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«Sì, direi. E direi di prendere anche un peditaxi.»

Egli la guardò in viso e stava per dire qualcosa, ma cambiò idea. «Va bene, taxi.» E la guidò sino alla strada.

Dopo la corsa in peditaxi si sentì meglio. Erano dei villanzoni, ma non dei peggiori, e fino alla settimana prossima non aveva bisogno di tornarvi. Dopo tutto, come diceva Mike, non puoi esigere maniere raffinate da contrabbandieri di carne. Loro e i loro scherzi luridi da ragazzini di ginnasio! Facevano quasi ridere per il modo come si comportavano. Ma la loro carne era buona, non come quella di certi altri. Avrebbe cucinato la bistecca per Mike, e poi, nel grasso, avrebbe fritto un po' di farina d'avena, per sé. Buono da mangiare. Tab l'aiutò a scendere dal taxi e prese la sporta.

«Volete che la porti su?»

«Sarà meglio, e poi mi metterai le bottiglie di latte vuote nella sporta. Non c'è un posticino nella portineria, dove le potrai lasciare per non dimenticarle domani?»

«Certo, Charlie ha un armadio chiuso a chiave, che noi usiamo. Posso lasciarle lì.»

Charlie aprì loro la porta e l'atrio sembrò quasi fresco, dopo il caldo della strada. Non parlarono mentre salivano con l'ascensore. Shirl frugò nella sua borsa per prendere la chiave, Tab andò avanti nel corridoio e aprì la porta esterna dell'appartamento, ma si fermò così improvvisamente che lei quasi gli cadde addosso.

«Volete aspettarmi qui un attimo, per piacere, signorina Shirl?» disse a voce tassa, appoggiando senza far rumore la sporta contro la parete.

«Che c'è?…» cominciò a dire lei, ma Tab si mise un dito sulle labbra e indicò la seconda porta. Era socchiusa per pochi centimetri e si vedeva un solco profondo e fresco nel legno. Lei non capì che cosa significasse, ma vi doveva essere qualcosa di minaccioso, perché Tab aveva assunto una posizione un po' curvata, con i pugni alzati davanti a sé, e così aprì l'uscio ed entrò nell'appartamento.

Non ci mise molto a tornare e non si udì alcun rumore, ma egli aveva ripreso la posizione eretta e il suo viso era vuoto d'ogni espressione. «Signorina Shirl,» disse, «non vorrei lasciarvi entrare ma è meglio che diate un'occhiata nella stanza da letto.»

Lei ora aveva paura, capiva che qualcosa di terribile era successo, ma lo segui, ubbidiente, attraverso il soggiorno, fin dentro la stanza da letto.

Era strano, pensò lei, di trovarsi lì, in piedi, e non far nulla pur udendo quell'urlo. Poi si rese conto che era la sua voce, che era lei a urlare.

CAPITOLO QUARTO

Fino a quando era durata l'oscurità, Billy Chung aveva trovato l'attesa sopportabile. Si era rannicchiato in un angolo, contro il muro fresco dello scantinato, e aveva perfino dormito di tanto in tanto. Ma quando notò sulla finestra i primi grigiori dell'alba, provò un improvviso, acuto spasimo di paura, che aumentava costantemente. Non l'avrebbe trovato qualcuno, li nascosto? Gli era sembrato così facile, la sera prima; era andato tutto così liscio. Esattamente come i Tigers, quando facevano quei colpi. Aveva saputo da chi andare per comperare il cacciacopertoni, senza che gli facessero domande, e con dieci cents in più lo aveva fatto affilare ad una estremità. Entrare nel fossato che circondava l'edificio era stata l'unica mossa difficile; ma nessuno lo aveva visto mentre si calava giù dalla sponda, ed era sicuro di non essere stato notato da nessuno quando aveva forzato la finestra dello scantinato con il piè di porco ricavato dalla leva per copertoni. Se lo avessero visto, a quest'ora lo avrebbero già preso. Ma forse con la luce del giorno avrebbero potuto notare i solchi freschi lasciati dalla leva sulla finestra? Rabbrividì a quel pensiero, e fu a un tratto conscio del violento battito del suo cuore. Si dovette far forza per abbandonare il suo cantuccio in ombra e procedere lentamente lungo il muro finché fu vicino alla finestra, cercando di vedere qualcosa attraverso lo strato di polvere che ricopriva il vetro. Prima di richiudere la finestra aveva fregato con sputo, polvere e caligine del davanzale le righe lasciate dal ferro; ma chissà se era venuto bene? L'unico posto trasparente sulla finestra era il cuore che aveva tracciato sulla polvere, e seguendone il contorno con la testa guardò attraverso il vetro e vide che i solchi nel legno erano diventati scuri. Sollevato, tornò nel suo cantuccio, ma dopo pochi minuti i timori ricomparvero, sempre più forti.

