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Laura aveva pensato che lavorare e vivere in continua felicità, armonia e sicurezza, giorno dopo giorno, avrebbe reso pigra la sua mente, che l’ispirazione avrebbe sofferto di quell’eccessiva felicità, che avrebbe avuto bisogno di una vita più equilibrata, con alti e bassi, per continuare a essere creativa. Ma l’idea che un artista avesse bisogno di soffrire per produrre le sue opere migliori era un luogo comune. Più era felice e meglio scriveva.

Sei settimane prima del loro primo anniversario di matrimonio, Laura mise la parola fine a Jericho Nights e ne inviò una copia a Spencer Keene, l’agente letterario di New York che aveva risposto favorevolmente a una sua lettera. Due settimane più tardi Keene la chiamò per annunciarle che avrebbe proposto il libro a varie case editrici e che si aspettava di venderlo in breve tempo. Con una rapidità che stupì persino l’agente, vendette il libro alla Viking, la prima casa editrice a cui l’aveva sottoposto, per un modesto ma rispettabile anticipo di quindicimila dollari e il contratto venne definito venerdì 14 luglio 1978, due giorni prima del loro anniversario.

4

Il posto che aveva intravisto dalla strada, trecento metri più a monte, era una taverna ristorante celata sotto enormi pini gialli. Gli alberi si elevavano per più di sessanta metri, erano carichi di grandi pigne e avevano le cortecce spesse e piene di fessure. Alcuni rami erano ricurvi sotto il peso della neve delle precedenti bufere. L’edificio a un piano era fatto di tronchi d’albero. Era così nascosto fra gli alberi su tre lati che il tetto d’ardesia era ricoperto più dagli aghi dei pini che dalla neve. Le finestre erano appannate e la luce proveniente dall’interno veniva piacevolmente diffusa da quella pellicola semitrasparente che si era formata sul vetro.

Nel parcheggio di fronte si erano fermate due jeep, due autocarri e una Thunderbird. Tranquillizzato dal fatto che nessuno poteva vederlo dalle finestre della taverna, Stefan si diresse immediatamente verso una delle jeep e dopo essersi accertato che fosse aperta si sistemò al posto di guida e chiuse la portiera.

Estrasse la Walther PPK/S.380 dalla fondina legata alla spalla e la posò sul sedile di fianco.

I piedi gli dolevano dal freddo e avrebbe voluto fermarsi un attimo per togliere la neve che si era infiltrata negli stivali. Ma era arrivato troppo tardi, la sua tabella di marcia era saltata e non osò perdere neppure un minuto. Anche se gli facevano male i piedi, non erano ancora gelati e per il momento non c’era pericolo di un congelamento.

Le chiavi non erano nel quadro. Tirò indietro il sedile, si chinò e cercò a tastoni sotto il cruscotto. Individuò i fili dell’accensione e in un attimo mise in moto.

Stefan si sollevò proprio nel momento in cui il proprietario della jeep aprì la portiera. «Ehi, che diavolo stai facendo qui, amico?»

Il parcheggio spazzato dalla neve era ancora deserto. Erano soli.

Laura sarebbe morta fra venticinque minuti.

Il proprietario della jeep si avventò su di lui e Stefan si lasciò tirare. Afferrò la pistola che aveva posato sul sedile accanto e si abbandonò letteralmente alla presa dell’altro, cogliendo il momento adatto per farlo barcollare all’indietro sul selciato scivoloso. Caddero. Appena toccarono terra, Stefan gli fu sopra e gli puntò la pistola alla gola.

«Dio mio, no! Non spari!»

«Adesso ci alziamo. Presto, dannazione e non faccia scherzi!»

Quando furono in piedi Stefan si mise alle spalle dell’uomo e afferrata la Walther per la canna, la usò come una mazza e lo colpì una sola volta, ma abbastanza forte da tramortirlo. Il proprietario della jeep cadde a terra, privo di sensi.

Stefan lanciò un’occhiata verso la taverna. Non era uscito nessuno.

Dalla strada non si udiva rumore di macchine, ma l’ululato del vento avrebbe potuto coprire il rumore di un motore.

Cominciò a nevicare più forte. Stefan ripose la pistola nella tasca interna del cappotto e trascinò l’uomo privo di sensi verso la macchina più vicina, la Thunderbird, che era aperta. Sollevò il corpo e lo adagiò sul sedile posteriore, chiuse la portiera e si affrettò verso la jeep.

Il motore si era spento. Mise in moto un’altra volta, inserì la marcia e sterzò per portarsi sulla strada. La neve cominciò a cadere a larghe falde, fitta, e da terra si alzavano mulinelli di neve sfavillanti. Gli enormi pini avvolti dall’oscurità ondeggiavano e fremevano sotto la furia del vento.

Laura aveva poco più di venti minuti di vita.

5

Festeggiarono il contratto per la pubblicazione di Jericho Nights e il primo anno di matrimonio a Disneyland, il loro luogo preferito. Il cielo era azzurro e limpido; l’aria asciutta e calda. Incuranti della folla che li circondava, si divertirono con i Pirati dei Caraibi, si fecero fotografare con Topolino, si fecero venire le vertigini girando nelle grandi tazze del Cappellaio Matto, si fecero fare le caricature, mangiarono hot dog, gelati, banane ghiacciate ricoperte di cioccolata e la sera danzarono alla musica di una Dixieland band nella New Orleans Square.

L’atmosfera del parco si fece ancora più magica dopo il tramonto; presero il mitico vaporetto di Mark Twain e navigarono intorno all’isola di Huck Finn per la terza volta, appoggiati al parapetto sul ponte più alto, vicino alla prua, teneramente abbracciati. «Sai perché questo posto ci piace tanto?» esordì Danny. «Perché fa parte di un mondo non ancora contaminato dal mondo. Come il nostro matrimonio.»

Più tardi, seduti a un tavolo del Carnation Pavilion, sotto alberi addobbati di bianche luci natalizie e davanti a un’enorme coppa di gelato con le fragole, Laura disse: «Quindicimila dollari per un anno di lavoro… non sono esattamente una fortuna».

«Ma non è neppure il salario di uno schiavo.» Danny spinse da parte il suo gelato, si allungò e spostò anche quello di Laura, poi, prendendole le mani fra le sue le disse: «Prima o poi il denaro arriverà perché hai talento, ma non è il denaro la cosa che m’interessa. Ciò che m’interessa è che tu hai qualcosa di speciale da condividere. No, non è esattamente ciò che voglio dire. Non solo hai qualcosa di speciale, tu sei qualcosa di speciale. È un concetto che ho ben chiaro nella mente ma che non riesco a spiegare. Io so che la tua interiorità, quando viene espressa e quindi condivisa, infonde nelle persone, in qualunque persona, la stessa speranza e la stessa gioia che infonde a me che vivo al tuo fianco».

Trattenendo le lacrime, Laura sussurrò: «Ti amo».

Jericho Nights fu pubblicato dieci mesi più tardi, nel maggio del 1979. Danny aveva insistito perché Laura usasse il suo nome da ragazza perché sapeva che durante i tristi anni trascorsi all’Istituto McIlroy e alla Caswell aveva resistito in parte anche perché voleva realizzare qualcosa di cui suo padre potesse essere fiero e anche sua madre, che non aveva mai conosciuto. Il romanzo vendette poche copie, non fu scelto da nessun club del libro e fu ceduto dalla Viking a un editore di tascabili per un modesto anticipo.

«Non ha importanza», la consolò Danny. «A tempo debito arriverà il successo. Tutto arriverà a tempo debito. Proprio in virtù di ciò che sei.»