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«Non c'è nessuno in casa?» chiese mentre tirava fuori il cacciacopertoni e introduceva la punta affilata nella porta chiusa, sotto la maniglia. Dopo averla inserita il più possibile, fece forza, con entrambe le mani. Vi fu uno scricchiolio leggero e la porta si aprì. Billy entrò quasi in punta di piedi, pronto a fare dietro-front e a scappare.

L'aria era fresca, l'appartamento scuro e silenzioso. Davanti a sé, all'estremità dell'anticamera, vedeva un'altra stanza e parte di un televisore spento. Alla sua sinistra, vicino a lui, c'era la porta chiusa della camera da letto e oltre quella porta c'era il letto dove aveva visto la ragazza sdraiata. Forse era lì, addormentata. Egli sarebbe entrato, e non l'avrebbe svegliata subito ma… ebbe un fremito di piacere. Passando la leva nella mano sinistra, apri la porta, lentamente.

Le lenzuola erano gualcite, attorcigliate… e vuote. Billy passò vicino al letto e non lo guardò più. Che altro si aspettava? Una ragazza come quella non avrebbe mai accettato uno come lui. Imprecò e forzò il cassetto superiore dell'ampio canterano. Era pieno di biancheria soffice, rosa e bianca. L'accarezzò. Era più soffice di qualsiasi cosa avesse mai toccato. La gettò in terra.

Allo stesso modo setacciò gli altri cassetti, uno per uno, gettando in terra il loro contenuto, ma mettendo da parte quei pezzi di vestiario che sapeva di poter vendere a buon prezzo al mercato delle pulci. Un tonfo improvviso riportò in lui la paura che per un po' era stata sostituita dalla delusione. Rimase fermo, irrigidito. Gli ci volle un po' prima di rendersi conto che era stato il rumore dell'acqua nei tubi. Si riprese un poco, ora si controllava meglio e per la prima volta notò il cofanetto dei gioielli sul tavolino da notte.

Billy l'aveva in mano, guardando le spille e i bracciali, e chiedendosi se erano veri e quanto ne avrebbe ricavato, quando la porta del bagno si aprì e Mike O'Brien entrò nella stanza.

Sulle prime non vide Billy, e rimase semplicemente imbambolato a guardare il disastro del canterano e la biancheria sparsa in terra. Aveva indosso la vestaglia e si stava asciugando i capelli. Poi vide Billy impietrito dal terrore, e scagliò lontano l'asciugamano.

«Tu! Piccola carogna!» tuonò Mike. «Che cavolo ci fai, qui?»

Si avvicinava come una montagna di morte, col faccione accaldato dalla doccia e ancor più congestionato per la collera. Era alto ben due teste più di Billy e sotto il grasso delle sue braccia carnose, vi erano dei muscoli. Desiderava solo spezzare il ragazzo in due.

Mike allungò le braccia e Billy sentì il muro dietro la schiena. Nella mano destra vi era un peso ed egli, preso dal panico, lo roteò con forza selvaggia. Non capì affatto che cosa fosse successo, vedendo Mike cadere ai suoi piedi, senza aver detto una parola; si udì solo il tonfo pesante del corpo che urtava il pavimento.

Gli occhi di Michael J. O'Brien erano aperti. Anzi, più che aperti, erano sbarrati. Guardavano dritto, senza vedere nulla. La leva lo aveva colpito alla tempia, era penetrata con la punta acuminata oltre l'osso sottile fino al cervello, uccidendolo sul colpo. Vi era poco sangue, perché il cacciacopertoni era rimasto nella ferita, come un manico nero, sporgente, saldamente conficcato nella testa.

Fu proprio per caso, per un concorso di circostanze favorevoli, che Billy non fu né preso né riconosciuto nell'uscire dall'edificio. Fuggì, preso da un panico folle, ma sbagliò una svolta e si ritrovò vicino all'entrata di servizio. Un nuovo inquilino stava traslocando e almeno venti uomini, stracciati come lui, portavano dentro i mobili. L'unico portiere di servizio sorvegliava la gente che entrava nel palazzo e non fece caso a Billy quando uscì dietro gli altri facchini.

