Выбрать главу

Thelma riprese: «Non permetteranno mai che io e Ruth dividiamo una delle stanze piccole poiché, visto che siamo due gemelle identiche, pensano che siamo proprio come una persona sola. Sono convinti che appena chiusa la porta ci potremmo impiccare».

«Ma questo è ridicolo», sospirò Laura.

«Certo che è ridicolo», confermò Thelma. «L’impiccagione è un tipo di suicidio non sufficientemente spettacolare. Le sorprendenti sorelle Ackerson, Ruth e moi, hanno un debole per i drammi. Piuttosto faremmo hara-kiri con coltelli rubati in cucina, oppure se potessimo procurarci una motosega…»

Nel salone le conversazioni si tenevano con toni sottovoce, perché il personale passava fra i tavoli per tenere sotto controllo la situazione. La signorina Keist, una delle insegnanti interne, passò dietro il tavolo dove Laura sedeva con le Ackerson e Thelma bisbigliò: «Gestapo».

Quando la signorina Keist fu passata, Ruth continuò: «Le intenzioni della signorina Bowmaine sono buone, ma il suo problema è che non ci sa fare. Se solo avesse dedicato un po’ del suo tempo per capire che tipo di persona sei, Laura, non si sarebbe certo preoccupata di un tentato suicidio. Tu sei una che sopravvive.»

Mentre raccoglieva sul bordo del piatto quel cibo decisamente immangiabile, Thelma riprese: «Tammy Hinsen una volta è stata trovata nel bagno con un pacchetto di lamette, mentre cercava il punto giusto per tagliarsi le vene».

Laura fu improvvisamente impressionata da quel misto di umorismo e tragedia, di assurdità e di estremo realismo, che caratterizzava la loro vita al McIlroy. Un attimo prima si prendevano in giro scherzosamente e subito dopo stavano discutendo le tendenze suicide delle ragazze che conoscevano. Realizzò che si trattava di un’introspezione che andava al di là della sua età e appena fu ritornata nella sua stanza annotò quella considerazione sul diario che aveva appena iniziato.

Ruth era riuscita a risputare sul piatto il cibo. «Un mese dopo l’incidente delle lamette», incalzò, «organizzarono una perquisizione a sorpresa nella nostra stanza, alla ricerca di oggetti pericolosi. Scoprirono che Tammy aveva una lattina di benzina e dei fiammiferi. La sua intenzione era quella di andare nelle docce, cospargersi di benzina e darsi fuoco».

«Oh, mio Dio.» Laura pensò all’esile e pallida biondina, con le borse sotto gli occhi, e le sembrò che il suo piano di immolarsi fosse solo un desiderio di accelerare il lento fuoco che da tanto tempo la stava consumando dall’interno.

«La mandarono via per circa due mesi in terapia intensiva», riprese Ruth.

«Quando tornò», continuò Thelma, «i grandi affermarono che era migliorata, ma a noi sembrò uguale.»

Dieci minuti dopo che la signorina Keist aveva terminato il suo giro notturno nelle camere, Laura lasciò il suo letto. Il corridoio deserto del terzo piano era illuminato solo da tre lumicini. In pigiama, con un cuscino e una coperta, si affrettò a piedi nudi verso la stanza delle Ackerson.

Solo la lampada sul comodino di Ruth era accesa. Sussurrò: «Laura, tu dormi nel mio letto. Io mi sono sistemata sul pavimento».

«Be’, rimetti a posto tutto e torna nel tuo letto», le ordinò Laura.

Ripiegò più volte la coperta per fare un giaciglio morbido sul pavimento, che sistemò ai piedi del letto di Ruth, dopodiché vi si sdraiò con il suo cuscino.

Dal suo letto Rebecca Bogner borbottò: «Finiremo tutte nei guai per questa faccenda».

«Ma che cos’hai paura che ci facciano?» chiese Thelma. «Che ci leghino a un palo, ci cospargano di miele e ci lascino in pasto alle formiche?»

Tammy stava dormendo o fingeva di dormire.

Ruth spense la luce e si ritrovarono immerse nell’oscurità.

La porta si spalancò e la luce centrale venne accesa. Vestita di rosso, lo sguardo torvo e minaccioso, la signorina Keist entrò nella stanza. «Ah, è così! Laura, che cosa stai facendo qui?»

