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«È sempre uguale.» Yamatta era un uomo magro, di bassa statura, con un viso gentile e grandi occhi tristi. «Il dottor Markwell sarà qui fra poco.»

«Non state certo aspettando lui per somministrarle le cure di cui ha bisogno, vero?»

«No, certo. Non si preoccupi. Sta ricevendo tutte le cure del caso. Ho solo pensato che le avrebbe dato un po’ di sollievo sapere che il vostro medico sta per arrivare.»

«Oh, sì certo… grazie. Senta, dottore, posso vederla?»

«Non ancora», rispose Yamatta.

«E quando, allora?»

«Quando sarà… meno spossata.»

«Ma che razza di risposta è questa? Quando sarà meno spossata? Quando diavolo finirà di soffrire così?» Si pentì immediatamente di quello scoppio d’ira improvviso. «Io… mi dispiace dottore. Solo che… ho paura.»

«Lo so. Lo so.»

Una porta interna collegava il box di Markwell alla casa. Attraversarono la cucina e percorsero il corridoio al pianterreno, accendendo le luci mentre passavano e lasciando impronte bagnate sul pavimento.

L’uomo armato diede un’occhiata in tutte le stanze, nella sala da pranzo, nel salotto, nello studio, nell’ambulatorio e nella sala d’attesa, poi ordinò: «Di sopra».

Nella camera da letto inciampò in una delle lampade. Prese la sedia che si trovava accanto al tavolo da toeletta e la mise al centro della stanza.

«Dottore, per favore, si tolga i guanti, il cappotto e la sciarpa.»

Markwell obbedì, lasciando cadere gli indumenti sul pavimento, e a un ordine dell’uomo armato si sedette sulla sedia.

Lo sconosciuto posò la pistola sul tavolo e dalla tasca tirò fuori una fune arrotolata. Da sotto il giaccone estrasse un piccolo coltello dalla lama larga che evidentemente teneva in una guaina agganciata alla cintura. Tagliò la fune in tanti pezzi per legare Markwell alla sedia.

Il dottore fissò la pistola che era rimasta sul tavolo, calcolando velocemente le possibilità di battere sul tempo il suo avversario, ma quando incontrò il suo sguardo glaciale si rese conto di essersi tradito.

L’uomo sorrise, come per dire: «Forza, provaci».

Ma Paul Markwell voleva vivere. Si mostrò docile e rassegnato mentre lo sconosciuto lo legava, mani e piedi, alla sedia.

Strinse bene i nodi, ma non tanto da fargli male, quasi a dimostrare riguardo per il suo prigioniero. «Non voglio imbavagliarla. Ubriaco com’è, se le metto uno straccio intorno alla bocca, potrebbe vomitare e rimanermi lì stecchito. In un certo qual senso mi fido di lei. Ma provi solo a gridare aiuto e la farò fuori in men che non si dica. Chiaro?»

«Sì.»

Quando parlava un po’ più a lungo si notava un vago accento, ma così leggero che Markwell non riuscì a identificarlo. Si mangiava le finali di alcune parole e solo occasionalmente la sua pronuncia aveva una nota gutturale a malapena percettibile.

Lo sconosciuto si sedette sul bordo del letto e prese il telefono. «Qual è il numero dell’ospedale?»

Markwell sbarrò gli occhi. «Perché?»

«Accidenti, le ho chiesto il numero! Se non me lo dà, giuro che piuttosto che guardare sulla guida glielo faccio cacciare fuori con la forza.»

Impaurito da quelle parole, Markwell gli diede il numero.

«Chi è di turno stanotte?»

«Il dottor Carlson. Herb Carlson.»

«È un brav’uomo?»

«Che cosa intende?»

«Come medico è più bravo di lei, oppure è anche lui un ubriacone?»

«Io non sono un ubriacone. Io ho…»

«Lei non è che un irresponsabile. Un uomo che non fa che autocommiserarsi, un uomo che l’alcol ha ridotto a un rottame e lo sa meglio di me. Risponda alla mia domanda, dottore. Carlson è affidabile?»

L’improvvisa nausea che Markwell accusò era dovuta solo in parte alla quantità di alcol ingerita; l’altra causa era il rifiuto della verità di ciò che lo sconosciuto aveva detto. «Sì, Herb Carlson è un bravo medico. Un ottimo medico.»

