Laura scattò in piedi, sicura che la Buick l’avrebbe riparata dall’altro uomo che si nascondeva dietro la Toyota, e aprì il fuoco. La prima dozzina di colpi sollevò sabbia e schegge di roccia, ma poi le pallottole colpirono l’uomo, ferendolo alle gambe. Cadde urlando e fu colpito nuovamente. Sussultò e poi precipitò nel canalone.
Mentre l’uomo scivolava nel canale, Laura udì il suono di un’arma automatica, ma non proveniva dalla Toyota, bensì dietro di lei. Prima che potesse voltarsi per fronteggiare quella nuova minaccia, fu colpita ripetutamente alla schiena e venne proiettata in avanti, il viso contro la dura roccia.
25
«Ebrei», ripetè Hitler con rabbia, poi: «e di questa arma nucleare che dicono possa farci vincere la guerra, che cosa ne sa?»
«Un’altra menzogna, mein Führer. Per quanti tentativi siano stati fatti nel futuro per sviluppare un’arma di questo tipo, non è mai stato raggiunto un risultato concreto. Questa è una storia che i cospiratori hanno inventato per far convergere ancora una volta le risorse e le energie del Reich in una direzione errata.» Un tremendo boato giunse attraverso le pareti, come se non fossero sotto terra, ma sospesi in alto, nel cielo, nel mezzo di una tempesta.
Le cornici massicce dei quadri sbatterono contro il cemento.
Hitler incontrò lo sguardo di Stefan e lo studiò per un lungo momento, poi disse: «Suppongo che se lei non mi fosse fedele, sarebbe semplicemente venuto armato e mi avrebbe ucciso nell’attimo in cui è giunto qui».
Stefan aveva considerato questa soluzione. Perché solo uccidendo Adolf Hitler avrebbe potuto alleggerirsi la coscienza. Ma sarebbe stato un atto egoistico, perché eliminando Hitler avrebbe radicalmente cambiato il corso della storia e avrebbe messo in pericolo il futuro che conosceva. Non poteva dimenticare che il suo futuro era il passato di Laura. Se si fosse intromesso per mutare il corso degli eventi, forse avrebbe mutato in peggio il mondo in generale e in particolare per Laura. Che cosa sarebbe successo se, dopo aver ucciso Hitler ed essere tornato nel 1989, avesse ritrovato un mondo così radicalmente alterato tanto che Laura non era mai neppure nata?
Voleva uccidere quel serpente in vesti umane, ma non poteva prendersi la responsabilità di ciò che ne sarebbe seguito. Il buonsenso diceva che ne sarebbe potuto risultare solo un mondo migliore, ma sapeva che il buonsenso e il destino erano concetti che si escludevano reciprocamente.
«Sì», disse Stefan, «se fossi stato un traditore, mein Führer, avrei fatto esattamente quello che ha detto e temo che i veri traditori, all’istituto, prima o poi possano pensare proprio a questo metodo per assassinarla.»
Hitler impallidì. «Domani farò chiudere l’istituto. Il tunnel sarà chiuso finché dal personale non verranno epurati i traditori.»
È probabile che i bombardieri di Churchill ti battano sul tempo, pensò Stefan.
«Vinceremo, Stefan, e ci riusciremo prestando fede al nostro grande destino, non giocando a fare gli indovini. Vinceremo perché così è scritto nel destino.»
«Sì, è il nostro destino», concordò Stefan. «Siamo dalla parte della verità.»
Un sorriso illuminò il volto di quel folle. Sopraffatto da un sentimentalismo che risultava strano a causa del cambiamento repentino di umore, Hitler parlò a Stefan di suo padre, Franz, e dei primi periodi trascorsi a Monaco: gli incontri segreti nell’appartamento di Anton Drexler, le riunioni pubbliche nelle birrerie, la Hofbräuhaus e la Eberlbräu.
Stefan lo ascoltò per un po’, fingendosi affascinato, ma quando Hitler espresse la sua rinnovata e incrollabile fede nel figlio di Franz Krieger, Stefan colse l’opportunità per andarsene. «E io, mein Fiihrer, ho eterna fiducia in lei e sarò per sempre il suo fedele discepolo.» Si alzò, salutò il dittatore e infilò una mano sotto la camicia per raggiungere la cintura. «Ora, devo ritornare nel futuro. Ho un’altra missione da compiere per suo conto.»