Billy arrivò quasi sino al fronte del porto prima di rendersi conto che nella sua fuga si era lasciato dietro tutto. Appoggiò la schiena al muro, poi si lasciò scivolare lentamente sui calcagni, cercando di riprendere fiato, esausto per la corsa, asciugando il sudore che gli colava sugli occhi, per vedere se qualcuno l'avesse seguito. Nessuno gli badava minimamente, ce l'aveva fatta. Ma aveva ucciso un uomo. E tutto per nulla. Rabbrividì, a dispetto del caldo, e si sentì mancare l'aria. Per nulla. Tutto per nulla.

CAPITOLO QUINTO

«Ah, così? Dovremmo mollare tutto e venire da te di corsa? Come se niente fosse?» La domanda del tenente Grassioli perdette un po' del suo impeto verso la fine a causa di un rutto profondo. Prese un flacone contenente delle pastiglie bianche, in fondo al cassetto della sua scrivania, lo scosse per farne cadere due e le guardò con disgusto prima di mettersele in bocca. «Sentiamo un po', che cos'è successo?» Le sue parole erano accompagnate dallo scricchiolio secco delle pastiglie che masticava.

«Non lo so, non me l'hanno detto.» L'uomo in divisa nera stava ostentatamente sull'attenti, però c'era appena un'ombra di impertinenza nelle sue parole. «Io sono soltanto un fattorino, signore. Mi hanno detto di andare al posto di polizia più vicino a fare quest'ambasciata: “È successo qualcosa di grave. Mandate subito un investigatore”.»

«Voialtri di Chelsea Park credete di poter dettare legge alla polizia?» Il fattorino non rispose perché entrambi sapevano che la risposta era “sì”, ed era meglio non pronunciarla. In quei palazzi abitava un gran numero di persone importanti. Il tenente sussultò per una fitta allo stomaco. Gridò: «Mandatemi qui Rusch!»

Andy arrivò quasi subito. «Sì, signore?»

«Che fai in questo momento?»

«Sto investigando su un indiziato, quell'attacchino che ha forse spacciato tutti quegli assegni falsi a Brooklyn. Sto per…»

«Mettilo in frigo. Qui c'è qualcosa che voglio tu segua.»

«Non so se posso, lui…»

«Se te lo dico io, puoi. Il commissariato lo comando io, Rusch. Va' con quest'uomo e, quando torni, vieni a riferire tutto a me personalmente.»

Il rutto questa volta fu più modesto, quasi come il punto finale della frase.

«Bel caratterino, il vostro tenente,» disse il fattorino quando furono per strada.

«Smettila,» ribatté Andy senza guardare l'uomo. Aveva passato ancora una cattiva notte ed era stanco. L'ondata di caldo continuava. Quando lasciarono l'ombra della sopraelevata per avviarsi verso la parte Nord della città, il sole era quasi insostenibile. Andy chiudeva gli occhi per il riverbero, e il mal di capo cominciava a premergli sulle tempie. Dei mucchi di immondizie bloccavano il marciapiede. Li toglieva di mezzo con calci rabbiosi. Voltarono l'angolo e furono di nuovo nell'ombra; l'edificio di Chelsea Park, con le sue torri merlate e i suoi bastioni, si ergeva davanti a loro come una scogliera. Andy si dimenticò il mal di capo mentre attraversava il ponte levatoio. Era già stato in quell'edificio, ma soltanto nell'atrio. La porta si aprì prima che arrivassero e il portiere si fece da parte per lasciarli entrare.

«Polizia,» disse Andy, mostrando il suo distintivo al portiere. «Che cosa è successo?»

L'uomo non rispose subito, voltò il capo per seguire il fattorino che si allontanava e attese che fosse fuori portata delle sue parole. Poi si leccò il labbro e sussurrò: «Una brutta cosa.» Cercò di parere rattristato ma i suoi occhi tradivano l'eccitazione. «Un delitto. È stato ucciso un uomo.»

Andy non ne fu impressionato. Nella città di New York sette delitti al giorno erano la media. Dieci, nei giorni buoni.

«Vediamo un po'» dichiarò, e seguì il portiere verso l'ascensore.

«Ecco, è questa porta,» disse il portiere aprendo la porta esterna dell'appartamento 41-E. L'aria fredda li assalì.

«Va bene,» disse al portiere deluso. «Da questo momento in poi è affar mio.» Entrò e notò subito i solchi dello scasso sul telaio della porta interna. Guardò oltre, per tutta la lunghezza dell'atrio, dove due persone sedevano su due sedie appoggiate alla parete. Una sporta di generi alimentari era appoggiata alla sedia più vicina.