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Non poteva accadere tutto così. Non era giusto, dannazione!

Con la forza della disperazione Laura si liberò dal corpo di Sheener e si trascinò velocemente accanto alla madre.

Nina giaceva priva di forze, gli splendidi occhi spalancati, vitrei.

Laura accostò la mano insanguinata al collo di Nina, alla ricerca di una vena che pulsasse. Pensò di averne trovata una. Debole, irregolare, ma sempre una pulsazione.

Tolse un cuscino dalla sedia e lo sistemò sotto la testa di Nina, poi corse in cucina dove i numeri di telefono della polizia e dei vigili del fuoco erano scritti accanto al telefono. Tremante, riferì quanto era successo e diede il loro indirizzo.

Quando appese, sapeva che ogni cosa si sarebbe risolta al meglio, perché aveva già perso suo padre a causa di un infarto, e sarebbe stato troppo assurdo perdere Nina nello stesso modo. La vita aveva dei momenti assurdi, certo, ma la vita in sé non era assurda. La vita era strana, difficile, miracolosa, preziosa, incerta, misteriosa, ma non totalmente assurda. Perciò Nina sarebbe vissuta, perché la sua morte non aveva senso.

Ancora spaventata e preoccupata, ma in un certo senso sollevata, Laura tornò di corsa nel salone, si inginocchiò accanto alla madre e le rimase vicino.

Newport Beach offriva dei servizi di emergenza di prim’ordine. L’ambulanza arrivò nel giro di tre o quattro minuti. I due paramedici erano efficienti e ben attrezzati. Non ci misero molto a pronunciarsi: Nina era morta. E non c’era dubbio che fosse morta nel momento in cui si era accasciata sul pavimento.

10

Una settimana dopo Laura fece ritorno al McIlroy e otto giorni prima di Natale, la signora Bowmaine riassegnò il posto vacante nella stanza delle Ackerson a Tammy Hinsen. In un insolito incontro privato con Laura, Ruth e Thelma, l’assistente sociale spiegò il ragionamento che stava alla base di quella decisione. «Lo so che pensate che Tammy con voi non sia felice, ma dopotutto sembra che si trovi meglio da voi che in qualsiasi altro posto. L’abbiamo messa in diverse stanze, ma gli altri bambini non riescono a tollerarla. Non so che cosa ci sia in quella bambina che la rende una reietta, ma i suoi compagni finiscono per usarla come fosse un punching-ball.»

Una volta tornate nella loro stanza, prima che Tammy arrivasse, Thelma si sistemò sul pavimento, le gambe ripiegate nella posizione del loto, con le caviglie che poggiavano contro le anche. Aveva cominciato a interessarsi di yoga quando i Beatles si erano accostati alla meditazione orientale e sosteneva che quando finalmente avrebbe incontrato Paul McCartney (destino inconfutabile questo), sarebbe stato bello avere qualcosa in comune, «e questo sarà possibile solo se posso parlare con una certa autorità di questo cacchio di yoga».

Invece di concentrarsi nella meditazione, Thelma disse: «Che cos’avrebbe fatto quella caprona se le avessi detto: ‘Signora Bowmaine, i bambini non sopportano Tammy perché si è lasciata abbindolare dall’Anguilla, e non solo, lo ha anche aiutato a individuare delle altre bambine vulnerabili, perciò, per quel che ne pensano loro, lei è il nemico’. Che cos’avrebbe fatto quella bestia della Bowmaine se le avessi spiattellato tutto questo?»

«Ti avrebbe detto che eri una brutta bertuccia bugiarda», sentenziò Laura lasciandosi cadere sul letto.

«Senza dubbio, e poi mi avrebbe fatto arrosto. Ma ci pensi a quant’è grossa quella donna? Si allarga di settimana in settimana. Qualsiasi persona di quella stazza è pericolosa, un onnivoro famelico capace di mangiarsi il primo bambino che gli capita vicino, ossa e tutto quanto, e con la stessa naturalezza con cui ingollerebbe una pinta di birra.»