La piena luce del giorno entrava ora dalle finestre. Quanto tempo sarebbe passato prima che lo scoprissero? Chiunque fosse entrato dalla porta avrebbe guardato da quella parte, e lo avrebbe visto subito. La piccola pila di assi vecchie, piene di ragnatele, non lo nascondeva del tutto. Tremante di paura si spinse con la schiena contro il muro di cemento, con tale forza che ne sentì la superficie rugosa attraverso la stoffa sottile della camicia.

Impossibile misurare un tempo di quella specie. Per Billy, ogni minuto era interminabile. Al tempo stesso, gli pareva di avere trascorso una vita intera in quella stanza. Una volta udì dei passi che si avvicinavano, poi oltrepassarono la porta, e in quel momento capì che le paure precedenti erano state ben poca cosa. Fermo in quell'angolo, tremante e coperto di sudore, odiava se stesso a causa della sua debolezza, ma non poteva farci niente. Le sue dita grattavano nervosamente una vecchia pustolina sul mento, poi questa si ruppe e cominciò a sanguinare. Premette quel suo straccio di fazzoletto sul mento e i secondi continuarono a passare con lentezza.

Convincersi a lasciare la cantina fu ancora più difficile che rimanervi. Doveva aspettare che la gente, nell'appartamento lassù, fosse uscita per la giornata. Ma era poi certo che uscissero? Altra fitta di paura. Doveva aspettare, ma poteva intuire l'ora solamente stimando l'angolo del sole attraverso la finestra annebbiata, e regolarsi sull'intensità del traffico all'esterno. Aspettò più che poté e poi rinviò l'uscita di qualche minuto ancora, pensando a quei lunghi corridoi che l'aspettavano. E arrivò al momento in cui gli parve di poter uscire senza pericolo. Infilò la leva nei calzoni sotto la cintola, dove non si poteva vedere, e si tolse di dosso quanta polvere poteva prima di girare la maniglia della porta.

Delle voci, il battere di un martello gli pervennero da una parte distante della cantina, ma avviandosi verso le scale non vide nessuno. Mentre saliva al terzo piano udì dei passi rapidi, che scendevano verso di lui. Ridiscese al secondo piano e lì si nascose nel corridoio finché i passi non si allontanarono. Fu questo l'ultimo allarme. Un minuto dopo Billy era al quinto piano e contemplava per la seconda volta le lettere dorate che formavano il nome di O'Brien.

“Chissà se lei è ancora a casa,” sussurrò a mezza voce e sorrise fra sé. “Lei significa guai, tu vuoi soldi”, aggiunse, ma la sua voce era strozzata. Billy ricordava insistentemente quei seni tondi che si erano alzati verso di lui.

Quando si apriva la porta esterna, si faceva risuonare un segnale all'interno. Così era stato la notte prima. Ed era bene fosse così, perché Billy doveva accertarsi che non vi fosse nessuno, per potersi introdurre nell'appartamento. Prima che i suoi nervi gli giocassero un brutto tiro spinse la porta ed entrò nello stanzino, richiudendola dietro di sé e appoggiandovi le spalle.

Qualcuno poteva ancora essere in casa. Sentì il suo viso coprirsi di sudore a quella idea, e guardò verso l'obiettivo del circuito interno, poi distolse lo sguardo. Se lei mi chiede che cosa voglio, le dirò qualcosa che riguarda un telegramma, per la Western Union. Le pareti vuote della piccola camera lo soffocavano. Si appoggiò un po' su una gamba, un po' sull'altra, in attesa di udire lo sfrigolio dell'altoparlante.

Ma questo rimase silenzioso. Cercò di indovinare quanto era lungo un minuto e contò fino a sessanta, poi capì di avere contato troppo svelto e ricominciò. «Hello!» disse, e, nel caso la TV interna non funzionasse, batté sulla porta, prima timidamente, poi più forte mentre la sua fiducia cresceva.