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«Non so come faccia la gente,» disse Shirl mentre si allontanava e provò un senso di colpa perché con i soldi di Mike non aveva mai da preoccuparsi. Si chiese come avrebbe fatto con la paga di Tab, perché sapeva che guadagnava poco. «Vuoi un cracker?» gli chiese.

«Forse più tardi, signorina, grazie.» Guardava la gente e con mossa molto veloce fece scansare un uomo con un gran sacco sulle spalle che a momenti investiva Shirl.

Un modesto complesso di suonatori con chitarre avanzava lentamente nel mercato affollato. Erano tre ragazzi che grattavano uno strumento fatto in casa, e una ragazza magra dalla voce così esile che si perdeva in quel frastuono. Quando le furono più vicini, Shirl riuscì ad afferrare alcune parole, erano quelle di un motivo che l'anno prima aveva avuto successo; era stato lanciato dai “El Troubadours”.

“… migliore di lei, in tutto il mondo… un puro spirito, come quello degli angeli… conoscerla ed amarla era una sola cosa… “.

Le parole non si adattavano per niente a quella ragazza dal petto cavo e dalle braccia scarne, no, assolutamente. Chissà perché, Shirl si sentì a disagio.

«Dagli dieci cents,» sussurrò a Tab, poi si diresse rapidamente al banco dei latticini. Quando Tab la raggiunse, gettò nella sporta un pacco di oleo e una bottiglia di latte di soia; a Mike piaceva nel suo kofee.

«Tab, per piacere, ricordami di portare indietro i vuoti, domani; questa è la mia quarta bottiglia, e con un deposito di due dollari per bottiglia andrò presto in rovina se non le porto indietro.»

«Ve lo ricorderò domani, se tornate a fare la spesa.»

«Probabilmente sì, Mike ha invitato gente per la cena e non so in quanti saremo e che cosa vuole che gli prepari.»

«Pesce, quello è sempre buono,» disse Tab puntando un dito in direzione della vasca di cemento. «È piena di pesce.»

Shirl si alzò in punta di piedi e vide i branchi di tilapia che si muovevano a fatica nell'acqua scura.

«Tilapia freschi delle Isole,» disse la pescivendola, «arrivati ieri dal lago Ronkonkoma.» Immerse la sua reticella e tirò su un brulicante gruppo di pesci lunghi circa venti centimetri.

«Ne avrete anche domani?» chiese Shirl. «Li vorrei freschi.»

«Tutto ciò che vuoi, cara, domani ne arrivano ancora.»

Faceva più caldo ora, e lei non aveva più bisogno di nulla dal mercato. Le rimaneva solamente un altro acquisto da fare.

«Credo sia meglio andare subito da Schmidt,» disse, e nella sua voce vi era qualcosa che fece voltare Tab per guardarla un attimo. Poi tornò a sorvegliare la gente che le passava accanto.

«Certo, signorina Shirl, e laggiù farà più fresco.»

Schmidt era un negozio situato nello scantinato di un edificio distrutto dal fuoco, sulla Seconda Avenue, solo un rudere, a livello stradale, con alcuni baraccati che avevano preso alloggio fra i legnami carbonizzati. Un vialetto gli girava intorno e portava sino alla parte posteriore. Poi si scendevano tre gradini sino ad una porta dipinta di verde, con uno spioncino nel centro. Una guardia del corpo stava rannicchiata nell'ombra contro il muro. Solo i clienti erano ammessi da Schmidt e il guardiano alzò la mano in un breve cenno di saluto verso Tab. Si udì un armeggiare di serrature e un uomo anziano con una frangia di capelli bianchi uscì dallo scantinato e salì i gradini uno per volta. Shirl lo riconobbe.

«Buongiorno, giudice,» gli disse. Il giudice Santini e Mike O'Brien si vedevano spesso e lei lo conosceva bene.

«Buongiorno a te, Shirl.» Egli consegnò un pacchettino bianco alla sua guardia del corpo, che lo fece sparire nella tasca. «Cioè vorrei che fosse un buon giorno, ma per me è già troppo caldo. Temo che siano gli anni a farsi sentire. Salutami Mike.»

«Certamente, giudice, arrivederci.»

Tab le porse il borsellino e lei scese e bussò alla porta. Vi fu un movimento dietro la piccola feritoia, poi un rumore metallico e la porta si spalancò. Dentro era fresco e scuro. Shirl entrò.