Ruth era alla finestra e guardava i bambini che giocavano nel cortile: «Non è giusto il modo in cui trattano Tammy».

«La vita non è giusta», decretò Laura.

«La vita non è tutta rose e fiori», aggiunse Thelma. «E poi, per carità, Shane, non cercare di filosofeggiare quando ciò che hai da dire sono solo delle banalità. Lo sai bene che qui odiamo le banalità solo leggermente meno di quanto odiamo accendere la radio e sentire Bobbie Gentry che canta Ode to Billy Joe.»

Quando Tammy arrivò, un’ora più tardi, Laura era nervosa. Dopotutto aveva ucciso Sheener e Tammy era sempre stata succube di lui. Si aspettava che fosse furiosa, invece la bambina la salutò con un sorriso triste, sincero e timido.

Dopo qualche giorno divenne chiaro che Tammy considerava la perdita delle attenzioni dell’Anguilla con un dispiacere perverso, ma anche con sollievo. Quel temperamento feroce che aveva rivelato quando aveva distrutto i libri di Laura si era spento. Era nuovamente la bambina slavata, ossuta e sciatta che Laura aveva visto quando era arrivata al McIlroy, più un’apparizione che una persona reale, un essere che da un momento all’altro poteva dissolversi in fumoso ectoplasma e disperdersi completamente alla prima folata di vento.

Dopo la morte dell’Anguilla e di Nina Dockweiler, Laura dovette sottoporsi a delle sedute di mezz’ora con il dottor Boone, uno psicoterapeuta che esercitava al McIlroy ogni martedì e sabato. Boone non riusciva a capire come Laura potesse superare lo choc dell’aggressione di Willy Sheener e la morte tragica di Nina senza alcun danno psicologico. Era stupito di fronte all’analisi articolata che Laura faceva dei propri sentimenti e ai termini con cui esprimeva la sua presa di coscienza rispetto agli eventi accaduti a Newport Beach. Il fatto di riuscire a superare tutto, ad assorbire qualunque cosa la vita le presentasse, le veniva dal fatto che era orfana di madre, che aveva perso suo padre e che aveva affrontato numerose situazioni drammatiche, ma soprattutto perché aveva beneficiato dell’amore immenso di suo padre. Tuttavia, anche se riusciva a parlare di Sheener con distacco e di Nina più con affetto che con tristezza, lo psichiatra giudicò il suo atteggiamento come puramente apparente e non reale.

«Quindi sogni Willy Sheener?» le chiese nella piccola stanza riservata.

«Ho sognato di lui solo due volte. Ovviamente erano incubi. Ma tutti i bambini li hanno.»

«Ma sogni anche di Nina. Anche quelli sono degli incubi?»

«Oh, no! Sono dei sogni bellissimi.»

Lo psichiatra sembrò sorpreso da quella risposta. «Quando pensi a Nina provi tristezza?»

«Sì. Ma anche… ricordo quanto era buffo andare in giro per negozi con lei, a provare i vestiti. Ricordo il suo sorriso e la sua risata.»

«E sensi di colpa? Non ti senti in colpa per ciò che è accaduto a Nina?»

«No. Forse Nina non sarebbe morta se io non mi fossi trasferita da loro e non avessi trascinato con me Sheener, ma non posso sentirmi in colpa per questo. Ho fatto del mio meglio per essere una buona figlia per loro e loro erano contenti di me. Ciò che è accaduto è che la vita ci ha tirato addosso un’enorme torta alla crema e questo non è colpa mia; non si può mai sapere quando ti tirano una torta alla crema. Se si vede arrivare la torta non c’è più il divertimento.»

«Torta alla crema?» chiese il dottore al colmo della perplessità. «Tu consideri la vita come una farsa grossolana? Come i Three Stooges?»

«In parte.»

«Allora la vita è solo un gioco?»

«No. La vita è una cosa seria e un gioco allo stesso tempo.»