«Chi è l’infermiera di turno stanotte?»

Markwell dovette pensarci un momento. «Ella Hanlow, credo. Non ne sono sicuro. Se non è Ella, è Virginia Keene.»

Lo sconosciuto chiamò l’ospedale e disse che parlava a nome del dottor Paul Markwell. Chiese di Ella Hanlow.

Una raffica di vento colpì con violenza la casa, fece sbattere una finestra malchiusa e passò sibilando sotto le grondaie; solo allora Markwell si ricordò della tormenta. Mentre guardava la neve cadere si sentì invadere ancora una volta da un senso di disorientamento. La serata era così densa di avvenimenti, con quel fulmine e l’apparizione inspiegabile di quell’intruso, che improvvisamente gli sembrò irreale. Diede uno strattone alle funi che lo legavano alla sedia, con la certezza che si trattasse solo di un brutto sogno e che come una sottilissima ragnatela si sarebbero dissolte nel nulla. Invece era tutto reale e lo sforzo gli diede nuovamente un senso di vertigine.

Al telefono lo sconosciuto disse: «Infermiera Hanlow? Il dottor Markwell non è in grado di venire in ospedale stasera. Una delle sue pazienti, Janet Shane, ha un parto piuttosto difficile. Come? Sì, certamente. Vuole che se ne occupi il dottor Carlson. No, no, mi dispiace, ma è impossibile che ce la faccia. No, non è per il tempo, è ubriaco. Sì, esatto. Sarebbe pericoloso per la paziente. No… è così ubriaco che è inutile che glielo passi. Mi dispiace. In questi ultimi tempi ha cominciato a bere parecchio, cercando di nasconderlo, ma questa notte è in condizioni pietose. Io? Sono un vicino. Okay, grazie, infermiera. Addio».

Markwell era furente ma con una certa sorpresa anche sollevato perché il suo segreto era stato svelato. «Bastardo, mi ha rovinato!» esclamò.

«No, dottore. Lei si è rovinato con le sue stesse mani. L’odio che lei prova per se stesso sta distruggendo la sua carriera e ha anche allontanato sua moglie. Il vostro matrimonio era già in crisi, ma si sarebbe potuto salvare se Lenny fosse vissuto, e forse anche dopo la sua morte, se lei non avesse deciso di non sperare più.»

Markwell era incredulo. «Ma come diavolo fa a sapere che cosa è successo fra me e Anna? E come fa a sapere di Lenny? Io non l’ho mai incontrata prima d’ora. Come sa tutte queste cose di me?»

Come se non avesse neppure sentito quelle domande, lo sconosciuto sistemò un paio di cuscini contro la testata del letto, appoggiò gli stivali sporchi e bagnati sulle coperte e si stiracchiò. «So come si sente, ma la responsabilità della morte di suo figlio non è sua. Lei è soltanto un medico, non un santone. Perdere Anna, questo sì, è stata colpa sua. E il fatto che ora costituisca un pericolo per i suoi pazienti, anche questo è colpa sua.»

Markwell stava per obiettare, ma lanciò un gemito e abbandonò il capo sul petto.

«Sa qual è il suo problema, dottore?»

«Immagino che lei me lo potrà dire.»

«Il suo problema è che non ha mai dovuto lottare per qualcosa, non sa che cosa siano le avversità. Suo padre era benestante e lei ha sempre avuto ciò che voleva, ha sempre frequentato le scuole migliori. E nonostante abbia sempre avuto successo nella sua professione, non ha mai avuto realmente bisogno di denaro, aveva la sua eredità. Perciò, quando Lenny si ammalò di poliomielite, lei si trovò a non sapere come affrontare quella difficoltà, perché la vita non gliene aveva mai dato prima l’occasione. Non era stato vaccinato e non avendo difese lei è stato colpito da una grave crisi di disperazione.»

Markwell sollevò la testa, sbattè gli occhi per riacquistare una visione chiara, poi mormorò: «Non ci posso credere».

«Tutta questa sofferenza le ha insegnato qualcosa, Markwell, e se si terrà lontano dall’alcol quanto basta per riuscire a ragionare lucidamente, potrà anche ritornare in carreggiata. Ha ancora una piccola possibilità di redimersi.»