«Andar via?» disse Hitler, alzandosi dalla poltrona. «Ma io pensavo che sarebbe rimasto nella nostra era, adesso. Perché partire proprio ora che si è discolpato?»
«Credo di sapere in quale angolo del futuro sia nascosto Kokoschka. Devo trovarlo e riportarlo qui. Forse solo lui conosce i nomi dei traditori che stanno cospirando all’istituto e possiamo costringerlo a rivelarceli.»
Salutò velocemente, schiacciò il pulsante sulla cintura e lasciò il bunker prima che Hitler potesse rispondere.
Ritornò all’istituto la sera del 16 marzo, la stessa sera in cui Kokoschka era partito per le San Bernardino Mountains, per tendergli una trappola. Il viaggio da cui non fece mai ritorno.
Impegnandosi al massimo, era riuscito a predisporre la distruzione dell’istituto e a fare in modo che Hitler dubitasse di qualsiasi informazione che da lì proveniva. Avrebbe esultato se non fosse stato così preoccupato per quella squadra di SS che apparentemente stava minacciando Laura nel 1989.
Inserì i dati nel quadro di programmazione per compiere il suo ultimo viaggio: nel deserto a qualche chilometro da Palm Springs, dove Laura e Chris lo stavano aspettando in quel mattino del 27 gennaio 1989.
26
Quando l’impatto dei colpi la scaraventò a terra, Laura capì che la colonna vertebrale era stata lesa da una delle pallottole perché non sentiva alcun dolore, nessun tipo di sensazione nella parte del corpo dal collo in giù.
Il destino lotta per riaffermare il modello predestinato.
Il fuoco cessò.
Riusciva a muovere solo la testa, tanto da voltarsi e vedere Chris ai suoi piedi, davanti alla Buick, paralizzato dal terrore come lo era lei dalle pallottole che le avevano spezzato la spina dorsale. A una quindicina di metri si stava avvicinando verso di loro un uomo con gli occhiali da sole, una camicia bianca e un paio di pantaloni neri. In mano aveva un fucile mitragliatore.
«Chris», esclamò Laura, «corri! Corri!»
Il volto del bambino assunse un’espressione di profondo dolore, come se sapesse che la stava lasciando lì a morire. Poi corse più veloce che poté, per quanto glielo consentivano le sue corte gambe; corse verso est nel deserto, zigzagando, cercando di essere il più possibile un obiettivo difficile da colpire.
Laura vide che il killer alzava il mitragliatore.
Nel laboratorio principale Stefan aprì lo sportello che ricopriva il registratore automatico dei viaggi.
Su una bobina di carta erano indicati i viaggi effettuati quella sera attraverso il tunnel, tra cui uno al 10 gennaio 1988, il viaggio che Heinrich Kokoschka aveva fatto sulle San Bernardino Mountains, quando aveva ucciso Danny Packard. Erano indicati anche altri otto viaggi nell’anno 6.000.000.000 — i cinque uomini e i tre gruppi di animali — e anche i viaggi di Stefan: il 20 marzo 1944 con le latitudini e le longitudini del sotterraneo a prova di bomba vicino a St. James’s Park a Londra, il 21 marzo 1944, con le latitudini e longitudini precise del bunker di Hitler, e la destinazione del viaggio che aveva appena programmato ma non aveva ancora fatto: Palm Springs, 27 gennaio 1989. Stracciò il nastro, s’impadronì delle prove e rimise a posto la bobina. Aveva già sistemato gli orologi sul quadro di programmazione in modo che si azzerassero una volta che fosse passato attraverso il tunnel. Avrebbero scoperto che qualcuno aveva manipolato le registrazioni, ma avrebbero pensato che fossero stati Kokoschka e gli altri cinque fuggiaschi per occultare le loro tracce. Chiuse lo sportello e si infilò lo zaino pieno dei libri di Churchill. Si mise sulla spalla l’Uzi e prese la pistola munita di silenziatore che aveva appoggiato sul bancone del laboratorio.