Rebecca Bogner disse in tono di disapprovazione: «Ve l’avevo detto che ci saremmo cacciate nei guai».

«Torna immediatamente nella tua stanza, signorina.»

La tempestività con cui era apparsa la signorina Keist parve un po’ sospetta e Laura rivolse lo sguardo a Tammy Hinsen. La biondina non stava più fingendo di dormire; ora stava appoggiata su un gomito e sorrideva. Evidentemente aveva deciso di aiutare l’Anguilla, forse nella speranza di ritornare a essere la sua preferita.

La signorina Keist scortò Laura nella sua stanza. Laura si infilò nel letto e la signorina Keist la guardò per un momento. «Fa caldo, aprirò la finestra.»

Ritornando accanto al letto, fissò Laura attentamente. «C’è qualcosa che vuoi dirmi? C’è qualcosa che non va?»

Laura prese in considerazione per un istante la possibilità di raccontarle dell’Anguilla. Ma che cosa sarebbe successo se la signorina Keist avesse aspettato di cogliere l’Anguilla sul fatto e se lui non si fosse presentato? Laura non avrebbe mai più potuto accusare l’Anguilla, perché aveva un precedente; nessuno l’avrebbe più presa sul serio. Perciò anche se Sheener l’avesse violentata, l’avrebbe fatta franca.

«No, va tutto bene», rispose Laura.

A questo punto la signorina Keist osservò: «Thelma è troppo sicura di se stessa per una ragazza della sua età e se sei così sciocca da trasgredire ancora ai regolamenti solo per il gusto di trascorrere tutta la notte a pettegolare, allora ti consiglio di sceglierti delle amiche per cui valga la pena di correre il rischio».

«Sì, signorina», le concesse Laura, giusto per disfarsi di lei, pentendosi di aver pensato anche solo per un momento di manifestare i propri timori a quella donna.

Dopo che la signorina Keist ebbe lasciato la stanza, Laura non si mosse. Rimase nell’oscurità, certa che nel giro di mezz’ora ci sarebbe stato un altro controllo. Di sicuro l’Anguilla non si sarebbe presentato prima di mezzanotte. Erano solo le dieci, perciò aveva tutto il tempo necessario per raggiungere un posto sicuro.

Lontano, molto lontano nella notte, si udì il brontolio di un tuono. Si sedette nel letto. Il suo Custode! Gettò via le coperte e corse alla finestra. Non vide nessun lampo. Il lontano brontolio si spense. Forse non era stato affatto un tuono. Attese dieci minuti, o forse di più, ma non successe più nulla. Delusa, tornò a letto.

Erano da poco passate le dieci e mezzo, quando la maniglia della porta scricchiolò. Chiuse gli occhi, socchiuse la bocca e si finse addormentata.

Qualcuno entrò silenziosamente nella stanza e si fermò accanto al suo letto.

Il respiro di Laura era lento, regolare, profondo, ma il cuore le batteva forte.

Era Sheener. Sapeva che era lui. Mio Dio, aveva dimenticato che non era normale, che era imprevedibile e ora era lì. Era arrivato prima di quanto avesse previsto, pronto a farle un’iniezione. L’avrebbe infilata in un sacco di tela e l’avrebbe portata via, vestendo i panni di un Babbo Natale impazzito venuto a rapire i bambini, invece di lasciare i regali.

L’orologio ticchettava. La brezza fece ondeggiare le tendine.

Alla fine la persona accanto al letto si ritirò e la porta si chiuse.

Era la signorina Keist.

Scossa da tremiti violenti, Laura scese dal letto e si infilò la vestaglia. Piegò la coperta sotto il braccio e lasciò la stanza senza pantofole: a piedi nudi avrebbe fatto meno rumore.

Non poteva ritornare nella stanza delle Ackerson. Si diresse perciò verso le scale dell’ala nord, aprì con cautela la porta e si affacciò sul pianerottolo appena illuminato. Tese l’orecchio, certa di udire i passi dell’Anguilla al piano di sotto. Scese guardinga, aspettandosi di incontrare Sheener da un momento all’altro, ma raggiunse il pianterreno sana e salva.