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Intirizzita dal freddo, trovò rifugio nella sala giochi. Rimase lì, immersa nel bagliore spettrale dei lampioni che filtrava dalle finestre dando una sfumatura argentea ai mobili. Si fece strada fra le sedie e i tavoli e si coricò dietro il divano.

Il suo sonno fu irregolare, interrotto più volte da incubi. Di notte, il vecchio palazzo era animato da rumori sinistri: gli scricchiolii prodotti dalle assi di legno del pavimento e i sussulti del vecchio impianto idraulico.

8

Stefan spense tutte le luci e rimase ad attendere in quella camera da letto ammobiliata per un bambino. Alle tre e mezzo del mattino udì Sheener rientrare. Stefan si mosse silenziosamente dietro la porta della camera. Qualche minuto dopo entrò Willy, accese le luci e si diresse verso il materasso. Mentre attraversava la stanza, emise un suono strano, tra il sospiro e l’uggiolio di un animale che scappa da un mondo ostile per trovare rifugio nella sua tana.

Stefan chiuse la porta e Sheener si voltò di scatto a quel rumore, sconvolto all’idea che il suo nido fosse stato invaso. «Chi… chi è lei? Che diavolo sta facendo qui?»

Da un’auto parcheggiata nell’oscurità, dall’altro lato della strada, Kokoschka osservò Stefan uscire dalla casa di Willy Sheener.

Attese dieci minuti, scese dall’auto e si diresse sul retro del bungalow, trovò la porta spalancata e si introdusse nella casa con molta cautela.

Trovò Sheener nella sua stanzetta, picchiato a sangue, immobile. Nell’aria aleggiava un fetore di urina, perché l’uomo aveva perso il controllo della vescica.

Un giorno, pensò Kokoschka con feroce determinazione e un fremito di sadismo, ridurrò Stefan in uno stato anche peggiore di questo. Lui e quella dannata bambina. Quando avrò compreso quale ruolo gioca nei suoi piani e perché si sposta attraverso i decenni per rimodellare la sua vita, allora li sottoporrò a sofferenze tali che nessuno può nemmeno immaginare.

Lasciò la casa di Sheener e una volta all’aperto guardò per un momento il cielo trapunto di stelle, poi fece ritorno all’istituto.

9

Subito dopo l’alba, prima che gli inservienti si destassero e quando ormai aveva compreso che il pericolo era passato, Laura tornò nella sua stanza: tutto era come l’aveva lasciato. Nessun segno che durante la notte fosse stata visitata da un intruso.

Esausta, gli occhi cerchiati, si chiese se non avesse dato troppo peso a tutta quella faccenda e si sentì un po’ ridicola.

Rifece il letto — un compito che ogni bambino al McIlroy era tenuto a fare — e quando sollevò il cuscino rimase paralizzata: sul lenzuolo era posata un’unica caramella.

Quel giorno l’Anguilla non si presentò al lavoro. Aveva trascorso tutta la notte a preparare il rapimento di Laura e senza dubbio aveva bisogno di dormire.

«Io mi chiedo come faccia un uomo del genere a dormire», chiese Ruth quando si incontrarono in un angolo del cortile dopo la scuola. «Intendo dire, la sua coscienza non lo fa stare sveglio?»

«Ruth», la corresse Thelma, «lui non ha una coscienza.»

«Ma tutti ce l’hanno, anche i peggiori fra noi. Così ci ha fatti il Signore.»

«Shane», la mise in guardia Thelma, «preparati ad assistermi in un esorcismo. La nostra Ruth è ancora una volta posseduta da quello spirito cretino di Gidget.»

In un insolito impeto di generosità, la signora Bowmaine trasferì Tammy e Rebecca in un’altra stanza e consentì a Laura di sistemarsi con Ruth e Thelma. Per il momento il quarto letto rimase vacante.

«Sarà il letto di Paul McCartney», propose Thelma mentre con Ruth aiutava Laura a sistemarsi. «Tutte le volte che i Beatles saranno in città, Paul potrà venire qui e usarlo. E io userò Paul!»

«A volte», la rimproverò Ruth, «sei veramente imbarazzante.»

«Ehi, sto solo esprimendo un sano desiderio sessuale.»