«Ma guarda chi si vede, la signorina Shirl! Ciao, tesoro,» disse l'uomo accanto alla porta mentre la chiudeva e tirava il paletto. Tornò a sedersi sul suo alto sgabello contro il muro, tenendo fra le braccia il fucile come se lo cullasse. Shirl non gli rispose. Non rispondeva mai. Schmidt la guardò dal banco, sorridendo, con il suo largo sorriso porcino.

«Ciao Shirl, siete venuta a prendere qualcosa di buono per il signor O'Brien?» Piantò le sue manacce rosse sul piano del banco e il suo corpo pesante, coperto da un grembiule bianco, sudicio di sangue, poggiava per metà sul banco stesso. Lei assentì, ma prima che potesse aprire bocca il guardiano l'interpellava:

«Fatele vedere la vostra trippa, signor Schmidt, scommetto che ne va matta.»

«Non credo, Arnie, non Shirley.» Entrambi risero forte. Lei tentò di sorridere e giocherellò con un foglio di carta posto sul banco.

«Vorrei una bistecca, o un bel pezzo di manzo se l'avete,» disse, e gli altri scoppiarono a ridere. Lo facevano sempre, sapendo fin dove potevano arrivare senza provocare guai. Sapevano del legame fra Shirl e Mike e non dicevano mai nulla che potesse irritare quest'ultimo. Una volta Shirley aveva tentato di dirglielo, ma fra quei lazzi non vi era nulla di realmente offensivo e lui aveva perfino riso delle loro battute. Le aveva risposto che scherzavano, e di non preoccuparsi. Non si potevano esigere modi raffinati da parte di contrabbandieri di carne.

«Guardate questo, Shirl!» Schmidt aprì con rumore la porta di un armadio posto nella parete dietro di lui e ne tirò fuori una piccola carcassa già spolpata. «Un bel cosciotto di cane, ben fatto, bello e perfino grasso.»

Aveva un ottimo aspetto, ma non faceva al caso suo, non era neanche il caso di pensarci. «È bellissimo; ma, lo sapete, al signor O'Brien piace solo il manzo.»

«Difficile ottenerlo di questi tempi, Shirl.» Guardò più in fondo all'armadio. «Sono guai con i fornitori. Vi sparano certi prezzi… Sapete com'è. Ma il signor O'Brien ha fatto affari qui con me per dieci anni, e finché potrò, vedrò di accontentarlo.» Brandiva intanto un piccolo pezzo di carne velato di un sottilissimo strato di grasso.

«Mi pare ottimo.»

«Mezza libbra abbondante, è abbastanza?»

«Va benissimo.»

L'uomo lo tolse dalla bilancia e cominciò ad avvilupparlo nel cellofan. «Fanno esattamente ventisette e novanta.»

«Non è più… voglio dire, più caro dell'ultima volta?» Mike le rimproverava sempre di spendere troppo per la spesa, come se fosse lei a fare alzare i prezzi; comunque, si ostinava a mangiare carne.

«È così, cara Shirl. Ma vi dirò una cosa: datemi un bacio e vi lascio quei novanta cents e vi darò forse anche un pezzettino di carne.» Lui e il guardiano risero a crepapelle dello scherzo, come diceva Mike. Lei non poteva ribellarsi. Prese i soldi nel borsellino.

«Ecco a voi, signor Schmidt, venti, venticinque, ventotto.» Prese la minuscola lavagnetta dalla sua borsa, vi scrisse sopra il prezzo e la mise sul banco accanto al denaro. Schmidt le diede uno sguardo poi scarabocchiò una S maiuscola sotto la cifra, con il gesso blu che usava sempre. Quando Mike si lamentava del prezzo della carne, lei gli mostrava questo, anche se non serviva a niente.

«Dieci di resto.» L'uomo sorrise e allungò i soldi sul banco. «Arrivederci presto, Shirl,» disse mentre lei prendeva il pacco e si avviava all'uscita.

«A presto,» disse il guardiano aprendo la porta quel tanto da permetterle di passare. Mentre lei gli passava davanti, quello allungò la mano e gliela passò sui fianchi, ove il vestito era ben teso. La loro risata morì col richiudersi della porta.

«E ora, a casa?» chiese Tab, prendendole il pacco dalle mani.