradimento nei confronti di suo figlio, a cui avrebbe potuto ricongiungersi soltanto nella morte.

«Spenga le luci, dottore. Bene. E ora anche il motore.»

Markwell estrasse la chiave dal quadro. «Chi è lei?»

«Questo non è importante.»

«Lo è per me. Che cosa vuole? Che cosa vuole fare?»

«Collabori e non le accadrà nulla. Ma se solo fa una mossa, le faccio saltare le cervella. Poi riempirò di pallottole il suo cadavere, giusto per il gusto di farlo.» Il tono della sua voce era delicato, assurdamente piacevole, ma decisamente convincente. «Mi dia le chiavi.»

Markwell gliele passò attraverso il finestrino.

«E ora venga fuori.»

Ritrovato un minimo di lucidità, Markwell scese dalla macchina. Il vento impetuoso gli sferzava il viso e per ripararsi dal nevischio dovette tenere gli occhi socchiusi.

«Prima di chiudere la portiera, alzi il finestrino.» Lo sconosciuto non gli lasciava via d’uscita. «Okay, molto bene. E ora, dottore, venga con me verso il box.»

«Ma questo è pazzesco. Che cosa…»

«Si muova.»

Lo sconosciuto camminava al fianco di Markwell, tenendolo per il braccio sinistro. Anche se qualcuno, dalle case adiacenti o dalla strada, stava osservando la scena, non avrebbe comunque potuto accorgersi dell’arma a causa dell’oscurità e del nevischio.

Una volta nel box Markwell, eseguendo gli ordini dello sconosciuto, calò la saracinesca. I cardini, freddi e un po’ arrugginiti, cigolarono.

«Se è del denaro che vuole…»

«Stia zitto ed entri in casa!»

«Senta, c’è una paziente all’ospedale che sta per partorire…»

«Se non chiude quella bocca, le faccio saltare tutti i denti con il calcio della pistola, così poi non potrà più parlare.»

Markwell capì che l’avrebbe fatto. Alto circa un metro e ottanta, robusto, l’uomo aveva più o meno la corporatura di Markwell, ma in più incuteva timore. La neve che si era depositata sui suoi capelli biondi stava sciogliendosi e a mano a mano che le gocce gli cadevano sulle sopracciglia e lungo le tempie assumeva sempre più l’aspetto di un essere non umano, come una statua di ghiaccio a una festa invernale. Markwell non aveva dubbi che in uno scontro fisico lo sconosciuto avrebbe vinto contro più di un avversario, specialmente contro un dottore di mezza età, privo di forze e per giunta ubriaco.

Bob Shane si sentiva soffocare nell’angusta saletta d’attesa del reparto maternità. La stanza aveva un controsoffitto isolante, le pareti erano verde pallido e l’unica finestra era incorniciata da neve ghiacciata. L’aria era troppo calda. Le sei sedie e i due tavoli erano eccessivi per quello spazio ristretto. Sentì il bisogno impellente di spalancare la porta, uscire nel corridoio, correre all’altra estremità dell’ospedale, attraversare l’entrata principale e uscire nel freddo della sera, lasciando dietro di sé quell’odore di antisettici e di malattia.

Rimase dov’era, per stare vicino a Janet qualora avesse avuto bisogno di lui. Qualcosa non andava. Era prevedibile che il travaglio del parto fosse doloroso, ma non così penoso come le contrazioni prolungate e laceranti che avevano tormentato Janet per così lungo tempo. I medici non volevano ammettere che erano sorte delle gravi complicazioni, ma la loro preoccupazione era palese.

Bob capì il motivo di quella sua claustrofobia. In realtà non aveva paura di rimanere chiuso fra quelle pareti. Ciò che lo stava minacciando, in quel momento, era la morte, forse quella di sua moglie o del suo bambino non ancora nato, oppure la morte di entrambi.

I battenti della porta si aprirono ed entrò il dottor Yamatta.

Nell’alzarsi, Bob urtò contro un tavolo, facendo cadere a terra una pila di giornali. «Come sta, dottore?»