«Ma Thelma, hai soltanto dodici anni!» la riprese Ruth in tono esasperato.

«Quasi tredici, prego. Da un giorno all’altro possono venirmi le mestruazioni. Ci sveglieremo un bel mattino e ci sarà tanto sangue in questa stanza che sembrerà che ci sia stato un massacro.»

«Thelma!»

Sheener non si presentò neppure il giovedì. I suoi giorni di riposo, quella settimana, erano venerdì e sabato, perciò il sabato sera Laura e le gemelle cominciarono a fare delle congetture sul fatto che l’Anguilla non si sarebbe più fatto vedere, che probabilmente era stato investito da un camion, oppure che aveva contratto il beriberi.

Ma la domenica mattina Sheener era di nuovo al suo posto. Aveva gli occhi neri, l’orecchio destro bendato, il labbro superiore gonfio, una lunga ferita gli segnava la guancia sinistra e gli mancavano due denti davanti.

«Forse è stato colpito da un camion», sussurrò Ruth mentre procedevano lungo il bancone del self-service.

Anche altri bambini stavano commentando lo stato di Sheener, e alcuni ridacchiavano. Ma dato che tutti provavano paura o disprezzo, nessuno si preoccupò di chiedergli che cosa gli fosse successo.

Laura, Ruth e Thelma si fecero silenziose e più si avvicinavano a lui, più appariva malconcio. Dovevano essere già trascorsi un paio di giorni, ma gli occhi erano ancora tumefatti; all’inizio dovevano essere stati così gonfi da non riuscire nemmeno ad aprirli. Il labbro era pieno di profonde escoriazioni. In quelle parti del volto che non presentavano lividi o abrasioni, la pelle, solitamente bianca come il latte aveva uno strano colore grigiastro. Sotto la massa di capelli rossicci, la sua figura era ridicola: sembrava un clown che fosse rotolato giù da una rampa di scale senza sapere bene come atterrare.

Non guardò in faccia nessuno dei bambini che stava servendo, ma tenne gli occhi fissi sui cartoni del latte e sulle paste. Sembrò agitarsi all’arrivo di Laura, ma non alzò lo sguardo.

Giunte al loro tavolo, Laura e le gemelle sistemarono le sedie in modo tale da poter osservare l’Anguilla. Solo un’ora prima non avrebbero mai previsto un simile capovolgimento della situazione. In quelle condizioni appariva quasi più indifeso che temibile. Invece di evitarlo, passarono la giornata a seguirlo mentre svolgeva i suoi lavori, cercando di avere l’aria di capitare proprio per caso dove si trovava lui e osservandolo furtivamente. Fu presto chiaro che era conscio della presenza di Laura, ma che evitava in tutti i modi di guardarla. Con gli altri bambini si comportava in modo diverso, anzi, in un’occasione si era addirittura fermato un attimo nella sala dei giochi a parlare con Tammy Hinsen, mentre sembrava temere lo sguardo di Laura.

Sul finire della mattinata Ruth dichiarò: «Laura, ha paura di te».

«È proprio vero», confermò Thelma. «Non sarai per caso stata tu a ridurlo così, Shane? Non ci avrai nascosto il fatto che sei cintura nera di karaté?»

«È veramente strano, vero? Perché ha paura di me?»

Ma lei lo sapeva. Il suo Custode. Anche se aveva pensato che avrebbe dovuto affrontare Sheener da sola, il suo Custode era intervenuto ancora una volta, avvertendo Sheener di starle alla larga.

Non era ben sicura del perché fosse così riluttante a rivelare la storia del suo misterioso Custode alle Ackerson. In fondo erano le sue migliori amiche, si fidava di loro, ma sentiva che il segreto del suo Custode doveva rimanere tale, che quel poco che sapeva di lui era sacro e che non aveva nessun diritto di parlare di lui ad altre persone, facendone un argomento di pettegolezzo.

Nelle due settimane che seguirono, i lividi di Sheener si fecero sempre meno evidenti e quando si tolse la benda dall’orecchio si scoprì una profonda sutura che era stata praticata su un lembo di cartilagine che era stato quasi staccato. Continuava a mantenere le distanze da Laura e quando la serviva nella sala da pranzo non serbava più per lei i dolci migliori e continuava a rifiutarsi di incontrare il suo sguardo.